martedì 8 novembre 2016

VOLTAIRE

Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo, 
ma tutta la natura ci grida che esiste. 

Francois-Marie Arouet, detto Voltaire, è sicuramente l'autore che, nella coscienza culturale settecentesca, così come in quella posteriore, meglio rappresenta i caratteri, gli ideali e i limiti dell'illuminismo francese. In lui, scrittore estremamente fecondo che sperimenta tutti i generi letterari, anche i più spericolati, convivono il filosofo, lo storico, il politico, il poeta e il romanziere. Tutte queste attività sono accomunate da uno spirito critico che oscilla tra la garbata ironia e il sarcasmo più corrosivo, soprattutto rivolto alla Chiesa cattolica (schiacciate l' infame era uno dei suoi motti) e ai pregiudizi in generale, che impediscono all' uomo di pensare con la sua testa, servendosi della propria ragione , la candela che ci illumina la strada (come l' aveva definita Locke). Quella di Voltaire è una vita che ben risponde al nuovo stile dell'illuminismo. Nato a Parigi nel 1694, egli fu esponente di quell'agiata borghesia francese che si avviava ad assumere un ruolo di primo piano nella vita economica e culturale del Paese. Da giovane fu assiduo frequentatore dei salotti parigini, in cui circolava una cultura di schietta ispirazione libertina, che molto risentiva di quei pensatori brulicanti nella Francia del 1600. Un'offesa perpetrata al cavaliere di Rohan gli causò una breve incarcerazione nella Bastiglia e un lungo esilio, durante il quale egli dimorò in Inghilterra, rimanendo fortemente affascinato dalla cultura e dallo stile inglese. Durante la sua lunga vita non gli mancarono onori e incarichi prestigiosi. Attraverso gli uffici di madame de Pompadour, favorita di Luigi XV, fu nominato storiografo e poeta di corte. Contemporaneamente entrò in stretti rapporti epistolari con il futuro re di Prussia, Federico II il Grande, e, quando i suoi rapporti con la corte francese si guastarono del tutto, si trasferì a Berlino presso il suo nuovo protettore, ormai asceso al trono. L' amicizia tra Voltaire, il philosophe per eccellenza, e Federico II, il re filosofo imbevuto di razionalismo, è emblematica dei rapporti che la prima generazione di illuministi cercò di intrattenere con il potere politico: l' idea generale era quella di riformare il tutto per avere una società più giusta, nella quale dominasse la ragione e si cercasse il bene per l' uomo; si cercò quindi di riformare partendo dall'alto, ossia cercando alleanze con i sovrani. Quando però ci si accorgerà dell' inattuabilità di questo progetto, ecco che allora si deciderà di riformare dal "basso" e scoppierà la Rivoluzione Francese. La critica della tradizione non veniva ancora intesa come attacco al potere costituito ma, senza mettere in dubbio i fondamenti giuridico-politici dell' assolutismo, i filosofi speravano di avere udienza presso i potenti, coinvolgerli nei programmi razionalistici e promuovere attraverso di essi, dall' alto la riforma della Società: tutto ciò diede luogo alle esperienze dell'assolutismo illuminato. Ma le speranze riposte da Voltaire in Federico II, come più tardi quelle riposte da Diderot in Caterina di Russia, rimasero deluse, e lo sposalizio tra filosofia e potere si tradusse presto in divorzio, preludendo alla nuova funzione che gli intellettuali illuministi avrebbero dovuto avere nei decenni successivi. Caduto in disgrazia anche presso la corte berlinese, Voltaire si ritirò dapprima in Svizzera e poi, per un ventennio, nel castello di Ferney, dove continuò l' infaticabile attività di scrittore. La sua fama era ormai grandissima, e le nuove generazioni di illuministi vedevano nell'anziano "patriarca di Ferney" un'autorità che si poteva a volte discutere, ma non disconoscere. Il suo ritorno a Parigi nel 1778, poco prima di morire, ultraottuagenario, fu un vero trionfo: l' illuminismo cominciava a celebrare se stesso e ad avviarsi, perciò, sulla strada del tramonto. Dopo il soggiorno in Inghilterra Voltaire pubblica le Lettere filosofiche (1734), nelle quali esprime la sua ammirazione per la cultura, i costumi e le istituzioni di quella nazione, che vedeva in quegli anni trionfare il liberalismo propugnato da Locke. L' Inghilterra diventa così indirettamente un modello da proporre ai francesi per uscire dalla loro arretratezza culturale e civile. Sul piano religioso Voltaire ammira la convivenza, realizzatasi sul suolo inglese, di fedi diverse e lo spirito di tolleranza che impronta i rapporti tra di esse. A livello politico il regime parlamentare presenta molti vantaggi rispetto alle tendenze oscurantistiche della monarchia francese. Ma è soprattutto sul piano scientifico e filosofico che gli inglesi hanno molto da insegnare. Voltaire infatti individua nel metodo sperimentale di Newton e nell' empirismo gnoseologico di Locke i due fulcri concettuali che hanno trasformato la cultura europea. Soprattutto attraverso Voltaire, quindi Newton e Locke appaiono agli intellettuali francesi (e poi europei) i capostipiti ideali della nuova cultura illuministica, i maestri di un nuovo modo di pensare che deve essere sviluppato in tutti gli ambienti del sapere e della cultura. In realtà il pensiero filosofico di Voltaire non presenta particolare originalità nel suo complesso. Esso si trova esposto , ad esempio, in opere quali il Trattato di metafisica (1734) e gli Elementi della filosofia di Newton (1738). La sua concezione del mondo naturale è strettamente legata al modello del meccanicismo newtoniano, a fondamento sperimentale, in esplicita contrapposizione con quello cartesiano, costruito con un' operazione astrattamente intellettuale. Di derivazione lockiana è invece la gnoseologia di Voltaire, che vede nell' esperienza il principio di ogni conoscenza ed esclude la possibilità di dare una risposta razionale ai problemi metafisici che vanno al di là della verificabilità empirica: nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu. Ancora di ascendente inglese è il deismo di Voltaire, avversario di ogni religione rivelata (schiacciate l'infame era il suo pungente motto contro la Chiesa cattolica) quanto di ogni forma di ateismo: l' esistenza di Dio, causa e ordinatore del mondo, è razionalmente dimostrabile, mentre và al di là di ogni conoscenza umana la definizione dell'essenza e degli attributi divini: secondo Voltaire, che in questo caso si avvicina molto al razionalismo aristotelico, l'esistenza di Dio può essere dimostrata con la ragione; Dio é il motore immobile, il garante dell' ordine