Ipazia di Alessandria

C’era una donna quindici secoli fa ad Alessandria d’Egitto, il cui nome era Ipazia

C’era una bellissima donna ad Alessandria d’Egitto la cui voce e la cui sapienza ancora oggi la nebbia del tempo non ha sbiadito. 

Il suo nome nella lingua greca evocava un’idea di eminenza, acume e suprema altezza. Glielo aveva dato suo padre Teone, celebre sapiente, che progettava per lei una carriera di studiosa. Essendo per natura più dotata del padre Ipazia non si fermò agli insegnamenti tecnico-matematici che lui praticava nella Scuola di Alessandria, ma si donò anima e corpo alla filosofia. 

L’educazione che ricevette convogliò in lei i principi fondamentali della gran parte delle altre scienze, facendone un prodigio. 

Di lei è indubbio che sia stata la terza caposcuola del neoplatonismo dopo Platone e Plotino. Contrariamente a quanto la dottrina più superficiale sostiene, è ragionevole sostenere che  il V secolo d.C. non si configurò come epoca di decadenza della cultura, al contrario. L’amore per la sapienza era più vivo che mai e le lezioni di Ipazia, docente nella Scuola di Alessandria - come suo padre prima di lei - erano viste come un luminoso esempio di cultura: gli amanti del sapere accorrevano dal mondo greco e romano per ascoltarla perpetuare la tradizione dell’antica scuola platonica. 

Questo è quanto ci dice su di lei Socrate Scolastico nella sua Storia Ecclesiastica. Inoltre, l’enciclopedista bizantino Suida riprende le parole di Damascio (biografo di Isidoro) che racconta: “pur essendo lei una donna indossava il tribon (il mantello grezzo dei predicatori cinici N.d.R.) e faceva le sue pubbliche apparizioni in città per spiegare a chiunque volesse ascoltarla chi fosse Aristotele o Platone o qualcun altro dei grandi filosofi”. 

Tuttavia è l’opera stessa di Teone e Ipazia e quel che ne conserva la tradizione a far ritenere che le lezioni di padre e figlia non impartissero solo il platonismo teoretico bensì il suo avviamento tecnico-matematico e astronomico. 

Ipazia scrisse, infatti, annotazioni scientifiche a opere classiche (non a Platone o ai neoplatonici ma alle Coniche di Apollonio di Perga - Apollonio era un matematico e astronomo greco diede alla parabola, iperbole ed ellittica i nomi con cui oggi sono chiamate -  e l’Algebra di Diofanto). 

A Ipazia si deve anche l’edizione di un testo di Tolomeo. 

Sul piano strettamente filosofico gli studiosi hanno dedotto che la figlia di Teone professasse un neoplatonismo di tipo primitivo, dove si stigmatizzava un’inclinazione orientaleggiante del neoplatonismo da un lato ma anche alla fisionomia ateniese: alla prima (all’inclinazione orientaleggiante N.d.R.) ci si opponeva con un certo razionalismo, alla seconda (al neoplatonismo polemicamente anticristiano della scuola ateniese) con una notevole neutralità verso il nascente cristianesimo. 

Questo profilo filosofico di Ipazia è avvalorato dalla circostanza storica che Sinesio (Vescovo di Cirene, quindi cristiano) non si sia mai discostato dagli insegnamenti filosofici della sua Maestra e che anzi li abbia coltivati con devozione, in conformità alla tradizione platonica che affonda le proprie radici nel rapporto maestro - allievo come tra Socrate e Platone.  Sinesio in armonia con gli insegnamenti di Ipazia sosterrà sempre che la filosofia - scienza delle scienze - è il mezzo con il quale l’uomo comunica tanto con i suoi simili quanto con Dio. 

Non dobbiamo, tuttavia, credere che vi fosse un’inclinazione di Ipazia per il cristianesimo. Non è neppure ortodosso attribuirle una “neutralità confessionale”  quanto invece una tolleranza verso la nascente cristianità. Tollerare non significa accreditare e tantomeno credere, bisogna distinguere bene tra tolleranza e consenso intellettuale: sembra, quindi che Ipazia e i suoi allievi non cristiani tollerassero i dogmi cristiani attraverso l’antica arte platonica della “nobile bugia” praticata dai sapienti. 

Un elemento che ho ritenuto di grande interesse è che al sodalizio di Sinesio e Ipazia vengano attribuite alcune “attività sotterranee” nell’ambito del platonismo. Sinesio era lo studioso della natura che aveva inventato uno strano modello di alambicco e fu anche autore di un trattato di alchimia. 

Egli nell’Epistola a Erculiano alluse ad un segreto iniziatico, chiaro indizio di insegnamento esoterico. Nel Dione (opera dedicata ad Ipazia), invece, sono certamente dissimulate “Dottrine inviolabili” (abebela dogmata). 

In quegli anni anche la matematica era messa all’indice come “scienza pericolosa” e l’unione del neoplatonismo con l’occultismo poteva costare la vita. 

Ipazia, come scrive il suo contemporaneo Filostorgio, divenne superiore al padre nell’arte dell’osservazione degli astri. 

E’ apparso evidente anche al maggior biografo di Sinesio che Ipazia dispensasse a una ristretta cerchia di studenti “una dottrina esoterica in margine ai programmi ufficiali” e probabilmente, in questa accezione - sempre riservata a pochi studenti scelti - l’insegnamento tecnico - astronomico di Ipazia nascondeva la vera materia delle lezioni magistrali della filosofa, vale a dire una rivelazione esoterica vera e propria.

L’astronomia, però, era molto più di una facciata. Uno dei segreti dell’esoterismo pagano era l’identificazione degli dei dell’olimpo politeista con i corpi celesti e le costellazioni e di qui la loro riconducibilità alle formule matematiche. Il linguaggio della matematica e dell’astronomia, praticato dagli ellenici e dai pitagorici aveva reso possibile la circolazione delle stesse dottrine e conoscenze ancestrali e delle stesse figure astrali (numeriche, divine) dal nucleo della sapienza caldea (sapienza babilonese N.d.R.)

Nel Discorso sul dono di Sinesio si legge: “L’astronomia è già di per sé una scienza più che degna, ma può servire forse ad ascendere a qualcosa di più alto, può essere l’ultima tappa, io credo, verso i misteri della teologia (…) poiché il corpo perfetto del cielo ha la materia sotto di sé e il suo moto è stato equiparato dai più noti filosofi all’attività dell’intelletto.”

Un contributo di Gemma Beretta nello studio della figura di Ipazia parte dai versi che Pallada le dedicò: “Verso il cielo è rivolto ogni tuo atto” ad indicare da un lato l’amore per l’astronomia e dall’altro la tensione filosofica. 

Nel tracciare una nuova mappa nel cielo Ipazia indicava sempre una traiettoria nuova - e insieme antichissima - con la quale gli uomini e le donne del suo tempo potessero imparare ad orientarsi sulla terra e dalla terra al cielo e dal cielo alla terra, di nuovo, senza interruzioni e senza la mediazione di alcun potere ecclesiastico. Ipazia insegnava ad entrare dentro di sé (nell’intelletto) guardando fuori la volta stellata, mostrando come procedere in questo cammino - decisamente iniziatico -  con il rigore proprio della geometria e dell’aritmetica che tenute insieme costituivano un canone di ricerca della verità. 

Ipazia era certamente anche una guida spirituale: la devozione che Sinesio le esprime nell’epistolario - tanto più singolare se consideriamo che le sue parole erano rivolte a una coetanea - si spiega solo supponendo un legame “sacro” tra loro, quasi sacerdotale. 

Questa di Ipazia di Alessandria era certamente una figura scomoda per il movimento antipagano germogliato in quegli anni e a cui aveva partecipato tutta la chiesa d’Egitto, in un clima di guerriglia civile e religiosa. Era nato il movimento monastico per sostenere il vescovo Teofilo prima e il nipote di questi Cirillo poi. Questi monaci erano un nugolo di uomini che conducevano una vita da porci e compivano apertamente crimini innominabili.

