venerdì 28 ottobre 2016

IL VINO ° NEI RITI ° NEI SIMBOLI

L’usanza consueta, in alcune culture, (Dionisio-Bacco) di un eccessivo consumo di vino, aveva la sua spiegazione nel culto, in quanto provocava l’unione con la divinità dell’ebbrezza. Il vino doveva spezzare ogni incantesimo, smascherare le bugie o menzogne (in vino veritas) che non debbono albergare nel cuore del saggio (noi Massoni lavoriamo a questo fine). Anche i defunti potevano gustarlo, se lo si versava a terra disperdendolo (libagione). 

Come “sangue dell’uva” il vino fu spesso visto in un rapporto simbolico con il sangue e non soltanto nel Cristianesimo. Esso, infatti, poteva anche sostituire il sacrificio cruento nel culto dei morti.
Nella simbologia cristiana, il sangue di Cristo, occupa una posizione centrale (Carne e Sangue corrispondono a Pane e Vino). Nelle raffigurazioni della crocifissione si possono vedere Angeli che raccolgono il sangue dentro i calici, ricollegati simbolicamente al leggendario GRAAL (come certamente sapete, è indicato quale recipiente che Cristo adoperò in occasione della cena eucaristica ed in cui, poco dopo, venne raccolto il suo sangue). Il GRAAL così caro ai cavalieri prescelti da Ré Artù per formare la Tavola Rotonda ed all’ordine cavalleresco dei Templari, al quale siamo storicamente legati. 
Giotto (c. 1303-1305) Padova - Cappella degli Scrovegni
Durante le NOZZE DI CANA, il rilievo non è dato al festeggiato ma a Gesù, che, alla fine, attraverso l’allusiva dichiarazione del maestro di tavola, viene ringraziato per aver provveduto al vino buono fino alla fine del  banchetto.
Molte sono le teorie sulla storia e l’espansione della vite (da molti popoli considerata l’albero della vita) e della vitivinicoltura; le più accreditate ne individuano l’origine organizzata nell’Asia minore, anche  se reperti archeologici, rinvenuti in molti insediamenti preistorici, confermano che le GENTI ITALICHE facevano uso sia di uva che di vino, ben prima che la Bibbia fosse scritta. (Dove è doveroso segnalare la citazione nel canto XXX dell’ECCLESIASTICO : 
“Date il vino a quelli che sono con l’animo amaro, acciocché bevano e dimentichino la loro miseria e non abbiano più memoria del loro dolore”).
I reperti archeologici evidenziano una forte influenza degli Etruschi a partire dall’ VIII secolo a.C. Le colonizzazioni Etrusca e Greca portarono nuove tecniche   e nuovi vitigni. lo fecero con numerose varietà, scelte in funzione di ubicazione e clima, così che Plinio il vecchio, arriverà a catalogarne svariate decine, da tavola e da vino. Da tanta ricchezza di vitigni e di esposizioni è facile arguire che i fini intenditori potevano contare su una ricca scelta. Dalla lettura di Plinio il vecchio, senza la cui enciclopedia (arrivata integra fino a noi) vivremmo in grave avarizia di informazioni, il mercato offriva pressappoco duecento vini di grande qualità. Circa quanto le nostre attuali migliori D.O.C. 
IL VINO COME SIMBOLO.
In sintesi, “un simbolo nasce là dove ad un dato reale, un numero, una parola, un segno, una pianta, un’immagine, un edificio, in breve, ad una cosa, si conferisce un senso più profondo di quanto essa non possieda nella sua mera sussistenza reale, quando a queste cose ed alle loro forme si attribuisce una maggiore dignità ed un più alto valore di quanto ad esse non spetti propriamente, quando alla cosa esteriore si dà un più profondo valore morale o spirituale, rendendola così immagine di processi spirituali non altrimenti rappresentabili. 
                                             Giancarlo Bertollini
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TUTTO PER SEPARARE LA VERITÀ DALL'ERRORE !

Caino e Abele
Il Massone, nel suo percorso, dovrebbe aver assimilato i concetti di Equità e di Giustizia ed essere stato istruito sul modo di porsi per cercare le manchevolezze della Società in cui vive e tentare di porvi rimedio.
Primo - I delitti non possono e non debbono rimanere impuniti.
Secondo - La trasgressione agli ordini rappresenta un pericolo.
Terzo - E’ necessario avere amici per superare le difficoltà.

Ed io? A che punto sono? 
Potrò un giorno avere il reale controllo delle pulsioni?
E la Fratellanza?... Ed oggi?... E cosa ne è di Caino e Abele?...
Che nessuno tocchi Caino… mi riesce difficile esser convinto! Alcuni dicono: “nessuno si azzardi a toccarlo Caino; e non perché sennò qualcuno ricomincia con  il solito sciopero della fame, della sete, del sonno, del respiro…no; ma perché chi tocca Caino diventa anche lui un Caino”. Certo non voglio diventare come lui. Non ora almeno. Non in questo Occidente stanco e morente che vive nascosto nei suoi sensi di colpa perché è incapace di leggere la storia, il suo divenire e la tragicità che ci abita.
La parte migliore di me pensa che in fondo anche a Caino dev'essere data una possibilità, ma si domanda perché non debba essere data ad Abele. Perché se la pena di morte contro Caino potrebbe suscitare orrore… l’assassinio di Abele dovrebbe suscitarne di più.
Quando Caino è sconvolto per ciò che ha fatto JHWH non lo abbandona e continua a interrogarlo. Al "Dove sei?" rivolto ad Adamo (in Genesi 3,9) fa riscontro il "Dov'è Abele, tuo fratello?" (in Genesi 4,9). Caino disconosce qualsiasi responsabilità, ma il sangue, cioè la vita, è voce percepita da Dio anche quando nessuno la vuole ascoltare. Caino è maledetto:  ha ucciso un uomo, l'immagine di Dio. Nella Genesi 4,13 sembra poi alludere al pentimento di Caino: 
"Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono?". JHWH interviene e protegge Caino con un segno, custodisce colui che non ha voluto custodire il Fratello. 
Ma d'ora in poi Caino è costretto a vagabondare nel paese di Nod (in ebraico: "terra di vagabondaggio"). 
L'omicidio lo ha condotto lontano dal 
GRANDE ARCHITETTO DELL’UNIVERSO.
Eppure c’è una parte peggiore di me che non mi lascia libero; la parte che non ne vuole sapere di entrare nel circolo degli Uomini illuminati… dalla ragione e dal cuore. Quella parte peggiore di me che vuole rimanere al buio del suo vim-dicare e che delle luci accese al Colosseo non sa cosa farne. E’ il mio demone terribile che pensa al macellaio di Erba e di fronte ad uno che sgozza un bimbo di due anni e massacra a coltellate mamma, nonna e vicina di casa non riesce proprio a cercare motivazioni sociologiche, non riesce ad arrestare il proprio disprezzo ed il proprio risentimento, perché 
se non c’è un limite all’orrore 
ci dev’essere un umano limite al perdono.
Alcune domande alle quali non sò rispondere:
Esiste o esisterà mai la possibilità di commemorare Abele, come nella Bibbia? 
Esiste o esisterà mai la possibilità di ringraziare, aiutare e premiare chi tenta   di fermare i delinquenti ed i loro protettori ? 
Esiste o esisterà mai la possibilità di fermare chi dedica Piazze, Lapidi ed AULE ai facinorosi, offendendo i servitori dello Stato e le Vittime?
Il Rispetto, la Tolleranza, la Disponibilità verso gli altri, non può e non deve essere confusa con la debolezza e non deve far pensare di poter fare quello che si vuole per l'assenza di reazione o peggio processando e/o punendo chi si oppone allo sfacelo. 
Quando si smetterà di trascurare le vittime considerandole, a volte, colpevoli?
La tanto abusata parola LIBERTA' non è quella di negare i diritti degli altri ma di rispettarli facendo rispettare i propri.
Solo un esempio:
Chi chiede di togliere dalla vista un Simbolo Religioso, caro a molti, offende il loro Culto e la loro persona.
Chi chiede di poter esporre tutti i Simboli Religiosi, per il rispetto del Credo di ognuno, dimostra di aver capito il termine RISPETTO.
La Civiltà dell’illuminismo non può accettare la negazione del pensiero altrui ma deve difenderne il diritto di professarlo.
In nome di uno Stato Laico si tende a farlo Ateo.
E nei principi fondamentali della Libera Muratoria è scritto: 
“egli non sarà mai uno stupido ateo, 
né un libertino senza Religione”. 
Tempo fa qualcuno ha scritto qualcosa che voglio ricordare, prima di tutto a me stesso: “la strada della crescita interiore è faticosa e solo con la Tolleranza ed il Rispetto per gli altri si potrà ottenere l’Uguaglianza; non certo continuando a chiederla senza riconoscerla e senza mai ricordare che:
Si ascolta con le Orecchie ma si Sente con il Cuore.
Si guarda con gli Occhi ma si Vede con il Cervello
e che, per chi continua ad usare sempre e solo la Lingua e mai le Orecchie, la crescita si farà ancor più difficile sino a divenire una lontana Illusione.
Chiudo con un ricordo di Evelyn Beatrice Hall, ripreso da Voltaire:
"Non condivido le Tue idee ma lotterò con tutte le mie forze perché Tu, come me, possa liberamente esprimere il Tuo pensiero".