nell' universo: Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo, ma tutta la natura ci grida che esiste. La provvidenza di Dio si limita quindi a garantire l'ordine e la necessità delle leggi naturali e non investe le vicende umane (come aveva detto pure Epicuro). Partito da un moderato ottimismo, in cui (sull'esempio del poeta-filosofo Alexander Pope) si presume che la realtà, non soltanto quella naturale, presenti nel complesso un carattere ordinato e positivo. Voltaire approda poi a un sostanziale, anche se moderato, pessimismo. Nel Poema sul disastro di Lisbona (1756), il riferimento al terremoto che colpì quella città diventa motivo di sarcastica irrisione di troppi facili ottimismi: si tratta di una violenta requisitoria contro la Provvidenza che permette l'esistenza di mali gratuiti e orribili e contro le concezioni consolatorie dei filosofi sostenitori del provvidenzialismo. Voltaire riscontra amaramente che il "tutto é bene" mi sembra ridicolo quando il male è sulla terra e sul mare. Dieci secoli di atrocità e stupidaggini, esplorate nell' Essais sur les moeurs (Saggio sui costumi) danno a Voltaire una ragione in più per non credere tanto facilmente nella possibilità della felicità umana: bisogna ammetterlo, il male è sulla terra. Questo è il contesto in cui nasce Candido; il libro apparve anonimo ma, avendo alcuni amici riconosciuto il suo stile, lo scrittore protestò la propria estraneità all'opera definendola una coinnerie (coglioneria). Il romanzo filosofico Candido o l' ottimismo (1759) è esplicitamente diretto contro la concezione leibniziana del "migliore dei mondi possibile": si narra di un giovane, Candido appunto, di nome e di fatto, che passa attraverso inenarrabili disgrazie. Viene cacciato dal suo castello, é arruolato a forza in un esercito che non lo riguarda, fa esperienza di un naufragio e di un terremoto, cade nelle mani dell'Inquisizione e patisce un autodafè, perde infine tutte le ricchezze conquistate nel paese d'Eldorado. Nè meno sventurati sono i personaggi che circondano Candido: dalla sua amata Cunegonda sino alla vecchia serva, che assistono al massacro dei loro familiari, vengono esse stesse violentate, sventrate e mutilate, provano la miseria, il travaglio e la servitù. Alle tremende sventure subite da Candido fa da contrappeso l'ottimismo ad oltranza del filosofo Pangloss, il cui nome, di derivazione greca (pan tutto + glwssa lingua) significa pressapoco "colui che ha sempre da dire su tutto"; Pangloss é irrimediabilmente convinto della tesi leibniziana secondo la quale viviamo nel migliore dei mondi possibili. L'inconcussa fede filosofica di Pangloss non viene, almeno in apparenza, incrinata neppure dalle grandi sciagure che piovono anche sul suo capo, come su quello di tutti gli altri. Nella conclusione del romanzo, Pangloss insiste nel dire che tutto é andato per il meglio. Ma Candido-Voltaire, che ha ormai imparato la lezione di vita, preferisce rinunciare a ogni interpretazione metafisica della realtà, accontentandosi di operare utilmente nel piccolo spazio che gli é riservato. Il pessimismo di Voltaire è del resto accompagnato da una radicale critica all' antropocentrismo tradizionale. Riprendendo le tesi di Giordano Bruno, egli osserva come la rivoluzione copernicana abbia privato la Terra, e quindi l'uomo, della sua centralità nell' universo. L' uomo è soltanto un essere naturale al pari degli altri innumeri esseri che popolano l'universo e, contrariamente a quanto aveva sostenuto l'esistenzialista Pascal, non ha, rispetto al mondo della natura, nessun privilegio ontologico. Ma il tratto più caratteristico dell'opera di Voltaire, e insieme quello che meglio incarna, in generale, lo spirito dell'illuminismo, è la polemica religiosa, politica e sociale che contraddistingue soprattutto l'ultimo periodo della sua vita e trova l'espressione più sistematica del Dizionario filosofico portatile (1746). Le questioni metafisiche passano ora in second'ordine e il compito della ragione diventa piuttosto quello di elaborare una critica e una trasformazione della società che investa tutte le sue istituzioni. La concezione deistica di Voltaire viene ora apertamente finalizzata alla critica del cristianesimo, inteso come fonte di intolleranza e di guerra e, quindi ostacolo allo sviluppo storico dell'umanità: una religione del tipo di quella cristiana impedisce all'uomo di servirsi della propria ragione imponendogli di compiere assurdi atti di fede. Analogamente, in ambito politico, Voltaire difende il diritto di ogni cittadino alla libertà civile e politica (in primo luogo alla libera espressione delle proprie idee), in contrapposizione a un assolutismo dal quale egli non si attendeva ormai più alcuna collaborazione. I diversi aspetti della polemica illuministica di Voltaire trovano quindi il loro centro unificatore nella difesa della tolleranza come valore imprescindibile per garantire pace, giustizia e progresso civile, come egli sostiene accoratamente nel Trattato sulla tolleranza del 1763; 'disapprovo ciò che dici, ma difenderò alla morte il tuo diritto di dirlo' egli afferma (riprendendo una frase di Evelyn Beatrice Hall - n.d.r.). Un contributo estremamente rilevante al pensiero illuministico è dato da Voltaire anche sul terreno della riflessione storica. Ciò non soltanto perchè egli è autore di grandi opere come Il secolo di Luigi XIV (1751) e il Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni (1756), che costituiscono ottimi esempi di storiografia illuministica; ma in quanto, in queste stesse opere, Voltaire è anche propugnatore di una filosofia della storia (l'espressione stessa è coniata da lui) cioè di un'indagine filosofica sul significato generale del processo storico nella quale il fondamento unitario dello sviluppo dell' umanità è ritrovato nel concetto di progresso. La storia consiste in un graduale processo di incivilimento, di civilisation, dell' umanità, a partire dalla condizione selvaggia fino alle quattro grandi espressioni della civiltà umana: l' Atene di Pericle, la Roma di Cesare e Augusto, la Firenze dei Medici e la Francia di Luigi XIV. Il progresso non è quindi qualcosa di necessario e ininterrotto, ma conosce pause e involuzioni, come dimostra il periodo del Medioevo. Con ciò l' illuminismo continuava, su un piano filosofico oltrechè storico-filologico, il programma bayliano di rivalutazione della scienza storica, sminuita dalla condanna cartesiana, anche se ancora permangono pregiudizi storiografici (come, appunto, la svalutazione dell' età medioevale) che saranno eliminati solo dalla storiografia romantica .