Cirillo, avido e ottuso, contraddisse col suo episcopato l’idea di tolleranza propugnata dall’editto di Costantino, così come le tendenze conciliatorie tra paganesimo e cristianesimo che l’imperatore aveva appoggiato politicamente e giuridicamente sancito. 

Il potere di Ipazia era però di altro tipo  sebbene altrettanto indiscusso fosse quello sociale e politico. Il tipo di Philosophia di Ipazia va incluso, prima che nella storia del pensiero in quella del rapporto, tanto pagano quanto cristiano, fra la donna e il sacro. 

In questa visione la sua importanza va collocata nella linea di successione di capi o gran maestri, esoterica, non segreta che stando alle testimonianze di Sinesio la vide alla guida della confraternita neoplatonica più importante della sua epoca. Fu un vero anello della catena di avvicendamento (diadoche) nella tradizione iniziatica neoplatonica. In poche parole si può sostenere  che questa linea sotterranea di platonismo intrisa di pitagorismo e sapienza zodiacale caldea continuerà il suo percorso per tutto il millennio bizantino anche con la contaminazione di intellettuali ecclesiastici come Bessarione. 

Ipazia, nella sua scuola di pensiero, contaminò attraverso la tolleranza la razionalità cristallina della filosofia platonica ateniese con la tradizione iniziatica ed esoterica mediorientale nata e sviluppatasi in terra d’Egitto. Sempre attraverso la tolleranza Ipazia incluse la compagine cristiana in quello che mi piace definire, personalmente, un apostolato iniziatico di sapienza. 

Questa forma di proto-massoneria rimase aperta soprattutto alle donne fino ai gradi più alti di iniziazione se non a posizioni di vertice come quello di Ipazia. Fu solo col suo passaggio a Occidente e il suo trasfondersi, attraverso il caposcuola Gemisto (detto Pletone nato nel 1355 a Costantinopoli), nelle accademie platoniche europee, che la componente femminile, fino ad allora vitale ed illustre, scomparve. 

Per concludere nel V secolo Ipazia Muore. E’ l’8 marzo 415 d.C. e Ipazia stava percorrendo la scalinata che l’avrebbe condotta, come ogni giorno, alla sua scuola. Venne raggiunta dagli uomini vestiti di nero del Vescovo Cirillo. Le strinsero le braccia e la portarono sul luogo del martirio. Ella non venne strappata da un trono ma da una cattedra. Venne scuoiata viva, smembrata e bruciata dalla bestia dell’oscurantismo che divorava il Patriarca di Alessandria (un prelato illustre ottenebrato solo dall’emulazione, dall’ambizione e dall’invidia). Cirillo venne persino dichiarato santo benché crudele e unico colpevole di questo efferato omicidio e di altre nefandezze inenarrabili. 

Ipazia muore, dicevamo, è vero. Tuttavia non scompare, passa la fiaccola, piuttosto. Infatti il nucleo intellettuale di cui è stata vista come l’ultima esponente è quello da cui germoglierà la più rigogliosa fioritura della cultura bizantina. Lì il paganesimo sopravvivrà non solo nel platonismo filosofico ma anche nel culto popolare cristiano dove all’antico olimpo politeista si sostituirà il martirologio. 

Ai fini dei nostri studi la figura di Ipazia e i suoi insegnamenti rappresentano un punto di grande interesse. Per la prima volta in Ipazia troviamo l’anello di congiuntura tra la filosofia greca e la tradizione esoterica mediorientale, egiziana, dalla quale Ipazia attinge nell’insegnamento dell’esoterismo ad una ristretta cerchia di discepoli, come abbiamo accennato prima. 

Ipazia è alla ricerca della sapienza ma anche di una via iniziatica, di un percorso intrapreso guardando la volta celeste e scavando nel proprio intelletto, nel proprio io. Lei lo fece come caposcuola, come studiosa, insegnate e come donna. 

A qualunque cosa Ipazia sia assomigliata di più, a una studiosa, a una sacerdotessa, a un’insegnante o a una colta aristocratica trasgressiva, che abbia davvero fatto innamorare i suoi allievi, che abbia o no - non è escluso - scoperto qualcosa di nuovo, non è fondamentale. 

Che l’insegnamento iniziatico che lei impartiva all’inquieta aristocrazia ellenica offrisse o no la rivelazione che a un livello alto della teologia platonica inglobava quella cristiana e che i dogmi improbabili di quest’ultima venissero tollerati attraverso l’arte platonica della “nobile bugia” non è importante. 

Ciò che davvero conta, a mio avviso, è imparare dal passato e ogni volta che nella storia si riproporrà il conflitto tra un Cirillo e un’Ipazia quel che veramente farà la differenza sarà stare sempre dalla parte di Ipazia


Bibliografia:  

- Da Ricerche sul WEB

- TRECCANI - Enciclopedia Italiana. 

- Lavori e Ricerche Storiche di Simona Teodori.  

- Augusto Franchetti, Roma al femminile - Laterza, Roma 1994.

- Silvia Ronchey, Ipazia La vera storia, ed. best BUR - Milano 2015. 

- Gemma Beretta,  Ipazia di Alessandria, Editori Riuniti - Roma 2014.

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GLDI: 1995-2007

1995: 

anno in cui fu eletto alla guida della Gran Loggia d'Italia il pisano Franco Franchi (1926-2002), medico endocrinologo e professore universitario.

La Gran Maestranza di Franchi fu caratterizzata da una nuova spinta verso il mondo esterno: si scelse collaboratori nuovi, giovani, che portarono una ventata di novità all'obbedienza. A Firenze, per esempio, si avvalse di un ispettore provinciale che, per primo, seppur con la dovuta riservatezza, aprì la storica sede di Borgo Pinti ai profani, con iniziative culturali e politiche, tanto che molti chiamarono quel periodo "la primavera fiorentina". Franchi promosse altresì dibattiti ed iniziative pubbliche, anche a livello internazionale, ed improntò la sua Gran Maestranza ad una più fitta rete di rapporti con le principali obbedienze europee ed extraeuropee.

Questa nuova rete di rapporti internazionali portò, il 4 dicembre 1998, all'ingresso della Gran Loggia d'Italia nel S.I.M.P.A. (Secretariat International Maçonnique des Puissances Adogmatiques, Segretariato internazionale delle potenze massoniche adogmatiche). Un'altra importante iniziativa di Franchi fu quella di limitare ad un massimo di due i mandati che ogni Gran Maestro poteva svolgere.

Alla Gran Maestranza di Franco Franchi si deve anche la nascita dell'Unione Massonica del Mediterraneo, fondata nel 2001, che vede la Gran Loggia d'Italia come coordinatore unico permanente, ed alla quale aderiscono il Grande Oriente di Francia, la Gran Loggia Simbolica di Spagna, il Grande Oriente di Grecia, l'Ordine Massonico Internazionale "Delphi", la Gran Loggia Centrale del Libano, la Gran Loggia dei Cedri, la Gran Loggia liberale di Turchia e la Gran Loggia del Marocco.

La Gran Maestranza Danesin

Sia sotto la illuminata guida del Sovrano Franco Franchi che del Sovrano Luigi Danesin, la cura dei Marchi, dei Domini e dei Siti venne affidata al Fratello Giancarlo Bertollini, inclusa la prima realizzazione del Sito della Gran Loggia d'Italia.

Nel dicembre del 2001 il veneziano Luigi Danesin fu eletto Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro, succedendo a Franco Franchi alla guida dell'Obbedienza di Piazza del Gesù.

Luigi Danesin è stato riconfermato per il suo secondo mandato fino alla fine del 2007. Durante la maestranza di Danesin, la Gran Loggia d'Italia ha celebrato il duecentesimo anniversario della fondazione del Supremo Consiglio d'Italia del Rito scozzese antico ed accettato e nel 2007 i duecento anni della nascita di Giuseppe Garibaldi, già Gran Maestro della Massoneria Italiana e membro del Supremo Consiglio. Grazie all'attività di raccordo e ai rapporti internazionali portati avanti dallo stesso Luigi Danesin, il 27 maggio 2007 è stata siglata la "Dichiarazione di Roma", con la quale 24 supremi consigli di Rito scozzese provenienti da tutto il mondo sanciscono una unità d'intenti sullo sviluppo della Massoneria Scozzese a livello internazionale.