                            Giancarlo Bertollini

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IL LABIRINTO !

Il labirinto è una struttura, solitamente di vaste dimensioni, costruita in modo tale che risulti difficile per chi vi entra trovare l'uscita. Lo possiamo dividere in tre grandi sistemi, come diceva Umberto Eco: 
TRE GOMITOLI.
I nostri modi di pensare il labirinto seguono percorsi tortuosi. Tanto per cominciare, vi sono diversi tipi di labirinto. Santarcangeli ne elenca moltissimi, ma per comodità di discorso vorrei identificare tre modelli fondamentali. Il primo è il labirinto detto "unicursale": a vederlo dall' alto sembra un intrico indescrivibile e a percorrerlo si è presi dall' angoscia di non poterne mai più uscire, ma in effetti il suo percorso è generabile con un algoritmo molto semplice, perché esso altro non è che un gomitolo a due capi, e chi vi entra da una parte non potrà che uscire dall'altra. 
Questo è il labirinto classico che non avrebbe bisogno di filo d'Arianna perché è esso stesso il filo d'Arianna di se stesso. Per questo al centro vi dovrà essere il Minotauro, per rendere l'intera vicenda meno monotona. Il problema posto da questo labirinto non è "da quale parte uscirò?" bensì "uscirò?", ovvero, "uscirò vivo?". Questo labirinto è immagine di un cosmo difficile da vivere, ma tutto sommato ordinato (c'è una mente che lo ha concepito). Il secondo tipo di labirinto “manieristico”: se sfilate il labirinto classico unicursale vi trovate tra le mani un filo, ma se riuscite a dipanare il labirinto manieristico non vi trovate tra le mani un filo, ma una struttura ad albero, con infinite ramificazioni, il novantanove per cento delle quali porta a un punto morto (solo un corno di un solo dilemma binario porta all'uscita). Labirinto difficile, perché può accadervi di tornare all'infinito sui vostri passi, e che impone calcoli complessi per trovare una regola che consenta di individuare l'uscita. In teoria la regola c'è, perché il labirinto manieristico, anche se ha un interno assai complesso, ha un dentro e un fuori. Terzo viene il “rizoma”, o la rete infinita, dove ogni punto può connettersi a ogni altro punto e la successione delle connessioni non ha termine teorico, perché non vi è più un esterno o un interno: in altri termini, il rizoma può proliferare all'infinito. 
Inoltre potremmo immaginarlo come una palla di burro, senza confini, all' interno della quale posso perforare senza troppa fatica una parete che separa due condotti creando per ciò stesso un nuovo condotto.
Il che equivale a dire che nel rizoma anche le scelte sbagliate producono soluzioni e tuttavia contribuiscono a complicare il problema. Se anche una Mente può aver pensato il rizoma, non ne avrà però pensata e stabilita in anticipo la struttura. Il rizoma è come un libro in cui ogni lettura cambi l'ordine delle lettere e produca un nuovo testo. E se l'idea di rizoma è assai recente, quella di un libro di tal fatta è molto più antica, e la troviamo nella tradizione cabalistica (anche se per i cabalisti rimaneva ferma la fede in una struttura finale del libro che avrebbe dovuto adeguare il progetto iniziale della creazione. Ora possiamo dire che tutto il Pensiero della Ragione, dalla Grecia sino alla scienza ottocentesca, si è proposto come pensiero di una Legge o di un Ordine che dovrebbe ridurre la complessità del Labirinto. Il labirinto veniva evocato dall' immaginazione, mentre il Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo. Naturalmente, quanto più il Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo, tanto più l'immaginazione mistica - ovvero il Pensiero del Mistero - lo riproponeva - e la storia del pensiero ermetico, dalla Cabbala attraverso il Rinascimento, sino ai giorni nostri, è presente a testimoniarlo. Da un lato la Razionalità, che voleva ridurre la complessità del Labirinto, dall'altro la cosiddetta Sapienza, che voleva conservare immutata la complessità dell'Irrazionale. 
Una caratteristica di molto pensiero contemporaneo è invece quella di elaborare tecniche di Ragionevolezza per muoversi nel labirinto, senza rimuoverne l'immagine, senza volerlo ridurre a un ordine definitivo, e tuttavia senza abdicare alla necessità di disegnarvi percorsi praticabili. Agli opposti ideali dei Distruttori del Labirinto e delle Vittime (magari complici) del Labirinto, possiamo contrapporre una scienza media che si propone di convivere umanamente col e nel labirinto.
Ricapitolando: 
1) Unicursale (gomitolo a due capi - il filo di Arianna). 
2) Manieristico (ad albero - tutti rami secchi meno uno). 
3) Rizoma (come una radice a forma di palla) 
Cito per tutti il tracciato inestricabile di strade che si può definire come un dedalo (termine chiaramente nato dalla figura del mitico Dedalo, il leggendario costruttore del labirinto di Creta per il re Minosse, il più noto tra quelli dell'antichità).
Cos'è il labirinto? 
Nell'antichità il labirinto simboleggiava il caos primordiale e lo sforzo di imporgli un ordine. Il suo disegno spiraliforme ricorda un serpente arrotolato, le viscere, ma anche i meandri del cervello. Poiché da sempre investito di poteri magici, propiziatori e protettivi, non esiste cosmogonia o mito fondatore in cui non sia presente. Allo stesso tempo il labirinto è stato  associato al pericolo dello smarrimento, del disorientamento; chi vi entra rischia di rimanerci intrappolato.
In breve, il labirinto è per eccellenza l’emblema universale della ricerca dell'infinito, e dunque del “plus ultra”, del non-limite da parte di noi esseri finiti e limitati. 
Chi lo percorre o contempla, diventa consapevole che il confine fra umano e divino,   fra finito e infinito, è misteriosamente permeabile. Non a caso la sua unica apertura, ingresso e uscita, ci tenta irresistibilmente al transito.
I Romani amplificano il labirinto cretese dividendo il cerchio o quadrato in quattro zone con un percorso unico che le attraversa successivamente. E’ spesso legato a riti funebri, alla discesa agli inferi, come anche ai riti di fondazione di nuove città. Sembra, infatti, un mappa stradale di una città ben ordinata e suddivisa come per esempio Roma, i cui primi quattro quartieri rispecchiano inequivocabilmente la forma della croce del disegno romano. 
Al labirinto vengono attribuiti anche poteri magici, scaramantici e propiziatori, nelle cui spire vengono attirati e intrappolati  gli spiriti maligni. L’originario significato sacro lascia comunque sempre maggiore spazio a funzioni sociali e ludici. 
Nel Medioevo (XII-XV. Sec.) il labirinto subisce una profonda e durevole trasformazione in chiave cristiana, tant’è che una formula iniziatica dell’epoca suonava “il labirinto come vita, la vita come labirinto”. 
La Chiesa riscopre la  potente forza trasformatrice di questo disegno arcaico sulla psiche umana  e lo propone come strumento meditativo, come simbolo di vita, morte e rinascita in Cristo. Diventa centrale il simbolismo della croce come principio ordinatore. Evocando la Via Crucis che ogni peccatore è chiamato a seguire, il percorso verso il centro s’interseca ripetutamente lungo le assi della croce. Allo scopo di renderlo fisicamente percorribile il labirinto è spesso incastrato nel pavimento delle cattedrali gotiche, raggiungendo anche diametri di 13 metri, come nel caso del più famoso esemplare di questo genere, quello di Chartres
Per il devoto percorrerlo significa compiere un viaggio intensamente spirituale. Difatti, fu anche  chiamato “La via di Gerusalemme”, perché poteva sostituire il lungo e pericoloso pellegrinaggio in Terra Santa. Il percorso dentro il labirinto, spesso in ginocchio, diventa un cammino di penitenza ed espiazione verso la fede salvifica; i suoi intricati meandri simboleggiano il pericolo della perdizione, delle tentazioni del male. Le analogie con il mito cretese non mancano: così il centro era abitato da Satana (Minotauro), che può essere sconfitto solo con la forza della fede in Cristo (Teseo) portatore del raggio luminoso della divina speranza (filo di Arianna). Allo stesso tempo il centro era anche l’approdo alla Città di Dio, dove attuare la conversione e incamminarsi sulla strada della salvezza. La parola chiave era ubbidienza; perciò il labirinto medievale non può che essere monocursale.                         La “retta via” per raggiungere la beatitudine è una sola ed è percorribile in un solo modo: obbedendo la Chiesa e rimanendo scrupolosamente dentro i confini del recinto dell’ortodossia.
Arriviamo al Rinascimento che segna una svolta drastica nel simbolismo del labirinto  e vede sbiadire i contenuti esclusivamente religiosi. 
In questa nuova accezione il labirinto lascia gli spazi sacri e arriva in quelli profani, lascia chiese e monasteri ed entra come ornamento e passatempo ludico in palazzi e giardini. Creato con siepi sempreverdi, al riparo dall'avvicendarsi delle stagioni e nell'illusione di poter sospendere il tempo, rispecchia così il tentativo dell’uomo di domare il caos, il tempo e la natura.
Il labirinto moderno e contemporaneo.  
Dopo una lunga fase di declino durante l’illuminismo, che elegge l’Arcadia come metafora del mondo, è solo dall’inizio del Novecento che il labirinto torna di moda, questa volta nelle case e nei giardini della ricca borghesia in cerca di promuoversi nella scala sociale adottando modelli nobili. Come ornamento divertente e svuotato di qualsiasi riferimento sacro o contemplativo approda presto anche nei luoghi pubblici.
Nella versione contemporanea il labirinto si è trasformato in un rizoma, in una rete, la cui espressione più emblematica è “Internet”, ormai assurto allo status di cosmogramma universale di un mondo estremamente complesso e mutevole. 