                             a cura di Diego Fusaro

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lunedì 7 novembre 2016

V.I.T.R.I.O.L.

E’ intenso in me il ricordo dell’iniziazione. Era il 2 Luglio del 2015, ed io, un profano, venni introdotto in quello che chiamarono il gabinetto di riflessione, da due uomini incappucciati e vestiti di un lungo mantello nero.
Entrai in quello che per me era poco più di uno sgabuzzino molto stretto e mi sedetti. Vidi molte cose strane, lo ammetto, ma una particolarmente catturò la mia attenzione: alle mie spalle, affissa al muro nero c’era una scritta bianca: V.I.T.R.I.O.L. Sono sempre stato curioso per natura e ho sempre odiato non conoscere il significato delle cose, ambendo - ogni qualvolta mi si proponesse un termine nuovo o un concetto sconosciuto o su cui sapevo poco -  di informarmi e renderlo mio una volta per tutte.
Ammetto che la prima cosa che provai a fare fu mettere la mano nella tasca, ma il mio smartphone non c’era, lo avevo lasciato in una cesta agli uomini incappucciati che mi chiedevano di lasciare i metalli fuori dal tempio: svolsi l’intera iniziazione senza conoscere il significato di quella parola, fu un incubo.
Quella sera, dopo l’iniziazione tornai a casa e la prima cosa che feci fu andare su Google e digitare quella parola così strana. Lessi tutto il possibile e ora a distanza di un anno, con un poco di esperienza in più e ben conscio degli obiettivi interiori prefissati vorrei riportarne un breve resoconto.
L’acronimo - al quale a volte si aggiungevano ulteriori due lettere V.M., sta per: “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem (Veram Medicinam), che tradotto alla lettera vuol dire “Visita l’interno della terra, e rettificando troverai la pietra nascosta (vera medicina)” - comparve storicamente per la prima volta nell'opera Azoth del 1613 dell'alchimista Basilio Valentino.
L'invito, rivolto alla “terra” interiore di ciascuno, è evidente. È l’inizio di un percorso, una frase programmatica, il momento indispensabile del percorso iniziatico.
È una parola derivata direttamente dall’insieme degli insegnamenti, dei suggerimenti e delle proposte operative, oltre che dalle speculazioni alle stesse connesse, che nel corso della storia sono state tradizionalmente trasmesse, e a noi giunte sotto il nome di Alchimia. Da ciò risulta evidente che il riferimento a tale termine comporta il riferirsi ad uno dei materiali con i quali gli operatori, gli Alchimisti, tendevano a realizzare la trasformazione del piombo, o comunque di una materia vile e di scarso valore, in oro, il compiuto raggiungimento del fine ricercato.
Metaforicamente si traduce nel dissolvimento degli aspetti più duri ed egoistici della persona, così come degli elementi fisici più grossolani (i.e. piombo), per ricomporli in forma nobile e giungere alla realizzazione del materiale più pregiato (l’oro).
Come anticipato, la prima parola nella parete nord del gabinetto di riflessione, in alto, appunto è V.I.T.R.I.O.L.
Ed è da tale parola che l’iniziato parte per portare a termine il suo primo viaggio, quello riguardante la Terra, viaggio da compiersi fuori dal Tempio massonico, decisamente presupposto per l’iniziazione quasi fosse una direttiva di carattere generale prima ancora di ogni altro singolo invito ed ammonimento.
Già da una prima lettura di tale acrostico (parola-frase) possiamo bene intendere che, mentre per un verso si vuole comunicare un insegnamento ed un significato consequenziale utile a chi lo riceve, quale percorso ed operazione da compiere per il ritrovamento di una soluzione delle problematiche che hanno spinto l’iniziando stesso a richiedere l’iniziazione muratoria, per l’altro la parola stessa contiene in sé – oltre al senso letterale della frase già palesato – anche qualcosa di più del semplice invito operativo che viene solennemente fatto. 
Il significato della parola V.I.T.R.I.O.L (ed ancor più quello di V.I.T.R.I.O.L.U.M), è ben altro, ben più impegnativo e risolutivo dei problemi dell’individuo.
Mi incuriosisce innanzi tutto il senso della frase e il significato da dare al contenuto della stessa, da attualizzarsi sui diversi possibili piani operativi, ma quel che ancor più incuriosisce è il fatto che il suo senso apparente costituisce un risultato che dovrebbe ritenersi compiuto una volta effettuato il viaggio nella Terra. 
Tale viaggio, allora, potrebbe avere una duplice finalità: 
   1.     terminare con la morte della persona fisica ed il passaggio all’oriente eterno: in tal caso il percorso si interromperebbe laddove si è arrivati e la pietra nascosta potrebbe essere il livello di crescita personale raggiunto.
   2.     potrebbe anche essere inteso come un ammonimento che sollecita l’iniziando, il compagno ed il maestro a ripetere di continuo l’operazione, grado dopo grado, carica dopo carica senza mai avere un vero e proprio fine ma solo una tensione ad esso.
In realtà la ricerca dell’effettivo significato della frase, e la proposta primaria di attenzione da prestarsi a tale termine, costituiscono essi stessi la ricerca della pietra nascosta: una sorta di tautologia. 
Ma è il profano a trovarsi dinnanzi a questa frase: l’insegnamento che sta per intraprendere vuole che l’iniziando sia consapevole, desto, non rinchiuso, né condizionato da e in soluzioni banali, scontate o dogmatiche delle tematiche che la realtà a lui propone.
A tal fine lo stimola e lo mette, già con questa prima parola, alla prova, palesando apparenti contraddizioni di significato, di terminologie e di situazioni che esigono invece una soluzione del tutto giustificante ogni possibile dubbio e domanda. 
Soluzioni che vogliono appunto l’adozione della massima attenzione e l’esecuzione di una effettiva indagine con l’attivazione piena delle facoltà presenti nell’individuo, del pensare, del riflettere, meditare, coordinare e trarre conclusioni ma soprattutto della ricerca coadiuvata di tutti i fratelli di una loggia.
Il visitare comporta una presenza fisica, non è una semplice comparsa. Non un semplice pensare o intervento mentale, ma la partecipazione dell'interezza della persona. Una presenza fisica con un’intensa motivazione nella ricerca. 
Tutti noi da bambini giocavamo alla caccia al tesoro o quantomeno eravamo soliti nascondere gli  oggetti per noi preziosi in luoghi inaccessibili agli estranei. La ricerca del tesoro nascosto ha sempre alimentato un’inguaribile frenesia nelle capacità umane, negli istinti più sopiti con una continua tensione alla scoperta,  pervasa da sentimenti sempre positivi e dall’aumento della fiducia nelle proprie capacità.  
Il termine visitare, d'altronde, significa anche assumere un atteggiamento dinamico, bandendo la staticità; significa procedere al fine di osservare, analizzare, scegliere determinati percorsi ed avanzare per raggiungere il fine che ci siamo proposti.
Ma qual è l'oggetto della visitazione? Il luogo viene indicato quale l'interno della terra, non la superficie, ma la parte più nascosta e non visibile ordinariamente. 
Il visitare la parte più nascosta della terra rimanda inesorabilmente al termine “Katabasis”, la discesa verso gli inferi. Ercole, Polluce, Orfeo, Inanna, Kessi, Xolotl, Enea, Dante, Gesù Cristo (morto per poi risorgere) sono solo alcuni degli esempi di quella che è una chiara prerogativa ancestrale dell’essere umano da millenni: scendere nel regno dei morti per poi fare ritorno in quello dei vivi.
Seppur le enormi diversità di questi miti e dei percorsi interiori di ognuno degli eroi che hanno provato la discesa, la finalità è sempre la stessa: un percorso di trasformazione del proprio io, dell’anima, la sconfitta della morte in favore della vita e della conoscenza eterna.
Lo scopo della discesa, della visita all’interno della terra è quindi la catarsi, l’introspezione, che si attuano per l’iniziato attraverso il superamento di alcune prove basate sugli elementi fondamentali: terra, acqua, aria e fuoco e subito dopo la prova più ardua che coincide con l’inizio del percorso massonico. 
CONCLUSIONI PERSONALI  - γνῶθι σαυτόν (gnōthi sautón).