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Nella città del Papa sorge il Museo Italiano della Massoneria. Articolo del 2013, col sentito augurio di vederlo finalmente curato ed aperto in maniera stabile. Un forte abbraccio.

Aprirà al pubblico nel 2013 e ospiterà anche la più grande collezione europea sull'antimassoneria di proprietà dell'obbedienza di Piazza del Gesù Palazzo Vitelleschi.

di GIACOMO GALEAZZI

Fonte Vatican Insider ROMA

A Roma sorgerà il «sancta sanctorum» dei grembiulini e dei compassi. E’ pronta per essere esposta la collezione di documenti e oggetti storici della Gran Loggia d’Italia che entro il 2013 aprirà al pubblico il primo museo italiano della massoneria. Tra le acquisizioni più preziose, uno dei primi decreti massonici intestato ad una donna e firmato da Giuseppe Garibaldi che nel 1867 a Pisa elevò al grado di Maestro Libero Muratore «la Sorella Luigia Candia, di soli 27 anni».

Il lavoro di catalogazione e organizzazione iniziato nel 2007 ha consentito di studiare e riportare alla luce centinaia di documenti e di oggetti di grande valore storico e archivistico che con l’apertura del Museo di Palazzo Vitelleschi saranno messi a disposizioni di studiosi e storici e di quanti vorranno scoprire e conoscere in maniera approfondita passato e presente della Massoneria Italiana. 

Tra i documenti catalogati, ci sono i ritratti di Giuseppe Mazzini autografi del periodo londinese e in età giovanile; il testo del Canto di guerra di Goffredo Mameli con note musicali inviato da Mazzini a Giuseppe Verdi; documenti del 1852 con firme autografe di Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Mattia Montecchi; le Lettere di Giovanni Giolitti (1907) per la commemorazione in Campidoglio di Giosuè Carducci; manifesti, decreti e notifiche riferibili alla Repubblica Romana 1849; lettere manoscritte di Albert Pike (1883) e Timoteo Riboli, amico e medico personale di Garibaldi; Editti antimassonici dei Savoia, Bolle e Regi Decreti antimassonici di Napoleone; paramenti di Loggia appartenuti a Ernesto Nathan, Gran Maestro e Sindaco di Roma insieme a Riviste originali di inizio '900 con articoli e vignette satiriche contro la massoneria. 

Tra gli oggetti più recenti, il giuramento massonico di Ugo Pratt, iniziato a Venezia nel 1976 insieme alla spada di Venerabile e ai suoi paramenti di Loggia. Diversi anche gli editti papali contro la massoneria; le Lettere Apostoliche di Papa Pio VII con le quali si condanna la società detta de’carbonari. Roma MDCCXXL, o quella di Leone XIII (1884). Sono 42 volumi contenenti 20414 "schede" di affiliati della Serenissima Gran Loggia d'Italia tra il 1916 e il 1925. Nell'insieme si tratta di materiale di notevole interesse per la storia della Gran Loggia d'Italia e della Massoneria italiana in particolare tra la Grande Guerra e l'avvento del regime del partito unico, sia per storia sociale e civile del Paese. Dai registri matricola si possono trarre alcune considerazioni. In primo luogo emerge che negli anni in questione la massoneria ebbe una vitalità straordinaria e balza evidente la forte compenetrazione tra la Massoneria e lo Stato;

In Loggia infatti affluiscono militari delle diverse Armi (Esercito, Marina, Guardia di Finanza, aviatori) anche di grado molto elevato; Magistrati e Prefetti, come Angelo Annaratone, prefetto di fiducia di Giovanni Giolitti); politici; scrittori e giornalisti; imprenditori, banchieri, dirigenti d'industria; apparati pubblici dello Stato e del parastato; professioni liberali; docenti e studenti universitari.

Ne emerge che negli anni documentati dai registri Matricola la Massoneria, e specialmente la Gran Loggia, era espressione della società civile. Essa risulta molto diffusa e radicata nelle regioni all'avanguardia nell'industrializzazione (Lombardia, Piemonte e Liguria) come anche nel Mezzogiorno (dalla Sicilia a Calabria e Campania) e nella Capitale.

Inoltre, le iniziazioni si moltiplicano alla vigilia e dopo l'avvento del governo Mussolini (settembre- dicembre 1922) e non diminuiscono affatto nel 1923 dopo i primi annunci di incompatibilità tra iscrizione al Partito nazionale fascista e affiliazione massonica (1923) ma anzi, registrano un significativo incremento nella primavera del 1924 segnato dalle elezioni politiche generali, poi dal rapimento e assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti e continuano anche nella prima metà del 1925, quando ormai incombevano sia la legge sull'appartenenza dei pubblici impiegati ad associazioni che comportò l'autoscioglimento delle Organizzazioni massoniche, sia assalti alle logge con dispersione di arredi e documenti. 

Tra i nomi illustri che si trovano nei Registri-matricola, quelli di Curzio Malaparte, (Curzio Suckert) che raggiunge il 33° grado il 28 maggio 1924; Italo Balbo; il Generale Giovanni Ameglio; Michele Terzaghi; il maresciallo d'Italia Ugo Cavallero; l'ammiraglio Luigi Mascherpa; il sindacalista Edmondo Rossoni, che ottiene il grado scozzesista supremo nel marzo 1924 e poi ancora Vittorio Valletta, stratega dalla Fiat insieme a nomi illustri del mondo della cultura e dello spettacolo quali Antonio de Curtis, in arte Totò, Gino Cervi e Paolo Stoppa.

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Vendetta, Giustizia e Banalità

La banalità del male di: Hannah Arendt 

Hannah Arendt nasce nel 1906 a Hannover da famiglia ebraica: ciò sarà fondamentale nella sua vita. 

Studia filosofia in diverse università con i più grandi maestri dell’epoca, tra cui anche Martin Heidegger, con il quale ebbe anche una relazione sentimentale intensa e sofferta, date le simpatie naziste del filosofo, che fu anche membro del Partito.

Questo amore resisterà anche alla totale diversità di scelte biografiche e culturali dei due, tant’è che dopo la guerra questa relazione durerà ancora.

La Arendt, costretta ad emigrare per le persecuzioni naziste, va prima in Francia e poi negli USA dove insegna presso diversi atenei, fino alla morte nel 1975

La banalità del male è una delle opere più importanti di Hannah Arendt. 

Il libro è stato scritto nel 1963 in seguito al processo contro il criminale nazista Adolf Eichmann, arrestato in Argentina nel 1960. Durante il processo, al quale prese parte in qualità di inviata speciale del “New Yorker”, Hannah Arendt si rese conto che l’uomo, privo di pensiero, si limitava a mettere in pratica gli ordini ricevuti.

Le cause dell’antisemitismo, dunque, sono state:

l’assenza di scrupoli di coscienza;

il meccanicismo nell’eseguire gli ordini.

Quando si verificano tali condizioni, l’uomo diventa capace delle più disumane atrocità. A causa di queste sue riflessioni, la Arendt è stata criticata ed additata dal mondo ebraico, al quale ella stessa apparteneva, per aver sottovalutato il fenomeno nazista.

La responsabilità di Eichmann, colpevole di aver destinato gli ebrei nei campi di concentramento, fu in qualche modo “tecnica”, ma non per questo meno grave. Tuttavia, interrogato nel corso del processo, l’ex gerarca afferma di aver esclusivamente eseguito degli ordini ricevuti, come se questo bastasse per scagionarlo.

La banalità del male, una breve analisi.

La motivazione che Hannah Arendt dà rispetto a questa mancata assunzione di responsabilità e di comprensione della gravità del fenomeno è che i crimini nazisti non sono stati dovuti tanto alla crudeltà dei loro carnefici, ma al fatto che i protagonisti delle atrocità verso gli ebrei si fossero in qualche modo “privati” di pensiero, pienamente inseriti all’interno del meccanismo nazista.