Infine il termine LABIRINTO.
La parola deriverebbe da Labrys: la doppia ascia che a Creta era l’emblema del potere regale e aveva la forma di due quarti di luna opposti, a simboleggiare il potere di vita e di morte della divinità lunare matriarcale.
La tavoletta di argilla ritrovata tra le rovine del palazzo di Nestore, a Pilo, rende plausibile l’ipotesi che la figura del labirinto sia stata formulata da un’unica cultura che si sarebbe poi diffusa, durante il suo periodo di massimo splendore, attraverso un’intensa rete di migrazioni e influssi culturali. E’ nell'area del bacino mediterraneo che si trova la maggior parte dei labirinti antichi.
Presso la civiltà Babilonese, la forma circolare della spirale, pare fosse una elaborazione stilizzata delle viscere degli animali che, una volta offerti in sacrificio   agli dei, venivano poi usati a scopi divinatori.
L’Egitto aveva il “labirinto celeste”, nel quale venivano spinte le anime dei dipartiti, di cui esisteva un esemplare anche sulla terra; il famoso Labirinto, formato da una serie di sotterranei, antri e passaggi con le più intricate giravolte. Erodoto lo descrive composto da tremila camere, metà sotto e metà sopra la superficie della terra.
Nella sfera culturale della Grecia classica il labirinto era concepito come un tracciato  di un edificio (a forma quadrangolare), ma era soprattutto il risultato dell’opera ingegnosa e straordinaria dell’architetto Dedalo. Il percorso al suo interno diventa la materializzazione di una prova iniziatica traducibile come viaggio che conduce al centro, ovvero al luogo sacro per eccellenza che esprime la speranza di una rinascita.
Un rinnovato interesse per il concetto del labirinto, venne successivamente accolto dal Novecento. Anche il linguaggio ne è stato sconvolto, visto che non si sospettava l’esistenza di questo nuovo “continente interiore”, che è stato parzialmente decifrato e reso comprensibile. Ad analoghe posizioni giungono gli scrittori del Novecento: eclatante è l’esempio di Luigi Pirandello che, con le sue opere letterarie, ha voluto dimostrare come la verità sia solo un punto di vista che varia da individuo a individuo.
Il labirinto come simbolo esoterico.   
Molti disegni antichi di ordine esoterico, alcuni dei quali presenti anche nelle grandi cattedrali, mostrano il labirinto. I problemi della vita appaiono spesso all’uomo comune come un intricato labirinto, nel quale è difficile imboccare la giusta direzione, se non dopo aver compiuto molti tentativi ed errori ed averne pagato le conseguenze. Se si potessero però vedere le cose da altri punti di vista, ad esempio salendo su una piccola altura, il labirinto rivelerebbe subito la sua ingannevole struttura e sarebbe molto più facile trovare l’uscita. 
Questa metafora ci vuol dire che l’uomo non evoluto è ancora completamente chiuso nei propri schemi mentali, come se fosse intrappolato in un labirinto, incapace di vedere una situazione in modo obiettivo; al contrario, chi è spiritualmente elevato saprà vedere le cose da più punti di vista, le proietterà avanti nel tempo e nello spazio e darà loro la giusta importanza, avrà perciò grande capacità di sintesi, riuscendo a trovare la soluzione più diretta.
Più alta sarà la posizione e più lo sguardo potrà spaziare lontano, e comprendere una porzione sempre più vasta dei labirinti della propria vita, fino a vedere anche come questi si intrecciano con quelli delle vite delle persone vicine.
Una possibile interpretazione.
La rappresentazione del labirinto in molte iconografie antiche coincide con la descrizione della città di Atlantide, fornita da Platone nel Crizia, con una struttura ad anelli concentrici equidistanti, due di terra e tre di acqua alternati, rendendo impossibile arrivare all'Isola col Palazzo Reale, dato che ancora non esistevano navi e navigazione. Poi (i sovrani di Atlantide) gettarono ponti sugli anelli di mare che circondavano l’antica metropoli e fecero una strada che permetteva di entrare ed uscire dal palazzo reale.
La complessità nelle forme espressive: il Labirinto.
L’arte (in tutte le sue forme) si è sempre distinta per analizzare, con interpretazioni soggettive e personali, i più svariati concetti: dal rapporto bene e male, che permea buona parte di opere letterarie e pittoriche di ogni tipo, al cibo e alle sue varie forme, passando per l’amore, l’odio, la bellezza, l’angoscia e, addirittura, la stupidità umana. 
Se ci avviciniamo al tema della “complessità”, di ciò che è difficile e ostico, sia esso il tentativo di rispondere a domande filosofiche del tipo “Chi siamo?”, “Dove andiamo?”, “Cos’è l’amore?”, sia che si faccia riferimento a problematiche più concrete come quelle di “scoprire” o “inventare” o, più banalmente, risolvere un esercizio matematico, uno dei simboli che, per la sua stessa natura, è da sempre effige definitiva di concetti quali “difficile, strano, insuperabile” è quello di labirinto. 
Che esso sia disegnato, costruito o semplicemente descritto, il “dedalo” è da sempre l’emblema, sin dall’antichità, di un problema di difficile (se non impossibile) soluzione, di un’impresa dalla quale non si può uscire vincitori, di una lotta in cui la sconfitta è quasi inevitabile.
Il labirinto come “luogo architettonico”: 
la metafora di un problema dal quale non vi è uscita.
La Relatività di Einstein è la teoria che meglio spiega la correlazione tra due branche scientifiche), mostra come il labirinto, esteso in un mondo a quattro (o forse più) dimensioni, dove è impossibile discernere tra concetti di alto e basso, destra e sinistra, avanti e dietro, rappresenti l’interpretazione della complessità del mondo in cui viviamo, all’interno del quale le percezioni sensoriali possano portarci la realtà in modo differente da come essa effettivamente è, semplificando una visione che, altrimenti, potrebbe trovarci incapaci di interpretarla e, in alcuni casi, portarci alla follia. 
Il labirinto come “concetto mentale”: la follia. 
Proprio il tema della pazzia è strettamente legato, soprattutto in letteratura, al concetto di dedalo, attraverso il concetto di “labirinto della mente”, in cui la metafora è intesa per definire la fitta trama (sia in senso biologico che filosofico) dei pensieri e del modo in cui essi si muovono dentro di noi. 
Una condizione in cui sorgono spontanee domande su cosa sia lecito e cosa no, su quali siano le strade da percorrere, al fine di vivere una vita che non risulti un “limbo” in cui rimanere impantanati per tutta la propria esistenza. 
E proprio per rispondere ad una tale domanda, viene in soccorso la ragione che dovrebbe, in ogni caso, anche in presenza delle più ardue difficoltà, portarci alla soluzione del mistero, a permetterci di trovare l’unica e sola via d’uscita da dedalo in cui siamo invischiati: Umberto Eco, nelle fasi finali del “Nome della Rosa”, mostra i protagonisti, che fino ad allora si sono mossi come due abili detective, invischiati in un problema di difficile soluzione, quello di orientarsi nel labirinto di torri e corridoi della parte alta della Biblioteca del monastero, al fine di scoprire il colpevole delle morti avvenute nell'abbazia nei giorni del loro soggiorno. 
Una metafora che ci porta al punto da cui siamo partiti, il concetto di labirinto come luogo che simboleggia la difficoltà della vita, e a cui siamo tornati girovagando in un intrico di cunicoli, svolte impreviste, vicoli ciechi come sempre è l’esistenza umana. Per ricordare che il labirinto, in fondo, è qualcosa che fa parte di noi e che la sua soluzione deve spingerci, in ogni momento, a migliorarci e renderci più forti, andando contro le avversità e sconfiggendo le nostre paure. 
Il labirinto della cappella di Sansevero di Napoli. 
L’arte si mostra come un luogo privilegiato in cui convergono le tendenze rivoluzionarie generate dal clima della nuova stagione culturale che rinnova e restaura scienza e filosofia. E’ proprio lungo questa direttrice che il Futurismo, l’Astrattismo, il Dadaismo e il Surrealismo attuano la più vasta e graffiante messa in discussione dell’opera d’arte classica. 
Nel pavimento è rappresentato un labirinto prodigioso nella sua realizzazione perché creato da un unica linea bianca continua, senza giunture, un'altra delle idee straordinarie di Raimondo di Sangro, che fu davvero un innovatore in tutti i campi. 
Ad oggi rimane purtroppo ben poco a causa di un crollo nel 1889 che lo danneggiò gravemente. Ne è rimasta una parte davanti alla tomba del Principe di San Severo, alcuni tratti si trovano anche nella Cavea sotterranea e in Sagrestia. 
Il disegno consiste in un'alternanza di croci gammate (svastiche) e quadrati concentrici in prospettiva. Non è un tema casuale da parte di Raimondo che ne ha ricoperto addirittura il pavimento, il labirinto è il simbolo per eccellenza del percorso iniziatico, attraverso il quale si cerca la via di uscita verso la verità. 
Tema molto caro ai Cavalieri Templari, luogo della ricerca del Graal, in Italia e nel mondo ne troviamo di diverse tipologie, spesso in luoghi ben precisi, come dimore filosofali o magioni dei Cavalieri dell'Ordine. Rappresenta il nostro cammino, i bivi a cui siamo sottoposti ogni giorno, le nostre scelte che però fanno parte di un unico grande disegno labirintico, all'interno del quale dobbiamo saper scegliere saggiamente affinché non ne restiamo prigionieri, ma riusciamo ad uscirne vittoriosi per aver, con coscienza e conoscenza, intrapreso la strada corretta. 
                                 Ricerca di Giancarlo Bertollini