Ragionando sul significato del VITRIOL non fa che tornarmi in mente il motto Socratico del “conoscere se stessi” quale condizione fondamentale dell’uomo: un’intera vita volta alla ricerca e alla conoscenza della propria persona non sarebbe una vita sprecata. 
Ho sempre creduto che la conoscenza di se stessi sia un percorso certamente individuale ma imprescindibile dell’apporto di coloro che incontriamo sulla nostra strada.
La nostra vita può avere senso solo se rapportata agli altri; sono sempre stato della ferrea convinzione che l’unico modo di vivere una vita degna sia quello di dedicarla agli altri.
Da ciò ho la presunzione di affermare che la ricerca della pietra nascosta e la discesa nella terra sia possibile solo attraverso l’aiuto dei fratelli e delle sorelle; una ricerca collettiva dove ognuno perverrà ad una propria risposta, dove ogni fratello troverà la propria pietra nascosta e starà a lui scegliere se condividerla con gli altri ed iniziare un nuovo viaggio o se tenerla per se, egoisticamente.
                                     
                                               Matteo Corallini

Totò Massone - Ritrovato il Testamento.

Il modulo prestampato, riempito a penna il 9 aprile 1945 e firmato "Antonio de Curtis Gagliardi", in arte Totò. 
La Massoneria, cui l'attore aderì iscrivendosi alla loggia Fulgor di Monte di Dio a Napoli, lo chiama "testamento spirituale".
Ma il foglio che porta i segni del tempo, al "profano" (non ancora iniziato) "Marchese de Curtis Gagliardi Antonio" è un test, contiene tre domande. 
Alla prima: "Che cosa dovete all'umanità? ", l'attore replica: 
"Amare il prossimo come se stessi". Aiutarlo, fare del bene senza limiti di sorta". 
Alla seconda: "Che cosa dovete alla patria?", la risposta è: 
"Tutto, anche il sacrificio supremo". 
Infine alla terza richiesta: "Che cosa dovete a voi stesso?" senza esitare l'autore de 'A livella scrive: 
"Niente all'infuori del miglioramento spirituale". 

Fonte: La Repubblica - Articolo Completo QUI !

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mercoledì 2 novembre 2016

IL TEMPIO E LA LOGGIA

Molto spesso si tende a ritenere sia il Tempio, sia la Loggia, come il luogo in cui si riuniscono i fratelli per svolgere i loro massonici lavori. Tempio dal latino templum, era una porzione di cielo delimitata dal lituo, bastone ricurvo che l’augure romano utilizzava per osservare i segni divini attraverso lo studio dei fenomeni naturali e del volo degli uccelli. In seguito diviene il luogo o l’edificio sacro in cui si metteva in pratica l’osservazione del cielo.
Un Tempio, sempre disposto da Oriente ad Occidente e con l’ingresso verso il tramonto, rappresentava perciò, il luogo di congiunzione tra il Cielo e la Terra fra Oriente e Occidente, fra il Nord ed il Sud, fra lo Zenit e il Nadir, fra la superficie della terra ed il suo centro, sintesi del macrocosmo ed immagine del microcosmo, raffigurazione ideale ed universale dell’uomo, diviene, allora, la porta verso un altro mondo.
Il Tempio edificato nel 970 a.C. da Re Salomone a Gerusalemme, da lui voluto e costruito come il primo vero Tempio ove il popolo si potesse riunire per onorare Dio, fu riferimento per la costruzione di molti altri templi ed anche di quello massonico. Pare che Giustiniano inaugurando Hagia Sophia a Costantinopoli avrebbe esclamato ”….Salomone ti ho superato…” e che anche Carlo Magno si fosse, a suo tempo, ad esso ispirato per la costruzione della sua regia di Aquisgrana.
I lavori durarono sette anni e con la facciata principale verso Oriente questo, era costituito da tre parti di identica larghezza di 11,00 ml. disposte consecutivamente, il Sagrato, il Santuario, il Santo dei Santi. Esternamente sui tre lati erano addossati tre piani di cubìti, per un totale di 90 piccoli ambienti di circa 2,75 ml di altezza.
Il Tempio Massonico, che consta anch’esso di tre ambienti, il Gabinetto di Riflessione, la Sala dei Passi Perduti ed il Tempio, diviene luogo sacro, ma a differenza, però, del Tempio Cristiano, solo per la durata dei lavori e dei rituali, mentre la chiesa, invece, è luogo sacro sempre, almeno finché questa, non sia profanata o abbandonata. Il Tempio rappresenta il luogo chiuso, del riparo, dello spazio sacro coperto, dove i liberi muratori trascorrono uno spazio sacro di tempo. È questo il luogo della manifestazione divina, della scoperta della luce.
Il Tempio Massonico è di forma rettangolare con un'unica porta posta ad Occidente. Il soffitto raffigura il cielo e le sue stelle (tema poi ripreso dai maestri muratori nella decorazione delle volte di colore blu cobalto punteggiate di stelle, nelle prime cattedrali in stile gotico nel dodicesimo e tredicesimo secolo). Questo è simbolicamente sorretto da dodici colonne, sei al Nord e sei al Sud, ognuna sormontata da un segno zodiacale ed unite tra loro da un cordone di colore rosso che corre su tre lati e aperto ad Oriente, con sette gasse d’amante o nodi d’amore.
La parte più sacra del Tempio è l’Oriente, sede del Maestro Venerabile, dove uno scranno sopraelevato su quattro gradini, delimitato da una balaustra e sormontato da un baldacchino, domina sulle colonne del Nord e del Sud.
A lato del trono a Settentrione e a Meridione, risiedono gli scranni quadrangolari dell’Oratore e del Segretario, mentre al centro delle colonne del Nord e del Sud vi sono gli scranni della Prima e della Seconda luce; il primo sopraelevato di due gradini, il secondo di uno solo. Davanti al trono del Maestro Venerabile vi è un’ara quadrangolare coperta da un telo azzurro o rosso con frange d’orate sulla quale è collocata la lampada a sette bracci come quella del tempio di Salomone, un compasso, una squadra ed il libro sacro.  
Sulla parete d’oriente ai due lati del trono il Sole e la Luna crescente, posti rispettivamente al Nord ed al Sud al contrario della loro reale posizione astronomica.  
Dietro il trono, il delta, un triangolo equilatero con dentro un occhio e sopra ancora, la scritta AGDGADU (alla gloria del grande architetto dell’universo). 
Sulla parete di occidente, oltre all’ingresso del tempio svettano due colonne sormontate da un capitello dorico, quella entrando a sinistra, con incisa una B a rappresentazione della Forza (Boaz), e, da un capitello corinzio, quella a destra con incisa una J a rappresentazione della Bellezza (Jachin).  Originariamente dovevano essere le colonne del portico del tempio di Salomone, ma attraverso una serie di significati ed interpretazioni diverse sono finite per indicare la via del tempio e, poste nei pressi delle due luci, ne erano divenute emblema della loro carica, così come quella con il capitello Jonico, emblema del Maestro Venerabile. A terra, un pavimento a scacchi bianchi e neri, rappresentazione del pavimento del portico del Tempio di Salomone, simboleggia il contrasto fra la vita terrena e quella spirituale, fra la luce e le tenebre, fra errore e verità, fra vizio e virtù, in quanto rappresentazione precisa e geometrica dell’ordine che all’interno del tempio regola il lavoro dei fratelli. Loggia, invece, forse dal tedesco antico, laubja, capanna di frasche che diviene tettoia per proteggere il luogo ove i fratelli lavoravano riuniti in un’assemblea, che ben presto verrà chiamata loggia, così come, l’insieme dei fedeli ed il luogo ove questi si riuniscono per professare il culto cristiano, vengono comunemente chiamati chiesa. O forse, dal sanscrito che dalla radice lok, “vedere”, a loka, “universo”, fino al greco, logòs, parola, per poi arrivare al latino locus o laubia, la Loggia, diviene simbolo del mondo, luogo luminoso in cui tutto viene fatto conformemente al rito ed all’ordine, l’officina ideale dove tutto è giusto e perfetto, luogo sacro e quindi, tempio, ove ricevere l’influenza spirituale. Di forma quadrilunga, le cui dimensioni erano poste in relazione con la regola aurea, la Loggia diviene l’assemblea, il gruppo vivente dei fratelli riuniti con vari titoli distintivi, per svolgere un lavoro di ordine iniziatico, la loggia quale entità immaginifica che prende corpo nel corso delle cerimonie rituali. Non esiste Loggia senza fratelli e non esistono fratelli attivi senza Loggia, un fratello non più attivo non perde la sua iniziazione, ma continua il suo percorso di ricerca interiore in modo solitario. Ogni Loggia assume la sua propria specificità e personalità in diretta dipendenza dai membri che la compongono, diviene una sorta di melting pot dove fondere il lavoro massonico sia di ordine intellettuale che spirituale, trasmettendo, tramandando ed iniziando nuovi fratelli. Una Loggia regolarmente costituita ha bisogno di almeno sette fratelli di vario ordine e grado, tre la dirigono, cinque la illuminano e sette la rendono giusta e perfetta.
Il Tempio perciò designa il luogo ove i fratelli si riuniscono e lavorano, mentre la Loggia è raggruppamento vivente, assemblea di fratelli, in questo luogo riuniti. Il tempio perciò non è soltanto simbolo ma diviene architettura con un proprio e preciso linguaggio e l’architettura vuol dire monumento e il tempio, è un monumento. Disponendo simbolicamente oggetti anche le nostre case divengono un tempio, così come tendiamo ad adattare a nostra immagine qualsiasi altro luogo, anche interiore. Nessun altro edificio possiede le caratteristiche connotative dell’architettura, il tempio quale monumento è, cioè, un’opera che trascende sé stessa per divenire un simbolo immediatamente riconoscibile, sia per la sua forma, sia per ciò che rappresenta.  
L’incarico più ambito, il mandato più difficile, la sfida più grande che ogni architetto vorrebbe avere, almeno una volta nella sua vita professionale, è quella di edificare un Tempio e così, allo stesso modo, ogni fratello, come un architetto, deve raccogliere la sfida ed edificare il suo Tempio…. alla virtù.