I nazisti, quindi, non sarebbero affatto incarnazioni degli aspetti più spregevoli dell’animo umano, ma banali individui inseriti all’interno di un meccanismo infernale. Il che comporta una pericolosa considerazione: chiunque, inserito nello stesso meccanismo, potrebbe agire nello stesso modo.

Infatti un buon padre di famiglia, un burocrate, o in generale una persona normale e banale può ritrovarsi a fare del male se inserito in un meccanismo politico–sociale o in un apparato poliziesco che lo spingono ad agire senza pensare.

Il nazismo aveva quindi tolto ai tedeschi la capacità di pensare, ovvero di giudicare le proprie azioni. I campi di concentramento non solo hanno distrutto fisicamente ma soprattutto hanno spogliato l’identità di essere uomini, svilendo alla radice la capacità di giudicare i propri atti.

In conclusione, Eichmann stesso non sarebbe altro che un uomo comune, superficiale e mediocre, incapace di pensare al valore morale dei propri atti. Dietro questa mediocrità, vi è la banalità del male, poiché sono individui banalmente comuni a poter compiere il male. Come Eichmann ce ne potrebbero essere altri milioni: il nazismo infatti non incarna il male in sé, ma il fatto di aver condotto uomini banali, a compiere del male atroce. Lo stesso, in una forma leggermente diversa, potrebbe anche essere applicato agli scienziati che hanno lavorato alla bomba atomica senza pensare alle sue conseguenze.

La comunità ebraica considerò molto negativamente lo scritto della Arendt, imputandole la responsabilità dell’assoluzione di Eichmann e una riduzione della responsabilità dei nazisti: nel saggio della Arendt infatti manca del tutto la dicotomia nazisti=demoni/ebrei=angeli presente fino a quel momento nell’immaginario collettivo postbellico.

Ecco alcune frasi tratte dal saggio di Hannah Arendt

* Hitler, disse, "avrà anche sbagliato su tutta la linea; ma una cosa è certa: fu un uomo capace di farsi strada e salire dal grado di caporale dell'esercito tedesco al rango di Führer di una nazione di quasi ottanta milioni di persone... Il suo successo bastò da solo a dimostrarmi che dovevo sottostargli". 

E in effetti la sua coscienza si tranquillizzò al vedere lo zelo con cui la "buona società" reagiva dappertutto allo stesso suo modo. 

* Egli non ebbe bisogno di "chiudere gli orecchi", come si espresse il verdetto, "per non ascoltare la voce della coscienza": non perché non avesse una coscienza, ma perché la sua coscienza gli parlava con una "voce rispettabile", la voce della rispettabile società che lo circondava.

L'Italia era uno dei pochi paesi d'Europa dove ogni misura antisemita era decisamente impopolare.

Quel che ora penso veramente è che il male non è mai "radicale", ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso "sfida", come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. 

Questa è la sua "banalità". 

Solo il bene è profondo e può essere radicale

Adolf Eichmann, condannato a Norimberga per la Shoah, senza aver materialmnte mai ucciso nessuno, ma per aver semplicemente "ubbidito ad ordini ingiusti", e dunque pieno concorrente nell'orrore per aver dato contributo determinante, mediante ubbidienza all'ordine ingiusto e discriminatorio, come un burocrate tranquillo ed incolore, ossequiente e sottomesso ai vertici del Regime, dando così sostanza a quel che, osservandolo, fù definita "la banalità del male". 

L'ubbidienza acritica e prostrata è quel che il Cavaliere combatte "per la causa della civiltà contro la barbarie. Per... tutti coloro che sono nelle tenebre... Per la Libertà di pensiero... Per la causa... della lotta eterna contro l'ignoranza", è veleno che uccide l'intelligenza e le sue potenzialità di Luce e che altrettando guida o dovrebbe guidare il Supremo Tribunale.

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Ed in Massoneria

Davanti ad una Vendetta (quasi sempre rapida e frutto dell’ira di un singolo) come ci comportiamo? 

E la Giustizia? (sempre frutto di meditazione da parte di una commissione, e maturata nel tempo dal confronto di idee e regolamenti, nonostante questo a volte vediamo sentenze errate o peggio dettate dalla malafede). 

Ricordando sempre che vedere senza intervenire ci rende COMPLICI.

Gianmichele Galassi in un suo Saggio, sostanzialmente dice: 

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Vendetta e Giustizia.

L’argomento centrale che traccia la base del costrutto simbolico-iniziatico è certamente individuabile nella “vendetta”. 

Come al solito, nel IX grado il tema si dipana attraverso le vicissitudini del giovane Maestro Joabert, principale attore della vicenda che si propone di presentare, pulsioni, sentimenti, azioni e reazioni umane di fronte alla “vendetta”. Ancora una volta, lo psicodramma iniziatico presente nella cerimonia rituale del grado va solcando precise direzioni di intervento che debbono essere prima assimilate, poi ripercorse al fine di vincere la sfida personale per chiunque si trovi in tale situazione.

Il sentimento di Vendetta può, infatti, essere o divenire una pulsione incontenibile, alimentata da potenti forze vuoi dell’ira vuoi dalle altre legate alla disperazione derivante dall’incapacità o impotenza di porre rimedio all’accaduto; ecco la necessità del Supremo Tribunale del XXXI. 

Il racconto su Joabert apre su ulteriori possibili strade da battere per l’iniziato che sappia controllare i propri impulsi, anche i più forti: alla “vendetta” deve necessariamente sostituirsi la “Giustizia”, come sapientemente fa notare il Saggio Re Salomone con il suo esempio.

Il sangue genera sempre altro sangue, se nessuno ha coraggio e forza per spezzare la tragica catena. Infatti, il gesto di disobbedienza dettato dall’ira e cosparso dal sangue dell’assassino del Maestro Hiram, ha macchiato indissolubilmente le mani e la coscienza del giovane Maestro Joabert che da Uomo è divenuto egli stesso assassino, sostituendosi alla “vera Giustizia”.

Il rituale insegna che essere giustizieri violenti, guidati dalla vendetta ed accecati dall’ira, non rende molto diversi da coloro che hanno compiuto il primo delitto per altri scellerati motivi.

Come accennato, solo un atto di clemenza può arrestare un’escalation di sangue e vendetta, nel nostro caso la spirale di violenza è interrotta da Salomone che ferma il Cav. Stolkin pronto a colpire mortalmente il giovane Joabert, con queste sagge parole: 

“Insensato! Ed ora è la vostra volta di coprirvi di sangue? 

Non credete che uccidendo questo Uomo, altri faranno ciò che voi gli fate?”.

Conclusioni.

Colui che ha raggiunto un così elevato livello iniziatico ha in sé quelle qualità che gli permettono una lettura consona del rituale nei tratti più prettamente esoterici. Al tempo stesso, però, la vicenda insegna che pur possedendo la dignità di Maestri, come lo stesso Joabert, non siamo al riparo da scivolamenti o ricadute, sebbene ci si riferisca ad un contesto piuttosto particolare. Comprendiamo, quindi, ancora una volta che essere Maestri non è condizione sufficiente a rilassarsi, bensì ci viene ricordato e ribadito quanto la strada da percorrere per il nostro perfezionamento sia ancora lunga e ripida.

Detto ciò, il Cavaliere Eletto dei Nove, per completare il cammino nel grado, dovrebbe tentare di sommare, alle qualità e virtù richieste ad un Cavaliere, le capacità interpretative del simbolo e le caratteristiche di un Maestro Massone Speculativo; del resto dalla sua iniziazione a Maestro Segreto deve aver comunque compiuto i passi necessari alla propria elevazione nei gradi intermedi sebbene non praticati ritualmente. Tale status “spirituale-iniziatico” si rivelerà la conditio sine qua non per la comprensione esoterica dei successivi simbolici gradini che conducono alla soglia della dimensione filosofica rappresentata dal Principe Rosa+Croce, ultimo vero salto dimensionale dell’Universo iniziatico che dai “piccoli misteri” trascende ai “maggiori”. 

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E il Perdono

Chi sono io per perdonare? Perdonare chi? Perdonare cosa? 