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giovedì 27 ottobre 2016

LA LEGGENDA DI AGARTHA

Biografia - Agartha
Agarthi (detto anche Aghartta o Agartha o Agharti, "l'inaccessibile") è un regno leggendario che si troverebbe all'interno della terra, descritto nelle opere dello scrittore Willis George Emerson (1856 - 1918). La favolosa Agarthi è legata alla teoria della Terra cava ed è un soggetto popolare nell'esoterismo.
Nascita della leggenda 
Agarthi è uno dei nomi più comuni usati per definire una civiltà nascosta all'interno dell'Asia centrale, come anche la sua capitale, Shambala (Shamballah), nome di un regno mitico descritto nel tantra Kalachakra del buddhismo tibetano. Malgrado nel racconto 
di Emerson non si faccia il nome di Agarthi, esso vi è stato associato in opere successive. Shambala "la Minore", una delle colonie di Agarthi, era la sede del governo del regno. Mentre Shambala consiste in un continente interno, le altre colonie satelliti sono degli agglomerati più piccoli situati all'interno della crosta terrestre o dentro le montagne. 
I cataclismi e le guerre avvenute sulla superficie spinsero
il popolo di Agarthi a stabilirsi sottoterra.

Analogie
Il leggendario paradiso di Shambala ha varie analogie con luoghi mitici, sparsi nel Globo. 

Influenza culturale 
Il racconto di Emerson è considerato una delle prime fonti della credenza sulle civiltà sotterranee. L'esistenza di Agarthi è stata considerata seriamente da numerosi europei, come i seguaci della teosofia di Madame Blavatsky, la medium fondatrice della Società Teosofica Internazionale, che sosteneva di essere in contatto telepatico con gli antichi "Maestri sconosciuti", i sopravvissuti di una razza eletta vissuta tra Tibet e Nepal, i quali 
si sarebbero rifugiati in seguito a una spaventosa catastrofe nelle viscere della terra, dove avrebbero fondato la mitica Agarthi. Dalle dottrine esoteriche della Blavatsky trasse ispirazione, tra gli altri, la Società Thule, la società segreta di estrema destra che costituì 
il nucleo originale del Partito nazista di Hitler.

Entrata
Tra gli ipotetici ingressi di Agarthi vi sono: 
Deserto del Gobi, Mongolia 
Polo Nord 
Polo Sud 
Piramide di Giza, Egitto 
Monte Epomeo, isola d'Ischia, Italia 

Ricerca effettuata da :   Giancarlo Bertollini  -  www.studioservice.com 

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Breve introduzione alla Filosofia di Diego Fusaro