                                                                                      di Arnaldo Veggi

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Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro ?

Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo Pietro Antonio Matteo Balsamo, forse lo stesso individuo, noto con il Nome di Alessandro, Conte di Cagliostro o più Semplicemente Cagliostro avventuriero, esoterista e alchimista italiano. 
Data di Nascita :  
2 giugno 1743, Palermo
Data di Morte   : 
26 agosto 1795, San Leo
Mi soffermerei in particolare su quando, dopo le accuse e la prigionia, “Cagliostro” tenta di farsi concedere il perdono da Papa Pio VI. 
Stabilito che gli ordinari rituali massonici sono di per sé suscettibili dell'accusa di eresia, quelli della Massoneria Egizia di Cagliostro sono giudicati certamente eretici e a conferma di questo assunto, negli interrogatori “Cagliostro” viene trascinato in discussioni teologiche: l'ignoranza di “Cagliostro” intorno alle nozioni più elementari di catechismo finisce per aggravare, agli occhi dei giudici del Sant'Uffizio, la sua posizione. Consapevole della situazione disperata in cui si trova, il 14 dicembre 1790 “Cagliostro” scrive al Papa:
Papa Pio VI.
« Beatissimo Padre, Giuseppe Balsamo, proteso ai piedi della S.V., reo di essere fondatore di una società massonica (senza però che sapesse che sì fatte società fossero proibite dalla Santa Sede) alla quale società diede una Costituzione non composta da lui, ma cavata da un libro manoscritto che gli venne alle mani in Inghilterra, sotto il nome di Giorgio Cofton, purgato da lui, come credette da tutto ciò che vi era di cattivo, e ben si persuadeva di averlo fatto quanto bastasse perché, data da leggere  la detta costituzione al cardinal di Rohan e all'arcivescovo di Bourges, non fu da essi avvertito che vi fosse dentro qualche cosa di male, ma fu soltanto dal secondo consigliato a levarvi le due quarantene per la rigenerazione fisica e morale come due inezie, delle quali due pratiche perciò non ne ha mai fatto uso. Ora, istruito dal P. Contarini che nella costituzione suddetta vi sono cose cattive e contrarie alla S. Fede Cattolica, da lui ritenuta mai sempre fermamente nel cuore, egli le detesta e si protesta disposto ad abiurarle tutte nella maniera che gli sarà imposta dal S. Tribunale, ed a subire quelle pene che merita il suo gravissimo fallo; e pentito di vero cuore ne domanda umilmente perdono al Signore e lo spera dalla sua infinita misericordia, benché se ne riconosca indegno. Indi, rivolto alla Paterna clemenza della Santità Vostra, implora con calde lagrime pietà solamente per l'anima sua, supplicandola di dar rimedio allo scandalo gravissimo da lui dato al Mondo, ancorché questo si debba fare con lo strazio più crudele e pubblico della sua persona.
Della Santità Vostra indegnissimo figlio Giuseppe Balsamo peccatore pentito. »

Il 7 aprile 1791 il Sant'Uffizio emise la sentenza:  