Forse il torto che ritengo di aver subito me lo meritavo. Pensiamo a Jimmy Linch (dal quale il termine Linciaggio) che gettando una corda oltre il ramo di un albero procedeva all’impiccagione spacciandola per Giustizia. Pensiamo alle “Faide” purtroppo ancora esistenti in alcune zone, si uccide uno o più componenti di una famiglia per vendicare uno o più uccisi della propria. 

Ci sono casi dove gli assassini non ricordano più nemmeno come è iniziata ma continuano a perpetrare. 

Ho avuto la fortuna di poter girare quasi tutto il Mondo e, tra le cose che mi hanno colpito profondamente ce ne è una che voglio condividere con Voi. 

In una tribù nel Cuore dell’Africa ero seduto col gentilissimo Capo che mi ha offerto una bevanda fatta da loro (mi auguro di non doverla mai più bere) quando sono arrivati due giovani che litigavano (con famiglie al seguito) per chiedere giustizia e il Capo non si è schierato emettendo un giudizio ma ha chiamato tre anziani (dopo mi hanno spiegato che erano ufficialmente la loro Commissione dei Saggi) per farsi raccontare le due versioni della diatriba, poi si sono allontanati e dopo una ventina di minuti sono tornati emettendo la loro Sentenza di Giustizia. Ecco nessuno ha tentato di vendicare un torto ma hanno cercato GIUSTIZIA, dovere preciso del Supremo Tribunale.

Ora tentiamo di far funzionare il nostro Sistema di Giustizia e scaviamo oscure e profonde prigioni al Vizio e alla Vendetta. 

Vi abbraccio Tutti. 

                     Giancarlo Bertollini

La Cena Mistica dei Principi RosaCroce

Da un vecchio Rituale. Esso recita e ci ricorda: 

Fratelli, l’Agape che stiamo per consumare è di lontanissima origine ed è un Rito consacrato agli undici Rosa+Croce del XVI secolo. Era un obbligo essenziale per essi di trovarsi uniti una volta all’anno; in qualsiasi paese si trovasse un Rosa+Croce, egli doveva il Giovedì Santo, recarsi in una delle città… ove vi fosse una delle loro sedi che si chiamava 

Casa dello Spirito Santo.

In tale banchetto ogni Rosa+Croce doveva dar conto dei lavori da lui compiuti durante l’anno ed ognuno così poteva venire a conoscenza del Lavoro comune.

Dopo il banchetto ogni Rosa+Croce riprendeva le sue peregrinazioni raccogliendo ciò che poteva servire allo studio delle scienze naturali e spargendo intorno a sé i germi della scienza e della libertà”. 

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Vogliamo tutti diventare la nostra versione migliore. Ma migliorare la nostra vita richiede impegno e lavoro costante.

Infatti, la chiave principale per sapere come migliorare la tua vita o come essere una persona migliore è concentrarsi su quelle cose che sono veramente importanti e buone per te, come sfidare i nostri pensieri negativi, imparare a rispettare noi stessi, gestire il nostro stress e soprattutto conoscere di più noi stessi. 

Quindi quali sono le chiavi per migliorare te stesso? 

Come migliorare te stesso?

In molti casi, anche se identifichiamo le nostre cattive abitudini, è molto comune per noi avere difficoltà a imparare a rimanere su un percorso che ci aiuta a migliorarci quotidianamente. 

Pertanto, se vuoi concentrarti sull'imparare a migliorare la tua vita, ti consigliamo di considerare quanto segue:

  1. Concentrati sulla tua conoscenza di te stesso: è importante capire che per sapere come migliorare, dobbiamo prima imparare a capire cosa vogliamo e, soprattutto, concentrarci sulla nostra conoscenza di noi stessi. Pertanto, comprendendo meglio noi stessi, possiamo concentrare la nostra vita anche su quegli aspetti che hanno davvero rilevanza per noi. Prestandoci attenzione, finiremo per capire cosa fare per sapere come essere una persona migliore e soprattutto noi stessi.
  2. Individua cosa ti sta bloccando: Il modo migliore per imparare a migliorare la nostra vita è proprio identificare quelle cose che ci ostacolano, cioè le abitudini, le persone o i pensieri che finiscono per influenzarci verso uno stile di vita per noi negativo. . Tutto ciò che pensi ti stia disturbando, dovresti provare ad analizzarne il motivo e vedere una possibile soluzione a questo problema. Per essere in grado di rilevare quegli elementi che ti bloccano, puoi essere guidato da tre passaggi. Il primo è riflettere per capire le cose da un'altra prospettiva. Il secondo è vedere come sta influenzando la tua vita. E infine, impara ad ascoltare te stesso.
  3. Concentrati sul presente: molte persone tendono a concentrare i propri pensieri sugli errori del passato o su diverse preoccupazioni per il domani. Quando ciò accade, è molto probabile che finiscano per perdere la motivazione e, soprattutto, concentrarsi su pensieri che portano solo a una maggiore negatività. Per migliorare la tua vita e lavorare su te stesso, è importante focalizzare la nostra attenzione sul qui e ora. Cioè, impara ad essere più presente nella vita. Alcuni modi per raggiungere questo obiettivo sono: praticare la consapevolezza, accettare quelle cose che non possiamo controllare, vivere in modo più intenzionale, raggiungere la nostra pace mentale, lasciar andare gli attaccamenti malsani e perdonare noi stessi per quegli "errori" che abbiamo fatto in passato. .
  4. Migliora la tua gestione del tempo: Tra le cose che puoi fare per migliorare la tua vita in questo momento, gestire il nostro tempo può essere proprio uno dei modi più efficaci. Gestire meglio il nostro tempo non solo ti permetterà di raggiungere più obiettivi, ma anche di rimanere più motivato ed evitare di sentirti come se stessi perdendo tempo. Essere o sentirsi più produttivi ti permetterà di migliorare il tuo umore e il tuo benessere mentale.    
  5. Stabilisci obiettivi realistici e raggiungibili: uno dei modi per diventare una persona migliore è proprio avere obiettivi realistici. Spesso tendiamo a focalizzarci su obiettivi troppo ambiziosi che finiscono per farci concentrare sul risultato e non sul goderci il viaggio. Ciò implica un errore che può finire per colpirci poiché in realtà la chiave è concentrarsi sul miglioramento della nostra vita giorno dopo giorno. Pensare a come dovremmo agire quotidianamente per raggiungere diversi obiettivi ti permetterà di capire se sei davvero realista con i tuoi obiettivi personali.
  6. Sfida i tuoi pensieri negativi: una delle barriere che spesso mina i nostri tentativi di migliorare noi stessi sono i nostri stessi pensieri. In questi casi, le persone possono finire per vedere la realtà che le circonda in modo molto più negativo di quanto non sia in realtà. Ad esempio, puoi mettere in discussione i tuoi pensieri e la loro validità ragionando con loro. Cioè, chiedendosi se quello che dicono è davvero la realtà.
  7. Dormi a sufficienza: se vuoi migliorare la tua vita, devi concentrarti sul dormire a sufficienza. L'igiene del sonno dovrebbe essere uno dei punti cruciali su cui dovresti concentrarti se vuoi essere la tua versione migliore. Dovresti tenere presente che dormire bene ha un effetto sul tuo umore, sulla tua capacità di pensare, sui tuoi livelli di energia e, soprattutto, sul tuo benessere generale.
  8. Esercitati regolarmente: muovere il tuo corpo ogni giorno ti permetterà di migliorare la tua vita in tutti gli aspetti. Infatti, l'esercizio fisico non è solo una parte importante della salute fisica, ma anche della salute mentale. Fare da 30 a 60 minuti di attività fisica ogni giorno ti permetterà di sentirti più energico, di avere una mente più concentrata e di essere più ottimista.
  9. Pratica la gratitudine: incorporare più gratitudine nella tua quotidianità migliorerà il modo in cui affronti la tua vita. Inoltre, ti permetterà di concentrarti sul miglioramento della tua vita e di lavorare di più su te stesso, poiché avrai più motivazione. Per diventare più grato, puoi provare a fare un elenco di tutte le cose positive della tua vita, oltre a riconoscere ciò che hai raggiunto e tenere conto di ciò che ti portano le persone intorno a te.
  10. Imposta un'intenzione: se vuoi migliorare te stesso, una delle chiavi è concentrarsi su un obiettivo specifico. Stabilire un'intenzione, cioè tenere a mente ciò che vogliamo ti permetterà di ottenere ciò che desideri tanto.