In questa breve introduzione cercheremo di spiegare che cosa sia la filosofia , perché sia importante conoscerla e l' importanza che essa rivesta nella vita quotidiana. Che cosa è la filosofia? In realtà non esiste una vera e propria definizione di " filosofia ", sebbene in tanti abbiano nel corso dei secoli provato a darne una loro; sappiamo con certezza che la parola "filosofia" derivi dal greco e che letteralmente significhi "amore per il sapere" (filos+sofia); essa è un modo di pensare che possiamo collocare a metà strada tra la scienza e la religione. La filosofia, infatti, è razionale come la scienza, ma globale come la religione. La principale differenza tra scienza e religione consiste proprio nel fatto che l'una per spiegare determinati fatti si serve della ragione, l'altra della fede. La filosofia, dal canto suo, cerca di dare una spiegazione a tutto, ma sempre servendosi della ragione; il che non significa che essa spieghi tutto, tuttavia porta ad un sapere che riguarda un po’ di tutto.   Per esempio la filosofia si è spesso cimentata nel fare un'indagine sui principi della realtà: ci fu chi sostenne che essa derivasse dall' acqua, chi dall' aria e addirittura chi dall' infinito. Si parla spesso di filosofie orientali, ma di fatto esse non esistono, o meglio, si tratta solamente di religioni e tradizioni: la filosofia nasce in Grecia, pur avendo attinto molto dall'Oriente. Le sue due caratteristiche principali sono l'atteggiamento critico con cui essa si propone di esaminare la realtà e il non riguardare né i contenuti né il modo in cui essi sono stati acquisiti. La filosofia nasce nel momento in cui il sapere viene visto come un valore; la nostra cultura, invece, tende a dare importanza solo a quei saperi che possono essere "utili", rifiutando invece quelli che si considerano inutili: per esempio, si va a scuola non di per sé per ottenere il sapere, ma piuttosto per trovare un lavoro. Aristotele, uno dei più grandi filosofi antichi, introdusse il concetto del "sapere per il sapere ", dove il sapere diventa un valore di per sé, pur non trovando magari applicazioni pratiche. La filosofia per Aristotele era la più nobile delle scienze proprio perché "non serve a nulla", ossia perché non ha quel vincolo di "servitù" ed è assolutamente libera: proprio perché priva   del legame di servitù è il più nobile dei saperi. La nostra società, invece, vede il sapere in modo alquanto simile a come lo vedevano le società pre-greche: gli Egizi, ad esempio, si servivano della matematica in senso "utile", ossia per calcolare le entrate e le uscite, mentre invece si servivano della geometria per tracciare correttamente i confini degli appezzamenti terrieri che venivano abitualmente cancellati dalle inondazioni del Nilo. Per fare un altro esempio, i Mesopotamici sfruttavano l'astronomia per calcolare le stagioni. L' idea del sapere è senz'altro vero che i Greci l'han derivata dall' Oriente e dalle sue società lussureggianti di miti e tradizioni, ma l'idea del sapere per il sapere è tutta loro. Pensiamo alla vicenda narrataci da Eraclito, vissuto ad Efeso nel 500 a.C. circa: racconta che il poeta Omero fosse interrogato da alcuni fanciulli e che quelli gli facessero l'indovinello "cosa è che se prendiamo ci lasciamo dietro e se non prendiamo ci portiamo appresso? "; Eraclito racconta che non essendo stato capace a rispondere (la risposta corretta, per curiosità, era : "i pidocchi" ) si uccise. Analoga è la vicenda della Sfinge, che amava fare indovinelli e quesiti e che si uccise perché Edipo seppe risolverli. 
Si potrebbe andare avanti all' infinito con gli esempi che testimoniano quanto fosse importante per i Greci il sapere, ma forse è meglio capire perché la filosofia sia nata proprio in Grecia. Nasce qui soprattutto per via del rapporto che la Grecia aveva con le altre civiltà, dalle quali venivano a conoscenza di spiegazioni mitologiche della realtà; con i primi filosofi cominciarono a discostarsi sempre più dal mito e a prediligere il logos, la ragione. Già Aristotele faceva notare che anche il mito ha, in qualche misura, una valenza filosofica perché cerca di spiegare un po’ di tutto e quindi una sorta di filosofia esisteva già nei miti. 
Non c'è quindi da stupirsi se uno dei maggiori filosofi greci, Platone, darà un valore filosofico ai miti, arrivando addirittura ad inventarne alcuni di sana pianta; Giordano Bruno, nel 1500, riprenderà miti classici per attribuire loro valore filosofico altamente positivo. Ma in fin dei conti quale è la differenza tra ragione (logos) e mito (muqos)? Il mito é una spiegazione tradizionale, il logos è razionale: nella concezione della realtà in chiave mitologica c'è un rapporto diverso con gli oggetti presi in esame rispetto alla concezione filosofica, la quale esamina tutto con lo stesso distacco di un medico che studia una malattia su un paziente o un chimico che studia le molecole. Il mito invece tratta le cose come "persone": l' inciampo in una pietra viene visto, per dire, come lo scontro di due persone. E finché c'è un rapporto persona-persona non potrà mai nascere un atteggiamento scientifico, che invece presuppone il concetto di legge naturale. Particolarmente raffinato e apprezzabile è il modo in cui Platone vede la filosofia: ai suoi occhi essa è come l' amore, ossia la sapienza è un qualcosa che non si potrà mai acquistare definitivamente e proprio per questo si tratta di un' infinita ricerca che non potrà mai dirsi terminata; così come chi è in preda all'eros non possiede mai definitivamente cosa cerca, anche il filosofo non potrà mai far totalmente sua la sapienza, ma non per questo dovrà rinunciarvi! La posizione del filosofo è, per Platone, a metà strada tra la divinità e l'ignorante, una via di mezzo "privilegiata" perché sarà continuamente stimolato alla ricerca per diventare pari alla divinità e per non restare ignoranti come la gente comune. C'è poi chi dice che la filosofia sia una "materia" stupida, assurda, inutile, brutta, indecorosa e che quindi non vorrà mai dedicarvisi ... ebbene costoro non sanno che facendo questi ragionamenti stanno già "filosofando" ... Ma in fin dei conti, si deve o non si deve far filosofia ? Anche se rispondete "no" , sappiate che state già facendo filosofia perché state ragionando; sappiate inoltre che la filosofia mette tutto in discussione e che non prende niente per buono ed è quindi ancora più efficace della matematica, che invece parte da postulati, ossia da verità prese per buone ma indimostrabili. Ma in buona sostanza i filosofi chi sono? Risponde Nietzsche, il folgorante profeta del superuomo: "si possono concepire i filosofi come persone che compiono sforzi estremi per sperimentare fino a che altezza l'uomo possa elevarsi" (La volontà di potenza). Filosofo è chi non si limita a prendere le cose per come sono senza indagare, bensì è chi si pone sempre dei quesiti; pensiamo all'insistente interrogativo socratico ti estin; d'altronde Socrate stesso era del parere che una vita trascorsa senza porsi domande fosse indegna di un uomo. Ciò che ci contraddistingue dalle bestie, come noteranno bene pressoché tutti i filosofi, è la ragione, il pensare ed esprimere ciò che pensiamo: il pensare è indubbiamente uno dei massimi piaceri concessi al genere umano e perché non servirsene? Perché trascorrere l'intera vita senza esercitare la dote che ci distingue dalle bestie ? A questo punto, però, si potrà contestare che una cosa è studiare la filosofia in sé, un'altra cosa è studiare la storia della filosofia, come si fa a scuola; tuttavia Hegel, a suo tempo, faceva notare che lo studio della storia della filosofia coincide con lo studio della filosofia stessa: e non potrebbe essere diversamente. Chi studia la storia della fisica, della matematica ecc., s'introduce automaticamente nello studio di quelle scienze. Ma per poter riconoscere il progresso della filosofia come svolgimento dell'Idea, nella formazione e nell'apparenza empirica in cui la filosofia si manifesta storicamente, bisogna possedere già la conoscenza dell'Idea; alla stessa maniera come, per poter giudicare le azioni umane, occorre possedere i concetti di ciò che è giusto e conveniente. 

                                         Ricerca di Giancarlo Bertollini


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IL CRISTO VELATO di Roberto Olla 18 agosto 2014