« Giuseppe Balsamo reo confesso e respettivamente convinto di più delitti, è incorso nelle censure e pene tutte promulgate contro gli eretici formali, dommatizzanti, eresiarchi, maestri e seguaci della magia superstiziosa, come pur nelle censure e pene stabilite tanto nelle Costituzioni Apostoliche di Clemente XII e Benedetto XIV contro quelli che in qualunque modo favoriscono e promuovono le società e conventicole de' Liberi Muratori, quanto nell'Editto di Segreteria di Stato contro quelli che di ciò si rendano debitori in Roma o in alcun luogo del Dominio Pontificio.
A titolo però di grazia speciale, gli si commuta la pena della consegna al braccio secolare nel carcere perpetuo in una qualche fortezza, ove dovrà essere strettamente custodito, senza speranza di grazia. E fatta da lui l'abjura come eretico formale nel luogo della sua attual detenzione, venga assoluto dalle censure, ingiungendogli le dovute salutari penitenze.
Il libro manoscritto che ha per titolo Maçonnerie Égyptienne sia solennemente condannato come contenente riti, proposizioni, dottrina e sistema che spiana una larga strada alla sedizione, ed è distruttivo della religion cristiana, superstizioso, blasfemo, empio ed ereticale. E questo libro stesso sia pubblicamente bruciato dal ministro di giustizia insieme cogl'istromenti appartenenti alla medesima setta. Con una nuova Costituzione Apostolica si confermeranno e rimuoveranno non meno le Costituzioni de' Pontefici Predecessori, quanto anche l'accennato Editto di Segreteria di Stato proibitivi delle Società e Conventicole de' Liberi Muratori, facendosi nominatamente menzione della Setta Egiziana, e dell'altra volgarmente chiamata degli Illuminati, con stabilirsi contro tutti le più gravi pene corporali e segnatamente quelle degli eretici contro chiunque o si ascriverà o presterà a favore di tali sette. »
Il cappuccino Francesco Giuseppe di San Maurizio è condannato a dieci anni, da scontare nel suo convento dell'Ara Coeli; Lorenza, la cui testimonianza è stata determinante per la condanna di Giuseppe Balsamo (forse Cagliostro) è assolta: rimase tuttavia per quindici anni nello stesso convento di Sant'Apollonia. Dal 1806 fu la portinaia del Collegio Germanico di piazza Sant'Apollinare, dove morì d'infarto  l'11 maggio 1810.

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Giovanni Pico Della Mirandola.

Di Pico della Mirandola è rimasta proverbiale la prodigiosa memoria: si dice conoscesse a mente molte delle opere su cui era fondata la sua cultura enciclopedica e che sapesse recitare la Divina Commedia al contrario, partendo dall'ultimo verso, impresa che pare gli riuscisse con qualunque poema appena terminato di leggere.
Giovanni Pico Della Mirandola 
(Mirandola 1463 - Firenze 1494). 
Morto a 31 anni. Nacque presso Ferrara e si formò all'università di Bologna. Discepolo di Marsilio Ficino, padrone di numerose lingue, tra le quali l'ebraico e l'aramaico, proprietario di una delle biblioteche più ricche del suo tempo per le opere relative al pensiero delle religioni monoteiste.
E’ l'ideale dell'umanista.
Uno degli uomini più ricchi dell'Italia del suo tempo.
A 24 anni volle riunire a Roma, un concilio privato, nel corso del quale avrebbe sostenuto, in presenza del papa e dei maggiori teologi, le sue nuove cento tesi di
Conclusiones  philosophicae,  cabalisticae  et  theologicae.
Il papa, che giudicava eretiche alcune di quelle tesi, si oppose al progetto di cui ci rimane soltanto il discorso d'apertura dell’autore, mai pronunciato e pubblicato dopo la sua morte. Nel Discorso sulla dignità dell'uomo si preoccupò del posto dell'uomo nella natura: la dignità dell'uomo deriva dalla sua posizione centrale nel mondo: intermediario tra lo spirito e la materia, tra il tempo e l'eternità.
L'uomo sarà ciò che vorrà divenire, ciò che farà di sé stesso.
Nel "De ente et uno", testo rivolto ad un amico e relativo alla questione dei rapporti tra l'Essere e l'Uno, difende i due concetti, e l'accordo di Platone e di Aristotele su questo aspetto.
Studia la cabala e tenta di commentare la Bibbia.
Muore nel 1494, nel momento in cui progettava di scrivere un libro sulla Concordanza di Platone e Aristotele. Un anno prima, il papa Alessandro VI lo aveva assolto da ogni accusa di eresia
Giovanni Pico e la sua leggenda.
Il poveretto era stato ridotto a poco più che un nome, considerato quasi in modo ridicolo, in quanto l'ironia di Voltaire lo aveva relegato nell'oblio. Ciononostante, nel XIX secolo "inventarono" il Rinascimento, e Giovanni Pico rinacque. Occorreva attribuirgli il segno del fermento innovativo, l'intuizione delle cose future e delle nuove prospettive…  
Doveva assumere il ruolo di profeta ispirato dalle nostre emancipazioni moderne.  
Per sua sfortuna, aveva scritto una delle più belle pagine della letteratura neolatina, un "discorso molto elegante" al quale la posterità avrebbe dato il titolo di :
Discorso sulla dignità dell'uomo.
Un testo "spirito" del Rinascimento italiano, ma di questo testo ricorderà le parole con le quali il Creatore si rivolge al primo uomo, dandogli il privilegio della libertà.
Il paragrafo è il seguente: 
"Ti ho posto al centro del mondo affinché tu possa contemplare al meglio ciò che esso contiene. Non ti ho fatto né celeste né terrestre, né mortale né immortale, affinché da te stesso, liberamente, come buon pittore o provetto scultore, tu plasmi la tua immagine. Puoi degenerare alla bestialità o elevarti alla divinità. Gli animali ottengono dal corpo della loro madre tutto quel che è loro necessario a vivere e gli spiriti più alti sono - fin dall'inizio o immediatamente dopo di esso - qualsiasi cosa decidano di essere per tutta l'eternità.Ma l'essere umano è colui al quale il Padre dona, al momento della nascita, i semi ed i germi di qualsiasi caratteristica della vita, quegli stessi semi e germi che egli coltiva, fa crescere dentro di sé e trasforma in frutti".
A partire da questo passaggio, si pensa di scoprire  la sua dottrina, manifesto di tutto l'umanesimo rinascimentale:
visione prometeica dell'uomo libero, padrone del suo destino, oramai solo responsabile del suo divenire e delle sue scelte.
È così che Pico diventa il prototipo dell'umanista del quattrocento ed entrerà a far parte del mito
Ha scritto, oltre alla sua celebre Oratio.