In molti casi può essere difficile capire come migliorare noi stessi. Ma, quando riusciamo a concentrarci su noi stessi e su ciò che veramente vogliamo e desideriamo, questo finirà per farci diventare la nostra versione migliore.

Tratto ed elaborato da ricerche sul WEB e da Guida Psicologi.

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IL MITO DELLA VENDETTA TEMPLARE.

Parigi, 21 gennaio 1793. Luigi XVI viene condannato a morte. Leggenda vuole che, alla vista della testa mozzata esposta dal boia Sanson, dalla folla si sarebbe levato il grido: «Jacques de Molay, sei stato vendicato!». 

Si compie in questo modo la vendetta dell'ultimo Gran Maestro dei Templari, Jacques de Molay, mandato a morte quattro secoli prima da un altro re francese, Filippo il Bello.

Nonostante Luigi XVI appartenesse a un'altra dinastia - la maledizione del Gran Maestro avrebbe colpito sino alla tredicesima generazione - questa leggenda si diffuse in pieno clima rivoluzionario. I giacobini in primis ma anche illuministi e massoni facevano a gara a paragonarsi, nei molti pamphlet stampati in Francia Germania e Inghilterra, ai cavalieri del Tempio in lotta contro la monarchia e la Chiesa. D'altro lato anche l’ideologia reazionaria dipingeva i Templari come dei sovversivi, cultori di magia nera e adoratori di Satana, il cui spirito di vendetta si sarebbe tramandato ai rivoltosi, sacrileghi, giacobini.

Per esempio, Charles Louis Cadet de Gassicourt, nel suo "La tomba di Jacques de Molay" (1797), raccontava come massoni e illuminati risalirebbero, secondo un'interrotta linea, ai templari. Le teorie cospiratrici frammassoni erano avallate anche in un saggio del prete controrivoluzionario, il gesuita Augustin Barruel. Nella sue "Memorie per la storia del giacobinismo" Barruel descrive la Rivoluzione francese con un deliberato complotto ordito da filosofi, massoni e giacobini per rovesciare il trono, l'altare e tutta la società aristocratica in Europa. Qui i templari non erano che gli appartenenti di una setta che tramandava la demoniaca eresia manichea attraverso i catari, e che annoverava eversori come Cola di Rienzo, Masaniello, l'assassino di Enrico IV, Robespierre e Danton.

A queste mitografie si legano così fenomeni come il templarismo e le innumerevoli fantasie letterarie che vogliono i cavalieri del Tempio custodi del segreto del Graal o meglio del "Sang Réal" (la rivelazione che Cristo non morì sulla croce, ma sposando Maria Maddalena dette origine alla dinastia dei re francesi). Temi che ritroviamo più o meno rielaborati nel famosissimo "Il Codice da Vinci" di Dan Brown o ne "Il pendolo di Foucault di Umberto Eco"; ma anche in un popolarissimo videogame, Assassin’s Creed (2007), in cui i Templari lottano segretamente contro la setta degli Assassini per i governo del mondo.

Non esistono fonti a sostegno di tale sopravvivenza dell'ordine, ma soltanto romantiche suggestioni esoteriche. La pretesa di una linea che, senza soluzione di continuità, unisce i templari - ordine storicamente sciolto con la bolla Vox in excelso - alle varie logge massoniche o alle varie confraternite neotemplari odierne è un'invenzione, degna di essere studiata in quanto tale, come un medievalismo.

Mi permetto di aggiungere che, con la scoperta della Pergamena di Chinon, la linea di continuità potrebbe esistere ed ha aperto nuove possibilità di studio e ricerca: 

https://granconsigliomassonico.blogspot.com/2024/04/la-pergamena-di-chinon-1308.html

da ricerche sul Web di Giancarlo Bertollini

Per approfondire:

Franco Cardini, "Templari e templarismo: storia, mito, menzogne"

Barbara Frale, "La leggenda nera dei templari"

Tommaso di Carpegna, "La leggenda templare. Un caso emblematico di medievalismo contemporaneo"

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Religioni in Africa

Le religioni tradizionali africane sono le credenze religiose originatesi e sviluppatesi nel continente africano. Anche se le religioni abramitiche e in particolare il Cristianesimo e l'Islam hanno in molti casi rimpiazzato le religioni tradizionali in epoche più o meno recenti, si stima che 100 milioni di africani, pari a circa il 10% della popolazione totale, professino ancora tali credenze, senza contare l'elevato grado di sincretismo che spesso fonde elementi tradizionali con i nuovi culti.

Le religioni africane sono un argomento multiforme nelle loro manifestazioni ed anche nella loro evoluzione storica, pur restringendo il campo alla sola regione a sud del Sahara, che esclude quindi i territori in passato coperti dalla religione egizia, cartaginese e berbera.

Le difficoltà nello studio dei miti e delle religioni subsahariane.

La barriera sahariana.

Il continente africano, seppur geograficamente compatto, presenta una barriera non indifferente nel deserto del Sahara, per cui gli africanisti considerano una zona maggiormente omogenea a sud di questo deserto, nonostante a sua volta tale area non presenti una popolazione uniforme: vi abitano da migliaia di anni popoli completamente diversi, senza considerare le differenze linguisticheantropologiche e, appunto, religiose.

La documentazione.

La ricerca sulle religioni dell'Africa subsahariana è ostacolata da una penuria di documenti e testimonianze storiche, causata dalla tradizione orale tipica della zona. Tale tradizione restituisce molto materiale al riguardo, spesso non tralasciando minuziosi particolari, ma ha il notevole inconveniente di non riuscire a delineare l'evoluzione religiosa nel tempo.

Fanno eccezione per il passato le relazioni degli esploratori medievali arabi sul Sudan, ed andando ancora più a ritroso, i monumenti preistorici, anche se tombe dotate di ricco corredo funebre rappresentino un'eccezione nell'Africa tropicale. Le raffigurazioni rupestri, particolarmente diffuse, offrono utili elementi per lo studio delle religioni, ma nell'ordine di ipotesi che spesso trovano discordanza di pareri tra gli studiosi.

Il concetto di religione.

Considerando i fenomeni religiosi rintracciabili nell'Africa tropicale, la miglior definizione di religione è quella data da Gerardus van der Leeuw: "il rapporto con una entità sovrastante". Da tale definizione risultano precisate due caratteristiche sostanziali del fenomeno religioso quali:

  • L'esistenza di una entità superiore all'individuo, nei cui confronti questi è pressoché un oggetto
  • L'entità non è a sé stante, poiché l'individuo ha con essa rapporti, siano positivi o negativi.

Inoltre sono rappresentati sia l'elemento passivo che quello attivo, ovvero l'esperienza che l'individuo fa dell'entità sovrastante, ed il comportamento verso quest'ultima.

Le religioni naturistiche ed i loro fenomeni.

Il rapporto tra individuo ed entità.

Nell'Africa tropicale si trovano esclusivamente religioni autoctone di tipo naturistico, ovvero professate da popoli allo stato di natura, ciò non significa l'assenza di incivilimento e di capacità di padroneggiare la vita del mondo circostante. Ciò che distingue principalmente l'uomo allo stato di natura è il suo vivere il mondo che lo circonda come suo intimo componente, considerando inscindibili i concetti di trascendente ed immanente.

Tali credenze spiegano le difficoltà umane, come morte, malattia, siccità, carestia, sfortuna. La ricerca della comprensione di tali fenomeni, sin dalla preistoria, pur avvalendosi del nesso fra causa ed effetto, non tiene conto del concetto di causalità, e pone l'entità sovrastante, a cui si sente legato, sul piano religioso. Questa entità non si manifesta marginalmente ma incombe sull'uomo ed è comprensibile che egli, per il suo istinto di autoconservazione, non la subisca passivamente, e cerchi di difendere la sua vita terrena, ma anche ultraterrena, in quanto solitamente le due esistenze vengono immaginate quali non nettamente distinte.