Sole, caldo, un gran movimento di gente apparentemente indaffarata. Spaccanapoli è in fermento, come ogni giorno. Chiedere un'informazione si può, ma... il risultato non è garantito. "Scusi! La cappella Sansevero?" La signora con dei borsoni scuote appena la testa e scivola via. Non lo sa. Eppure non è possibile. "Questa non è la statua del dio Nilo?" Un uomo dall'età indefinibile si ferma solo per un passo e risponde "E allora?". Evidentemente ritiene stupida la domanda. Impossibile non sapere che quella è la statua del dio Nilo. "E la cappella Sansevero?" Risponde con un vago movimento della testa e niente, se ne va. Qui fanno il miglior caffè del mondo. Provare per credere, proprio di fronte al dio Nilo. Bar Nilo. La tazzina calda contiene già lo zucchero. Un nettare nero lo ricopre. Indimenticabile. 
"E la cappella del principe di Sansevero?". Sarebbe stato meglio chiedere del principe del calcio Maradona, qualsiasi cosa, anche la più assurda. Comunque si, c'è anche la cappella Sansevero, fuori non lontano, uscendo dal bar, un vicolo. In effetti si tratta appena di una cinquantina di metri e la vaghezza dei napoletani riflette ancora l'antica pessima fama che circondava l'edificio.
Alchimista, scienziato, cultore dell'esoterismo, Raimondo di Sangro principe di Sansevero conduceva studi avanzati ed esperimenti arditi nel settecento napoletano. Facile indovinare il ricorso ad ogni possibile rito scaramantico di chi, tra gli uomini di fatica chiamati a dar man forte per l'allestimento della cappella, avesse dato un solo sguardo ai due scheletri su cui il principe aveva ricostruito il sistema venoso e quello arterioso. Inquietanti e affascinanti figure che oggi si fa appena in tempo a notare nello stordimento che crea la visita alla cappella. Il Cristo Velato è li, a disposizione dei turisti che stupiti e spesso increduli gli ruotano attorno.
Ma sarebbe stato meglio lasciarlo dove il principe esoterista l'aveva collocato: in una piccola stanza in fondo alla cappella, punto d'arrivo di un percorso iniziatico mozzafiato davanti alle altre statue tra cui spiccano quella della Pudicizia, quasi una Maddalena col seno e il volto, perfetti, coperti da un velo e quella di un uomo che si libera dalla rete degli inganni su cui era rimasto impigliato. Marmo, solo marmo, l'uomo, la rete, la donna e il velo attraverso cui lei vede noi e il mondo. Ed alla fine in uno spazio sempre più ristretto si arrivava quasi a contatto fisico col Cristo Velato. 
L'opera è stata realizzata nel 1752 e pagata con cinquanta ducati dal principe al suo autore, il Magnifico Giuseppe Sanmartino, come testimonia la ricevuta custodita dal Banco di Napoli. Si dice che Canova avrebbe voluto dare dieci anni della sua vita per essere l'autore di un'opera simile. E invece, cinquanta ducati e il Cristo Velato diventa l'ultima tappa del percorso ideato dal principe Raimondo di Sangro, l'ultima immagine della sua filosofia. Diversi visitatori della nostra epoca "mordi e fuggi", o "usa e getta", vorrebbero credere che il principe alchimista abbia insegnato allo scultore una sua qualche formula magica per cristallizzare il velo di marmo sopra il corpo martoriato del Cristo.
A quel punto sarebbe tutto più facile. Più facile pensare, più facile non porsi problemi e neppure pentirsi d'essere entrati in quella cappella. La vita sembrerebbe più semplice, il bello e il buono come risultato di un'arte del levare. Le parti brutte e cattive negli scarti. E invece no. Il Cristo Velato è un unico blocco di marmo, il corpo, le ferite, il cuscino, il velo. Pensare diventa difficile, faticoso. La mano del Magnifico scultore Sanmartino e la mente dinamica del principe davanti ad un blocco di marmo.
Mesi e mesi di lavoro sull'opera e ogni colpo di scalpello deve levare e deve aggiungere. Levare per arrivare attraverso la materia grezza al corpo del Cristo e alle ferite della sua passione. Aggiungere per lasciare su quel corpo il velo bagnato del sudario che in trasparenza ci mostra la passione ma ci impedisce di coglierne del tutto il mistero. Difficile da accettare questo nostro esser così limitati da non riuscire a penetrare completamente nel mistero dell'essere. La ragione sconfitta da un velo. 
Difficile sfuggire alla forza magnetica del Cristo Velato ed uscire dalla cappella Sansevero. 
                    Impossibile non ritornarci.  (Giancarlo Bertollini)

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SATOR - IL QUADRATO MISTERIOSO

SATOR  è la prima parola dell’omonimo palindromo, costituito dalle cinque parole:
“SATOR - AREPO - TENET - OPERA - ROTAS”, ritrovato sia in forma di quadrato che in forma radiale o circolare su molti reperti archeologici in Europa e in Italia, le cui prime tracce risalgono a oltre 2.000 anni fa.
Essendo formato da parole di 5 lettere ciascuna, è possibile scrivere la frase entro un quadrato di 25 caselle, che rimane leggibile dall'alto, dal basso, da destra e da sinistra.
L’enigma del quadrato di Sator è stato oggetto di molteplici interpretazioni, tuttavia ancora oggi alcuni ritengono che esso custodisca un significato nascosto. Proprio la molteplicità dei luoghi e dei testi in cui ritorna ne hanno resa particolarmente controversa l’interpretazione, soprattutto perché il termine AREPO, in esso contenuto, risulterebbe non strettamente di origine latina, e indicherebbe probabilmente un tipo di carro in uso presso le popolazioni galliche. Difficile quindi stabilire il significato letterale della frase. Ad esempio, se si leggesse il palindromo da sinistra verso destra, si otterrebbe la frase: 
“SATOR - AREPO - TENET - OPERA - ROTAS”
che secondo una prima interpretazione potrebbe tradursi con: 
“Il seminatore, col suo carro, tiene con cura le ruote”.
Una interpretazione più recente, vedrebbe nel palindromo un significato astronomico o cosmologico, e pertanto la traduzione sarebbe “il Creatore con il carro tiene in moto le orbite”. Tale interpretazione risulterebbe coerente con il modello di universo accettato nel basso Medioevo, che identificherebbe con la figura del Sator-Creatore il motore ultimo dell’universo.
Viceversa, se si leggesse il palindromo cambiando verso di percorrenza alla fine di ogni riga o di ogni colonna, si otterrebbe la frase “SATOR OPERA TENET AREPO ROTAS”, in cui il termine SATOR indicherebbe il SEMINATORE, AREPO rappresenterebbe una contrazione di AREOPAGO (nel significato di tribunale supremo) e il palindromo potrebbe essere tradotto con: 
“Il seminatore decide i suoi lavori quotidiani, ma il tribunale supremo decide il suo destino”; tale interpretazione attribuirebbe pertanto un significato morale al quadrato magico secondo cui: “L'uomo decide le sue azioni quotidiane, ma soltanto Dio decide il suo destino”.
Ciascuno di noi gestisce le proprie attività e svolge le proprie mansioni, ma al di sopra di tutti noi c’è un destino che ci governa. Per raccogliere è necessario seminare, per costruire il proprio successo è essenziale lavorare con impegno. E saper essere in armonia con il mondo. 

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Rudyard Kipling - Loggia Madre



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mercoledì 19 ottobre 2016

IL RITORNO ALLE RELAZIONI UMANE AL DI LA DELLE CONCEZIONI TECNOLOGICHE MODERNE.

Fin da piccoli, attraverso i media siamo colpiti soprattutto dalle straordinarie potenzialità legate alla Tecnologia, al Marketing, alla Comunicazione e dagli enormi vantaggi che dalla “scienza del mercato” le aziende e le associazioni ne traggono. Le finalità di questa disciplina sono e debbono essere quelle di garantire il più efficace impiego delle risorse, per ottenere risultati concreti su fronti critici quali l'incremento delle vendite, delle iscrizioni,
il contenimento dei costi, ecc. In un mondo che corre sempre più velocemente in equilibrio precario, cresce anche l’esigenza di soluzioni sempre più vantaggiose per lo sviluppo ma allargate al contesto in cui si opera: l’ambiente.
La nostra, infatti, è la prima generazione della storia, con il compito di decidere se la specie di cui facciamo parte, dovrà o meno continuare ad esistere: 
l’Uomo potrà salvarsi solo se impiegherà le risorse disponibili per tentare di riparare i danni provocati all'ambiente. 
Nei nuovi insediamenti ed in quelli doverosamente rinnovati, si profilano periodi di grande dinamismo e di una sempre più spietata concorrenza, dove sarà determinante il profilo della correttezza nello sfruttamento delle risorse.
Il nostro paradigma deve essere:
le "Aziende" non esistono, esistono gli Uomini che le compongono!
(Il fattore umano è tornato ad essere determinante).

Come fare ? Inizierei con l’applicare questi miei pensieri !

Vision - La Visione
Un Mondo migliore dal Nord al Sud, dall’Oriente all’Occidente, dallo Zenit al Nadir, con EcoManager impegnati verso uno sviluppo sostenibile.

Mission - La Missione
Collaborare al miglioramento, tenendo continuamente presente che:
le Aziende non esistono ma esistono gli Uomini che le compongono.

Behavior - Il Comportamento
Muoversi sempre con correttezza, ricordando che tutte le DIFFICOLTÀ sono benvenute, esaltano le QUALITÀ di chi le affronta e si chiamano OPPORTUNITÀ.

Tecnologia: è bene o è male?

Oggi viviamo, almeno nei paesi sviluppati economicamente, all'interno di ‘società tecnologiche’, così chiamate per evidenziare il fatto che il progresso tecnologico rappresenta un aspetto fondamentale della vita dei cittadini. Diversi sono gli atteggiamenti rispetto al continuo cambiamento imposto dalla tecnologia: da quello catastrofista di chi l’accusa di essere alla radice di molti, se non tutti, i mali del mondo moderno, a quello di chi invece entusiasticamente pensa che comunque la tecnologia migliori la vita di tutti. Entrambi gli atteggiamenti portano a esagerazioni, come quelle di chi vede la scienza come ‘buona’, in quanto ricerca disinteressata, da contrapporre a una tecnologia ‘cattiva’, volta solo al profitto, che rende meno ‘naturale’ la nostra vita. C’è poi un atteggiamento, anch'esso pessimista, che vede il progresso tecnologico come la causa di una crescente perdita di umanizzazione della vita quotidiana, o addirittura come una micidiale arma in mano ai governi per controllare, fin nel più minuto dettaglio, la vita dei cittadini.
Esempi chiari di questo atteggiamento sono il film Tempi moderni (1936), di Charlie Chaplin, e il romanzo “1984”, scritto da George Orwell nel 1949, quando il dibattito sulle conseguenze del progresso tecnologico era agli inizi. 