L’Opera omnia, curata, insieme alla biografia, da suo nipote Francesco. Comprende più di 730 fogli. 
Per quanto riguarda il contenuto l'Oratio non propone alcuna idea nuova.
Pico fornisce una concezione grandiosa ed esaltante dell'uomo, ma si tratta solo della visione cosmocentrica che colloca l'uomo al centro di un mondo preesistente.
L'uomo ha la missione di contemplare l'ordine dell'universo.
Qui si dispiega la sua libertà, ma è una libertà di accettazione o di rifiuto, mai una libertà di creazione.
Perciò può scoprire tale ordine nella natura, ma non può modificarlo, né sostituirlo con il proprio.
Non può essere una sua legge. Non è autonomo.
Questo contenuto è presentato in modo convincente: è questo che ha prodotto la gloria dell'Oratio che si distacca dalle altre opere scritte in una lingua più vicina allo  stile "di Parigi", proprio della scolastica, che non allo stile prezioso degli umanisti.
Con grande scandalo di costoro, aveva difeso gli scolastici, anche se questi scrivevano in un latino "barbaro", perché  in filosofia soltanto il contenuto è importante.  
Il vero filosofo giudicherà indegno infiorare il proprio discorso con la retorica.
Il fatto che abbia scritto l'Oratio in un latino letterario è in linea con le attese dei circoli umanisti; al contrario, dopo avere fornito la prova della sua padronanza del latino classico, sceglie di scrivere delle opere in un latino scolastico.
L'elegante Oratio non sarà mai pronunciata né pubblicata durante la vita del suo autore; ciò non impedirà ad un secentista francese di vedere nel "celebre discorso di Pico, una proclamazione dell'avvenimento di un modo nuovo in cui l'uomo prende coscienza della sua funzione eminente".  
Ma questa è la potenza dei miti.
Pico, giovane, bello e ricco, ospite adulato delle più nobili corti d'Italia, aveva manifestato  il suo genio, prima che gli dei gelosi mettessero prematuramente fine ai suoi giorni: mori in circostanze  misteriose, all'età di soli 31 anni.
Che cosa c'è di più romantico di questa morte ingiusta che falcia un uomo di grandi promesse nel pieno della giovinezza?
Si era  dato alla magia, aveva decifrato gli arcani della Cabala e aveva scoperto il segreto delle scienze occulte e delle tradizioni ermetiche. Soprattutto si era recato a Roma per affrontare un dibattito pubblico con i più famosi dottori della cristianità. Il dibattito era stato proibito e  molte delle sue affermazioni erano state condannate come eretiche da un gruppo di teologi reazionari. Scomunicato, aveva dovuto fuggire in esilio per evitare la vendetta papale.
Pico  fu questo eroe prometeico per un secolo di grandezza, di rivolta e d'orgoglio.
Tale è la leggenda di Pico; accumulando fatti, per lo più veri, ma ingigantiti dalla memoria , abbiamo un'immagine di Pico erronea che nasconde la  sua vera collocazione nella storia delle idee.
Cerchiamo di evocare un personaggio più reale: Affascinato dal neoplatonismo, sarà sedotto da varie dottrine esoteriche che richiamano quelle della New Age alla quale si dedicano molti dei nostri contemporanei.
La "Disputa Romana".
Nel marzo del 1486, dopo un soggiorno di parecchi mesi a Parigi, ritornò a Firenze. Fu allora che, nell'esuberanza  dei suoi 23 anni - convocò, in un dibattito, gli spiriti più dotti della cristianità, per discutere  una serie di "tesi" relative a tutti i campi del sapere. Impaziente di raggiungere  la gloria e volendo dare risonanza  alla sua "disputa", decise che il dibattito avrebbe dovuto avere luogo a Roma.
Gesto da gran signore, propose di accollarsi le spese di tutti quei dottori che avrebbero potuto permettersi il viaggio…
La maggior parte dei suoi contemporanei videro nelle sue tesi, nel numero mistico di 900,  l' esposizione di un'erudizione superficiale unita ad una  pretesa di universalità.
Così nascerà la leggenda alla quale farà allusione anche Pascal, secondo cui Pico avrebbe preteso di discutere (tutte le cose conoscibili)
Tutto questo avrebbe portato alla scomunica di Pico da parte del papa Innocenzo VIII.
I nunzi apostolici ricevettero l'ordine di catturarlo. Grazie alla protezione del re ed agli  interventi di Lorenzo de Medici, Pico che aveva tentato di sfuggire alla persecuzione riparando in Francia, riottenne la propria libertà e ritornò in Italia per stabilirsi a Firenze dove Marsilio Ficino lo accolse.
Censura del dibattito pubblico da parte delle autorità ecclesiastiche, condanna, fuga ed esilio del loro autore: tanti elementi sufficienti per fare di lui un eroe.
La metamorfosi  di Pico è più vistosa quando parla del rapporto che lega l'ordine naturale e quello soprannaturale.
Per il neoplatonismo, ogni evento (sia  celeste che terrestre) si trasmette per "risonanza simpatica" a tutti i livelli del reale che si influenzano reciprocamente e gli ordini celeste e terrestre, naturale e soprannaturale si fondono in una continuità tale che diventa impossibile trovare una distinzione.
È l'idea di quella continuità che Pico critica nelle sue Disputationes, affermando in uno dei suoi capitoli che:
"I miracoli divini non sono  causati dagli astri, ma gli avvenimenti miracolosi sono significati dagli avvenimenti miracolosi  così come le cose naturali sono indicate da altre cose naturali".
Deluso, non crede più che l'animo umano possa, "dal basso", unirsi al suo Principio grazie ad  un'ascesi intellettuale.
L'ordine della ragione non è l'ordine della fede, e non è possibile passare gradualmente dall'una all'altra. Legame con il passato, ma anche presagio dell'avvenire, in quanto vediamo già sorgere questo dualismo che prefigura quello di Cartesio.
Pico è un precursore della modernità.  
Gli ultimi anni.
Innocenzo VIII morì nel luglio del 1492 ed il suo successore Alessandro VI Borgia accordò a Pico l'assoluzione 
Fu la sola gioia dei suoi ultimi anni segnati da lutti dolorosi. L'8 aprile 1492, con la scomparsa di Lorenzo de Medici, Pico perse un protettore, un ammiratore intelligente e un mecenate disinteressato. Piero successe al Magnifico, ma mostrò di non avere ereditato le qualità paterne e ben presto Savonarola sollevò il popolo contro questo principe nel quale vedeva il simbolo della decadenza morale del suo tempo.
Pico fu testimone impotente del crollo del sogno mediceo e della decadenza della Repubblica Fiorentina. 