L'entità sovrastante non personificata.

Nelle religioni dell'Africa tropicale, le forze che circondano l'uomo non vengono mai considerate qualche cosa di naturale: il movimento del cielo, l'alternanza delle stagioni, sono emanazioni di una forza che è presente dappertutto e che agisce secondo determinate leggi. Dato che tale forza ha di solito carattere magico, è possibile tenerla sotto controllo e persino padroneggiarla, conoscendone le leggi e le regole per indirizzarla nella giusta direzione.

Tali forze hanno concentrazioni particolari, come ad esempio nelle sostanze espulse dal corpo. In tal senso il sangue è una sostanza speciale, così come carichi di forza sono creduti i genitali, il cuore ed il fegato. Anche la natura è sede di forze, specialmente le forme organiche come piante ed alberi, e questo concetto a volte è persino espresso nel linguaggio come nel caso delle lingue bantu, nelle quali il concetto di cosa non è differenziato secondo genere grammaticale, bensì in classi tra cui una che individua ciò che è vivente ma non personificato, quindi animato magicamente.

Luoghi in cui è presente una sviluppata vegetazione racchiude quindi forze magiche e così può dirsi anche dell'acqua, la cui forza consiste nel dare refrigerio. Tra gli animali, i portatori di forza sono solitamente coloro che volano e coloro che strisciano. Infine non vanno dimenticati gli uomini, tra cui si distinguono i cosiddetti uomini-medicina e, in alcune zone, anche i capi.

Tra le forze che non hanno base materiale, una tra le più temute nell'Africa tropicale è lo sguardo, temuto quale malocchio non soltanto in Africa, così a persone non invitate è proibito assistere ad un banchetto, in modo che lo sguardo non alteri il cibo. Dello stesso genere sono le forze contenute nei gesti, ed ancora di più nelle parole e nei suoni: l'essere vivente e la parola formano un tutto indissolubile, per questo nell'area è diffusa l'idea che conoscere il nome di un individuo faccia acquistare potere su di lui, a tal punto che molti, nel momento di assumere un lavoro in terra straniera, erano soliti cambiare nome.

Ruolo rilevante assume anche il tempo, per cui ci sono giorni favorevoli per determinate occupazioni: gli Akan del Ghana non coltivano i campi il giovedì, nell'Africa orientale il venerdì è considerato di buon auspicio per la nascita di un bambino.

La determinazione di queste forze in genere è determinata da ciò che è fuori dall'ordinario. Le popolazioni dell'Africa tropicale posseggono uno spiccato senso delle norme senza le quali la vita sociale ed economica sarebbe impensabile, attribuiscono pertanto qualsiasi avvenimento inconsueto, sia esso interno alla società come la nascita di gemelli, o un fenomeno naturale come una prolungata siccità, ad una forza specifica. Parimenti vengono considerati carichi di forza quegli animali che possiedono capacità negate agli uomini come gli uccelli con il volo, o gli animali striscianti per la loro capacità di sparire nel sottosuolo.

Una definizione scientifica di tali forze risulta quindi piuttosto complicato, Ernast Dammann, non volendo rinunciare ad un vocabolo specifico, ritiene dinamismo il più calzante, perché esprime il concetto di energia e di attività che costituisce l'essenza della forza.

L'entità sovrastante personificata.

Anima.

W. Wundt ha fissato la distinzione fra anima vincolata ed anima libera: la prima è la forza connessa ad un determinato organo ed alla sua funzione, si può quindi riconoscere come un'entità sovrastante non personificata.

Solitamente le popolazioni in considerazione ritengono che l'individuo sia formato da vari elementi i quali si separano al momento della morte, di solito sono tre: corpo, forza vitale ed anima, che per i Sotho corrispondono grosso modo a mele (o nama), moea (che significa anche "vento") e seriti. Tra questi tre elementi sussistono rapporti, e l'anima solitamente viene individuata come elemento imperituro, che sopravvive agli altri due elementi. L'anima come è stata definita, non solo è personificata ma indipendente dal corpo, a tal punto che per alcune culture come i Dan, può lasciarlo anche mentre l'individuo è in vita. L'anima spesso viene descritta con aspetto umano o zoomorfo.

Le concezioni sul destino ultraterreno dell'anima sono invece molteplici, e differiscono anche all'interno della stessa tribù, come nel caso dei Kundu del Camerun e le tribù limitrofe: normalmente i defunti si riuniscono con le anime degli antenati nella città sotterranea dei morti, ma chi muore all'improvviso o per ferite, va in cielo. Ma in generale tutte le culture in esame credono nella sopravvivenza dell'anima anche se la forma di tale sopravvivenza va da uno stato pressoché umano a quello di fantasma senza pace, e non viene mai a meno la credenza che tali anime possano lasciare le loro dimore ultraterrene per influire sulla vita degli uomini.

Il destino ultraterreno dell'anima è descritto minuziosamente da molte delle popolazioni dell'Africa subsahariana. In molti casi essa rimane per un certo tempo nei pressi del cadavere, il mondo sotterraneo dove risiedono le anime solitamente dista molto da quello dei vivi e non di rado ve ne è separato da un fiume. In molte di queste culture è persistente l'elemento corporeo dell'anima, come nei Kosi e negli Zulu, per cui l'anima subisce una evoluzione e solo dopo un certo tempo ed un rito appropriato muta in un'autentica anima degli antenati, ed i Chaga che conoscono diverse categorie di spiriti, in base al tempo trascorso dalla morte dell'individuo.

Nell'entrare nel mondo dei defunti, in alcune culture le anime sono sottoposte ad una specie di processo di cui si incaricano gli stessi antenati defunti, i Kosi ritengono che se in giudizio sia negativo, l'anima venga distrutta con il fuoco, in tal senso l'annientamento dell'anima rappresenta la peggior sorte ultraterrena.

L'idea della trasmigrazione dell'anima in un animale non è molto diffusa, la si trova presso i Kung che ritengono il serpente, il varano e l'antilope maschio sedi delle anime dei morti. Nell'Africa occidentale è diffusa la credenza che i defunti sopravvivano in animali terrestri o acquatici, in modo particolare nel coccodrillo. L'autonomia dell'anima dal corpo pone però il caso, diffuso, della reincarnazione in un altro individuo umano, presso i Kosi chi muore prematuramente si reincarna per tentare nuovamente di diventare un'anima di antenato, mentre per gli Ewe se un'anima soffre troppo nel mondo ultraterreno, viene rimandata sulla terra e sono i sacerdoti che accertano l'identità del neonato in uno dei suoi antenati.

Va infine considerata tra le forme di sopravvivenza dell'anima quella del fantasma, ovvero persone defunte che non sono riuscite ad entrare nel mondo dei defunti per la mancanza di una regolare sepoltura, mentre per i Bergdama i fantasmi sono coloro che in vita sono stati iracondi e maldicenti.

L'importanza della sopravvivenza dell'anima pone in quasi tutte le culture il quesito sulla preesistenza dell'anima, a questo aspetto prestano molta attenzione specialmente le tribù del Burkina Faso e delle coste settentrionali della Guinea, sempre secondo gli Ewe esiste una sorta di paese delle anime governato da una madre degli spiriti che decide chi e quando mandare sulla terra dopo avergli insegnato le regole di comportamento umane, spesso proprio il destino in vita è determinato da quello che è successo precedentemente e nel viaggio dal mondo delle anime al mondo degli esseri umani.

Spirito.

Oltre alle anime dei defunti, vi sono altri esseri che operano invisibili, anche talvolta sono in grado di mostrarsi all'uomo. La loro esatta definizione non è semplice, si può utilizzare anche la parola demone se si intende con essa un numen divinum. La credenza è diffusa in tutta l'Africa subsahariana ed in svariati casi gli spiriti influenzano anche sulla prosperità dei prodotti dei campi, o assumono le funzioni degli spiriti della vegetazione, oppure esercitano benefico influsso su case, villaggi o in ambito di mestieri o classi sociali. Sovente le malattie mentali sono credute opera di spiriti, che si impossessano del corpo e possono essere scacciati solo grazie ad esorcismi.