Certamente ci sono aspetti della tecnologia che creano problemi per l’ambiente e la nostra salute. Lo sviluppo di nuove tecnologie provoca l’obsolescenza di quelle precedenti, con immense quantità di rifiuti da smaltire; altre tecnologie, come quella del motore a scoppio delle automobili, sono molto inquinanti e diffusissime in tutto il globo.
Esiste però un diverso approccio a questo importante problema che si sta facendo strada: quello dello sviluppo sostenibile. Da una parte si riconosce che la tecnologia da sempre migliora le condizioni di vita, dall’altra si porta in primo piano la necessità di coniugare
lo sviluppo di un mondo sempre più popolato ed esigente in termini di risorse naturali con il minore impatto possibile sull'ambiente.
Nuove tecnologie dunque, ma più rispettose dell’ambiente. Questo atteggiamento consapevole dipende molto anche dalla volontà di tutti i cittadini, che sono gli utilizzatori finali di tanti prodotti della tecnologia. 
Scienza e tecnologia: un legame molto stretto. 
Esiste oggi una certa difficoltà a distinguere cosa sia scienza e cosa tecnologia. Un’idea molto diffusa è che la scienza si interessi alle leggi generali della natura, studiandola tramite discipline come la biologia, la chimica, la fisica. Questa opinione privilegia l’aspetto,
indubbiamente molto importante, della speculazione scientifica, spesso vista come una ricerca senza scopi immediati e completamente libera, ma relega la tecnologia a un ruolo soprattutto ‘pratico’ di applicazione delle leggi generali scoperte dalla scienza. È un’opinione piuttosto semplicistica e può portare alla pessima conclusione, anch'essa piuttosto diffusa, che la tecnologia ‘serve’, è utile, mentre la scienza è inutile e difficile.
La storia insegna invece che le cose sono più complesse e che scienza e tecnologia sono strettamente legate. Nel passato, molto più di ora, lo scienziato era anche un tecnologo raffinato, dato che spesso doveva costruire da sé i propri strumenti.
Inoltre molte invenzioni, come per esempio la macchina a vapore, precedettero anche di molto tempo la corrispondente teoria fisica, in questo caso la termodinamica, che ne spiegava il funzionamento.
Altre invenzioni fondamentali, oggi diremmo applicazioni tecnologiche, furono invece scoperte ‘per caso’ nel corso di ricerche scientifiche svolte per tutt’altro scopo, come la
lampadina, il cui principio di funzionamento fu scoperto nel corso delle prime misurazioni sulle conseguenze del passaggio della corrente elettrica in vari materiali. 
Non si sarebbe, in altre parole, mai arrivati alla lampadina (Thomas Alva Edison), semplicemente sviluppando e perfezionando le tecnologie di illuminazione già esistenti, come la candela.
Un altro esempio, simile ma ben più recente, potrebbe essere il web, sviluppato negli anni Novanta dello scorso secolo da scienziati e militari che si occupavano anche di fisica nucleare, semplicemente per scambiarsi documenti. Reso disponibile, in pochi mesi il web si diffuse in tutto il mondo.
Non sempre dalla scienza ‘pura’ discende il progresso tecnologico, anzi spesso avviene il contrario. La tecnologia, oggi come in passato, crea infatti nuovi strumenti che offrono ulteriori possibilità, a volte incredibilmente potenti, alla ricerca di base. Per restare nel passato pensiamo all’invenzione del cannocchiale, che dette a Galileo Galilei la possibilità di iniziare lo studio moderno dell’Universo. Oppure, per tornare ai nostri tempi, pensiamo a uno dei maggiori avanzamenti nelle scienze biologiche, la mappatura del DNA umano, possibile solo grazie alla disponibilità di strumentazione elettronica, computer e software molto evoluti.


Il Futuro: le Relazioni umane.

Forse non sempre ce ne rendiamo conto ma il fulcro attorno al quale ruota l'esistenza umana sta nella capacità di relazionarsi, di comunicare, di far passare il proprio pensiero così come vive dentro di noi e nel contempo comprendere quale sia il vero pensare altrui.
I bambini iniziano a sentire le piccole difficoltà del vivere quando perdono la sicurezza di essere compresi dai genitori. La difficoltà relazionale "principe" è il pensare che gli altri o semplicemente l'altro non ci comprenda. E' qui che nascono i problemi di relazione, le sensazioni di solitudine, alcuni disagi e persino molte depressioni. Agli umani non manca la capacità intrinseca di socializzare e di vivere in società; non mancano nemmeno i linguaggi per comunicare, con la parola, con i gesti, gli sguardi, le posture.
Tutto ciò però si impiglia nel decodificatore che ogni singola persona ha incorporato nel proprio io. E nei mezzi di comunicazione che ci stanno imponendo modelli su cui riflettere.
Le relazioni umane sono il centro di tutto. L'essenza ultima di ogni ansia umana finisce sempre col manifestarsi come un problema di relazione: con i genitori, con i figli, con i colleghi, con gli amici, con il partner, con i vicini, i concittadini, le diverse culture, etnie e via dicendo.
Comincio a pensare che la risoluzione di alcuni conflitti che appaiono ormai senza via d'uscita dovrà un giorno passare da un'analisi della capacità relazionale che hanno le persone, a livello di singolo, di comunità, di etnia o di popolo.
Non può esserci compromesso possibile laddove persone non vogliono categoricamente relazionarsi: non è percorribile alcuna strada diplomatica se non quella di cercare in qualche maniera di ricostruire una linea relazionale.
Per questo sono sostanzialmente contro ogni tipo di pregiudizio verso chiunque. La base per comprendere l'altro è sempre la relazione, il parlarsi, il comunicare. Nella chiusura a priori non può evolvere nulla se non l'esasperazione delle inconciliabilità, che alla fine si alimentano di loro stesse.
Lasciando i massimi sistemi e osservando il nostro piccolo mondo che ci circonda, la capacità di relazionarsi assume un'importanza cruciale nella qualità della nostra vita.
Una linea di pensiero affermatasi da qualche decennio, ha imposto il modello dell'autostima come la risoluzione della maggior parte dei crucci esistenziali. Per una serie di ragioni l'iniziazione all'autostima è stata fondamentale per alcune persone: penso alle donne che attraverso il riposizionamento del loro ruolo allo stesso livello del maschio hanno smascherato secoli di predominio maschilista, ipocrita quanto nefasto. Ma penso anche ai giovani che dal '68 in poi hanno, a fatica, comunicato al mondo che c'erano, sebbene poi ancora oggi il potere sia in mano ad una gerontocrazia troppo spesso inetta.
Potrei fare riferimento anche alle conquiste sindacali e ad altro, ma c'è un'altra faccia della medaglia. Il culto un po' narcisista dell'autostima ha creato fratture relazionali fra chi riesce a stimarsi davvero e chi invece, per un mucchio di motivi che nulla hanno a che vedere con il potenziale della persona, non ci riesce. Il sicuro di se', il brillante ha buon gioco nelle relazioni spicce (meno su quelle e medio/lungo termine), mentre il timido, l'umile, l'introverso si richiude in una solitudine che si autorigenera continuamente.
Tutto ciò è sempre accaduto ma oggi ha un effetto deflagrante per il tipo di comunicazione che si sta affermando sempre più giorno per giorno: la comunicazione liquida, volatile, che si compone di piccole frasi e pochi ragionamenti, che si esprime via messaggi o attraverso alcuni strumenti controversi tipo Facebook. Il tutto si mescola fra quantità e masse variabili.
La selezione è esercitata senza scrupoli, con dinamiche che solo vent'anni fa erano inconcepibili.
IL TELEFONO. 
Io sono nato in un'epoca dove il telefono suonava e uno per sapere chi stava dietro doveva alzare la cornetta e rispondere. Se c'eri bene; se non c'eri non rispondevi, se non volevi rispondere potevi farlo ma ti rimaneva il dubbio di chi ci fosse dalla parte di là della cornetta. Adesso si può vedere chi ti chiama e non rispondere. Sembra una faccenda da nulla ma è un modo di fare che spezza in maniera drastica il modello relazionale del "cercarsi". Le relazioni non comportano infatti il solo parlarsi ma nascono prima, nel cercarsi, nel ricordarsi di una persona, sia per un bisogno, sia per affetto, sia per il semplice sentire quella persona.
La selezione che i nuovi media comunicazionali consentono soffoca spesso alla fonte la possibilità di parlare, di ascoltare e farsi ascoltare, di spiegarsi. Alcune teorie un po' "snob" e vecchiotte, continuano a dire che la comunicazione attuale può contare su centinaia di canali ed è perciò molto facilitata. Anch'io la pensavo così fino ad un po' di tempo fa'. Ora mi chiedo se la quantità dei canali corrisponda davvero ad un miglioramento delle relazioni umane. Invece gioca un ruolo importante la qualità dei media, e su questo punto si sta progredendo verso una via che a me francamente preoccupa.
Ho paura che il relazionarsi si stia facendo sempre più a misura di "software" e sempre meno a misura d'uomo. Io, per esempio, non amo Facebook, anche se lo frequento, e mi spiace per i tanti amici che tendono a “viverci”.
Sembra di viaggiare fra tonnellate di titoli di giornale, ognuno con la propria testata e i propri titoletti. Niente di davvero interessante. 
Ma questa è una mia opinione.
Ciò che volevo dire è che c'è una mutazione delle relazioni umane che si sta sempre più codificando in "icone", frasi isolate, a me piace questo, a te quest'altro. 
Chi ha buon gioco è la persona estroversa, che si stima, che riesce a dominare più comunicazioni contemporaneamente e nella massa produce molte microrelazioni. Chi invece è di indole più riflessiva, meno esplosiva soccombe e rinuncia ripiegandosi su un disagio che probabilmente dimostrerebbe il contrario. 
Le relazioni umane dovrebbero, col tempo, recuperare una sostanza fatta di pensiero e non solo di contatti. 
Relazionarsi è il grande ed unico scopo che ha l'uomo nel vivere: confrontarsi, vivere in società, collaborare, costruire amicizie, conoscenze, amori; tutto è condizionato dalla potenzialità e dalla capacità di relazionarsi.
Un bel futuro non può prescindere da un buon relazionarsi. 