Riguardo al regno animale, evitando confusioni con il fenomeno del totemismo, ci sono alcuni singoli spiriti che sono associati a determinati animali: fra i Nuer lo spirito Mabith alla giraffa e Nai allo struzzo. A questi alcuni studiosi aggiungono anche i fantasmi anche se sostanzialmente legati ai defunti. Gli spiriti soccorrevoli sono invece solitamente chiusi in tamburi, zucche o panieri e vengono evocati con riti magici per manifestarsi in particolari occasioni in cui esauriscono la loro funzione.

A seconda delle diverse concezioni religiose delle varie cultura, diversa è anche la dimora degli spiriti, in alcuni casi identificati in cielo o in corpi o fenomeni celesti, in altri nel mondo sotterraneo. Possono però anche vivere sulla terra, nella foresta, non sono però legati né al luogo né al tempo, ma godono di una certa ubiquità. Anche se non mancano gli spiriti protettori, vi sono anche quelli che incutono paura e contro i quali l'uomo si premunisce.

L'elemento corporeo è presente anche per gli spiriti, così in swahili gli spiriti rientrano nella stessa classe grammaticale degli esseri umani e presso gli Ashanti è diffusa la credenza di poterli ingannare, come dare il nome di un animale ad un neonato i cui fratelli sono morti prematuramente, per fuorviare lo spirito che si aggira per rapire il bambino.

Molti spiriti infine si sono fusi con divinità e non di rado hanno fatto passare in secondo piano l'Essere Supremo o vi si sono identificati, proprio in questo campo sono avvenute profonde trasformazioni in particolare per l'influsso dell'islam.

Divinità.

Le divinità non sono univocamente differenziabili dagli spiriti, Wundt aveva individuato tre caratteristiche essenziali:

  • Personificazione
  • Potere sovrannaturale
  • Esistenza ultraterrena

ma a queste caratteristiche, non sufficienti ad una individuazione univoca, sicuramente vanno aggiunti altri elementi come una gerarchia, e quindi la collocazione delle divinità in un posto più rilevante, ed una più accentuata personificazione.

Le divinità sono presenti in tutti i popoli dell'Africa subsahariana, e di solito hanno origine da due diverse concezioni. La prima è quella che vede la divinità in due divinità con differenti funzioni, così presso gli Ewe hanno il dio del temporale So che si è diviso nel membro maschile che vive in cielo in una casa circondata da fiamme e scaglia frecce e asce verso la terra, mentre dall'elemento femminile dipendono pioggia e fertilità, oltre che i prodotti di campi e foreste.

La seconda parla di due diversi aspetti della stessa divinità, in analogia con il cristianesimo si può parlare di due ipostasi, come la divisione, per al cune popolazioni del Nilo, in un dio nero ed uno rosso. Cielo e terra sono spesso concepiti come coppia di divinità, vale per gli Ibo e per i Twi, in altre forme religiose invece assumono importanza i corpi celesti creduti animali o uomini di razza anteriore, anche se questo tipo di credenza è andato perdendosi, i Ngbandi adoravano la luna così come tracce di culto lunare si sono trovate sulle coste del Camerun. Occorre comunque fare dei distinguo tra il culto lunare e le invocazioni alla luna, perché ad esempio i Nuer all'apparire della luna nuova, celebrano riti ad un dio e non all'astro.

Essere Supremo.

Il sommo dio o Essere Supremo occupa un posto a sé fra le divinità, essendo una figura di rilievo fra molte tribù, mentre per altre si trovano tracce di tale culto. Un esempio in merito è legato alla popolazione dei Kamba, in cui l'essere supremo ha formato gli esseri viventi, ma vive in cielo a distanza remota dagli uomini e tale popolazione gli rivolge solo molto raramente delle preghiere.

Fra alcune tribù il concetto di Essere Supremo è ampliata fino a comprendere il concetto di creatore del mondo, ed alcune volte, come in Africa occidentale, il dominatore dell'universo, figura benevola e senza caratteri materiali, la cui dimora è per lo più il cielo.

Costante prerogativa dell'Essere Supremo è vedere e conoscere tutto, gli sono poi assegnate funzioni che vengono evidenziate da alcuni appellativi, così i Ngombe lo chiamano formatore perché ha creato ogni cosa, ma anche immensità della foresta, cioè metaforicamente eterno ed infinito.

Non sempre l'Essere supremo viene ritenuto benevolo, avviene questo per gli Ashanti del Ghana ed i Shilluk del Sudan, anche se questa caratteristica spesso è legata all'assimilazione dell'Essere Supremo in altre divinità. Nonostante queste differenze nei particolari, tale figura è sostanzialmente unitaria anche se nei singoli idiomi assume i significati più diversi: si va da Mulungu ("grande famiglia di antenati") per i Kamba, a Kalunga che significa "regno dei morti"; da Ndjambi Karunga la cui radice significa "agire", a Loba che per le popolazioni bantu significa "sole".

Si può quindi affermare nei confronti dell'Essere Supremo non è valida la caratteristica comune a molte lingue africane che il nome definisce un essere, ma anche nella sua nebulosità, tale figura conserva un posto a sé: anche se lo si considera una specie di spirito, differisce sostanzialmente dagli altri spiriti. È così per i Kamba che distinguono Mulungu dagli aimu, ovvero le anime dei defunti. L'Essere Supremo, inoltre, se inserito in un sistema religioso, assume i caratteri di una divinità attiva e resta sempre a capo di una gerarchia degli esseri sovrannaturali, così tale divinità può fungere da fautore del destino, come nei popoli della Guinea settentrionale. Ma in generale nella pratica religiosa, tale figura ha un ruolo secondario, e rarissimamente è oggetto di un vero culto.

Il concetto di Essere Supremo infine da una risposta a problemi spirituali quali l'origine e la creazione degli esseri viventi, l'ordinamento del mondo; e la sua origine probabilmente risale alla personificazione del cielo diurno e notturno, a cui successivamente si sono aggiunti particolari legati per buona parte alle aspirazioni umane. È infine presumibile che l'Essere Supremo immaginato benevolo soddisfi la necessità di una entità che stia incrollabile al di sopra di tutte le forze ostili dell'esistenza.

Eroi culturali e tesmofori.

 

Il concetto di eroe assume diverse forme, tra queste ha una grande diffusione il mito di morte-rinascita: tale mito di solito prevede un mostro che ingoia tutto sul suo cammino, al quale sfugge una donna che partorisce un eroe che da adulto sconfiggerà il mostro e libererà cose e persone rimaste intatte nel suo ventre, ristabilendo l'antico ordine. L'ulteriore destino dell'eroe ha molte varianti, i Sotho per esempio credono che l'eroe venga ucciso e diventi il re delle divinità.

I riti iniziatici in cui l'iniziando viene ingoiato hanno un fine diverso: non è un ripristino del precedente stato ma un ingresso in un nuovo stato (esempio infanzia-maturità). Questi miti si possono leggere come paralleli alla sparizione e ricomparsa del sole.

Un altro filo conduttore molto utilizzato è quello del mito del re cacciatore che esce a caccia nonostante glielo sconsigli la madre e diversi segni premonitori, ferisca un bufalo ma ne rimanga a sua volta ferito e muoia, diventando sovrano dei morti. [senza fonte]

Oltre agli eroi culturali ne esistono altri che si possono definire tesmofori, essi personificano in prevalenza la figura del fabbro o del vasaio che insegnano agli uomini tale arte.

Del tutto diverso è l'"uomo celeste" dei Chaga, che fa da mediatore fra cielo e terra, si ricorre a lui per vendicare una ingiustizia, ad esempio. Nelle religioni africane è infine prevista la figura del demiurgo, anche se risulta secondaria perché in genere non differenziata chiaramente da quella di una divinità.

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