Lavoro/Ricerca di Giancarlo Bertollini

RIFLESSIONE DI UN INIZIATO !

Debbo confessare il profondo imbarazzo che mi ha suscitato questa riflessione in quanto, dopo l’iniziazione, per una libera scelta, per l’espressa volontà di tentare quel “salto di qualità” che porta ad abbandonare le esperienze “impure” della vita profana e dedicarsi alla crescita interiore, vissuta realmente come morte e rinascita, con la convinzione che far del bene ad un Fratello significa far del bene a se stessi, mi sono chiesto COSE’ LA MASSONERIA?  ed ho subito pensato “qualche Fratello mi aiuterà a comprenderlo”, dico a comprenderlo e non certo a spiegarmelo, in quanto la crescita è sempre personale e ci deve ricordare i nostri primi 4 viaggi (la Terra, l’Aria, l’Acqua e il Fuoco) ad iniziare dal V.I.T.R.I.O.L. (acronimo che in futuro cercherò di tratteggiare) ed ancora “ma praticandola forse potrò arrivarci da solo” e poi ancora “perché ci sono entrato e perché ci sono entrati gli altri?”

Per trovare appoggi e vantaggi nella vita profana ?
Per superare un momento di sconforto ?
Per fare carriera, magari politica ?
Per guadagnare potere interno ?
Per sfoggiare cultura ?

E  mi  son  detto,  ma questa  non  può  essere  Massoneria ! 


E  ALLORA ?
Come il primo giorno ho ripercorso i principi fondamentali della Libera Muratoria dove il Fratello, obbedendo alla legge morale, si obbliga a non avere, politicamente pregiudizi di sorta ed a seguire la religione sulla quale tutti gli uomini dovrebbero essere d’accordo: essa consiste nell’essere buoni, sinceri, modesti e persone d’onore, qualunque sia il Credo che li distingue e poi :

- La SERIETÀ
Che deve contraddistinguere il Fratello nel carattere, nei costumi e nella vita.

- Il SENNO
Che deve contraddistinguere il Fratello nell'operare e giudicare con prudenza e saviezza.

- Il BENEFICIO
Che deve contraddistinguere il Fratello negli atti e nelle concessioni con cui fa del bene agli altri, per giovar loro spiritualmente o materialmente.

- Il GIUBILO
Che deve contraddistinguere il Fratello per quel sentimento di intima e intensa gioia, manifestato nelle parole e negli atti, provocato dal comportamento e dal RISPETTO di se e degli altri. 

Con questi principi e con l’esercizio delle virtù, si può comprendere come la Libera Muratoria tenda, nel culto della giustizia, a conoscere e far conoscere l’uomo conducendolo verso il perfezionamento attraverso l’educazione.
Proprio per questo la Libera Muratoria non può essere fine a se stessa, ma si comporta in modo da far migliorare, da far “lievitare” Il mondo in cui vive: quello della famiglia, della Società, del Paese d’origine e dell’Umanità, cercando sempre di onorare lo sforzo dei passati Maestri teso a fare del mondo intero un’ideale grande Famiglia nello spirito di:  

LIBERTÀ - UGUAGLIANZA - FRATELLANZA


In questo studio molto mi sta aiutando, come credo ai Fratelli, il vedere i SIMBOLI. Come ho già avuto modo di segnalare in altre occasioni sul significato dei SIMBOLI:
"Un simbolo nasce la dove ad un dato reale, un numero, una parola, un segno, una pianta, un’immagine, un edificio, in breve ad una cosa, si conferisce un senso più profondo di quanto essa non possieda nella sua mera sussistenza reale, quando  a queste cose ed alle loro forme si attribuisce una maggiore dignità ed un più alto valore di quanto ad esse non spetti propriamente, quando alla cosa esteriore si dà un più profondo valore morale o spirituale, rendendola così immagine di processi spirituali non altrimenti rappresentabili"


Così come le persone sciocche son piene di certezze, le persone intelligenti son piene di dubbi ed io mi sono ben guardato dal coltivare certezze, tentando di essere intelligente e preparandomi ad affrontare un duro lavoro pieno di dubbi, un duro lavoro di ricerca interna, sapendo che occorre ed occorrerà volontà e decisione, ma con la speranza di migliorare la conoscenza di me stesso.
Quando, sopraffatto dall'emozione, ho prestato giuramento, come tutti i Fratelli, mi sono impegnato a conservarmi onesto, rispettando le leggi dello Stato, a combattere il vizio e propugnare la virtù, a consacrare la mia esistenza al bene ed al progresso dell’Umanità ed a prestare aiuto ed assistenza ai Fratelli ovunque si trovino, affinché, come me, possano sempre contare sulla più ampia solidarietà spirituale.

Questo giuramento scalda le mie vene, dandomi il senso dell’appartenenza, facendomi sentire più forte, più sereno e più fiducioso per l’avvenire; ricordandomi sempre che rispettare gli altri significa rispettare se stessi.


Leggo e spesso sento dire che il desiderio di conoscenza è quello che ti aiuta a superare qualunque ostacolo ed a dimenticare la nozione del tempo, visto che non è possibile programmare in quanto tempo si potrà raggiungere la conoscenza, perché non siamo tutti uguali, ma ognuno cerca di raggiungere “la cima” con i propri mezzi, dimenticando, a volte, la differenza tra  scuola “profana” e vita “iniziatica”. 

Mentre la scuola “profana” insegna, tramite la conoscenza e la cultura, ad avere (licenza, laurea, lavoro, posizione), la seconda, avvicinandolo alla “GNOSI” aiuta il Fratello a perfezionarsi, aiuta ad essere e non certo ad  apparire.

Per i dubbi che sempre continuo a coltivare, ho pensato che il buon Massone non può credere di raggiungere la perfezione “la cima”, in quanto, con ogni probabilità, la cima per noi non esiste e se esiste è occupata dal G.A.D.U. ma esiste solo una crescita costante nel tentativo di perfezionarsi, una crescita costante verso la conoscenza, verso la luce, verso l’infinito ! 
                                               Giancarlo Bertollini