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Templari e Massoneria (Cliccate sull'Immagine)


SUNTO DELLA STORIA DELL'ORDINE

nel 1108 
Ugo di Paganis (Ugo de Pagani de Troisi - attuale Nocera Inferiore) e Goffredo di St-Omer, nativi dell'Alvernia, arrivarono in Terra Santa.

nel 1111 
Si unirono ad altri sette Gentiluomini il giorno della festa della Santa Trinità ed elessero Ugo di Paganis (Ugo de Pagani de Troisi - attuale Nocera Inferiore) come loro capo.
Loro scopo principale fu di proteggere i Pellegrini contro i Saraceni e di sacrificare tutto per difendere la Religione cristiana. I nove nobili cavalieri fondatori del nostro Ordine erano:

1° Ugo de Paganis; 
2° Goffredo di St-Omer; 
3° Guilbert Norfolk, Bretone; 
4° Filippo di St-Maur; 
5° Ildebrando Lavis de Scala, nobile Tedesco; 
6° Giacomo di Durfort-Duras, nobile Lionese; 
7° Martino di Rhodez; 
8° Guglielmo di Gamache, Catalano, 
9° Ugo, messere di Lusignano, Francese.

Al principio questi nove cavalieri erano erranti. Nel 1115 il Re Baldovino donò loro una casa all'interno del Tempio di Salomone.

nel 1119 
Il numero dei cavalieri dell'ordine era aumentato considerevolmente. Fra questi, Nicola di Paganis e Archambaud di St- Aman, la cui poverta' era tale che essi possedevano un solo cavallo bardato per entrambi.
È proprio per perpetuare il ricordo di tale circostanza che il sigillo dell'Ordine raffigura due cavalieri sullo stesso cavallo.

nel 1127 
L'ordine contava 27 cavalieri.

nel 1128 
L'ordine ricevette le regole ed il vestiario bianco senza croci al Sinodo di Troyes nella Sciampagna.

nel 1129 
Vennero formati tre Priorati, ciascuno composto da 27 cavalieri. Si decise di suddividerli in questo modo al fine di poter meglio proteggere le strade di Gerusalemme. I tre domicili, chiamati alloggiamenti dei Templari, erano situati, il primo a Gerusalemme, il secondo ad Aleppo, il terzo in Cesarea.
Si decise che i nove cavalieri avrebbero avuto un superiore. Al di sopra dei superiori fu nominato un Prefetto al quale gli altri prestavano obbedienza.

nel 1131 
Ugo di Paganis, Grande Maestro e fondatore dell'Ordine, fu ucciso nel corso di una battaglia contro gli Infedeli.

nel 1147 
Il papa Eugenio III, per distinguere l'Ordine dagli altri, ordinò ai cavalieri di portare una croce di velluto rossa e accordò ai Superiori il titolo di Commendatori.

nel 1152 
Lo stesso papa concesse al Grande Maestro di avere tutti i fratelli laici che desiderava e ordinò anche agli Armigeri (scudieri) di portare la croce sui loro abiti grigi.

nel 1157
Il papa consentì all'Ordine di possedere domini e Signorie in tutta la Cristianità, aumentò il numero delle case di tre in tre e poco dopo furono istituite le prime tre Province.

nel 1178 
Altre tre Province furono incorporate.

nel 1183
Altre tre. Il numero delle Province fu irrevocabilmente fissato a nove.

nel 1187 
Si combattè la battaglia di Tibérias e a causa del tradimento del conte di Tripoli, il re Lusignano, il grande maestro Biderfort e numerosi cavalieri furono fatti prigionieri. Alla fine di quell'anno i Saraceni conquistarono Gerusalemme.

nel 1190
Il 4 ottobre fu combattuta la sfortunata battaglia di Acon in cui il Grande Maestro, molti capi e cavalieri furono catturati. In quell'anno la residenza del Grande Maestro fu stabilita in Antiochia.

nel 1192 
Ad Acon, dove l'Ordine degli Ospitalieri si distingue per il soccorso prestato ai Cavalieri sofferenti.

nel 1217
Fu spostata in Cesarea. 
In quel periodo l'ordine dei Templari ebbe diverse controversie con l'Ordine di San Giovanni e l'Ordine degli Ospitalieri, a causa dei suoi possedimenti a Cipro.

nel 1229 
I Cristiani conquistarono Damietta dopo nove mesi di assedio durante i quali i Cavalieri dimostrarono tutto il loro valore.

nel 1286 
L'Ordine possedeva già 40.000 Commende nella Cristianità e le sue entrate furono calcolate in 2.000.000 scudi d'oro che in quel periodo rappresentavano una cifra enorme.
Un accrescimento delle ricchezze così rapido, che aumentava tutti i giorni, fu all'origine delle disgrazie dell'Ordine.
Tali ricchezze risvegliarono la cupidigia del papa Clemente V e del re di Francia Filippo IV, detto il Bello, i quali cercarono in tutti i modi di distruggere l'Ordine per appropriarsi dei suoi beni. L'occasione si presentò presto.
Due cavalieri, Seguin de Florian, ex Gran Commendatore di Montfaucon, deposto a causa della sua condotta infame, dapprima arrestato e poi rimesso in libertà; l'altro, Noffodeï della Provincia del Po e del Tevere, si recarono a Parigi per affari e parteciparono ad una insurrezione popolare.
Una volta di ritorno, Noffodeï fu punito dal suo Vicepriore e gli fu rifiutata una Commenda. Per questa ragione i due cavalieri decisero di vendicarsi. Si recarono nel Monferrato, residenza del Vicepriore, e da lì nella sua casa di campagna, nei pressi della città, e gli chiesero di potergli parlare in privato.
Il Vicepriore, Carlo di Montcarmel, di anni 81, accordò loro un colloquio e chiese loro cosa avessero di così urgente da comunicargli. Risposero, con un tono di rimprovero, che erano amareggiati per la loro esenzione nella nomina delle Commende. Senza indugio Noffodeï assestò un colpo alla testa del Vicepriore col suo martello di guerra, in uso in quel periodo.
Il Vicepriore volle chiedere aiuto e per riuscirci balzò per la porta ma ricevette da dietro un seconda botta che lo fece cadere per terra. Cercò di trascinarsi verso un'altra porta dove ricevette un terzo colpo sul capo che lo uccise all'istante.
Questa azione abominevole, compiuta verso sera, fece temere agli assassini di essere arrestati dai domestici del Vicepriore e per evitare tutto ciò, uscirono da una finestra che dava sul giardino, si gettarono il corpo del Vicepriore sulle spalle e poi lo trasportarono a pochi passi di distanza dietro un cespuglio, lo ricoprirono in gran fretta di sassi e sterpaglie e fuggirono in un lampo.
Ritornarono a Parigi dove denunciarono l'Ordine come artefice della sommossa popolare dell'anno precedente. Inoltre accusarono i membri dell'Ordine di crimini abominevoli; di sodomia, di essere blasfemi e di rinnegare Dio durante le loro cerimonie.
Ripeterono le stesse denunce a Roma dove furono condotti e prendendo a pretesto il fatto che i Templari svolgessero le loro funzioni e loro adunanze di notte e in segreto, furono creduti, o piuttosto si fece finta di credergli, per cogliere l'occasione di impossessarsi degli averi dell'Ordine.
Il papa accordò a questi traditori spergiuri un salvacondotto e convocò a comparire dinanzi a lui il Grande Maestro che in quel periodo combatteva a Cipro contro gli Infedeli.
Il Grande Maestro convinto della falsità e della malvagità di tali accuse non ebbe esitazioni ad obbedire.
Nel frattempo Noffodeï, forte del suo salvacondotto, osò farsi vedere apertamente a Monfalcone dove i Templari lo imprigionarono e lo strangolarono nel capitolo provinciale di Porto Libero, a Milano. 
Si colse l'occasione di processare l'Ordine senza altra formalità.

nel 1310
Il Grande Maestro, Giacomo Molay, fu per ordine del re e all'insaputa del papa, incatenato e incarcerato a Chàtelet a Parigi, sebbene avesse avuto l'onore di tenere a battesimo il primogenito del Re alcuni anni prima.
In seguito a ciò, su richiesta del papa Clemente V e del Re di Francia, tutti i cavalieri del Tempio furono arrestati.

nel 1313
Il Grande Maestro, il Gentiluomo Bourguignon, fu bruciato a fuoco lento dopo essere stato torturato. Soccombette in seguito a supplizi inauditi che egli sopportò con una fermezza incredibile e senza proferire una sola parola che avrebbe potuto incriminare l'ordine. Diversi cavalieri subirono la stessa sorte, patendo la morte più crudele e ignominiosa, senza riuscire a strappargli la minima dichiarazione sui segreti dell'ordine.

nel 1311 
Il 16 ottobre al concilio di Vienna si decretò di abolire completamente l'Ordine, nonostante solo quattro persone su trecento votanti fossero di questo avviso. Tutti i vescovi spagnoli, inglesi, scozzesi, irlandesi, tedeschi, danesi e italiani, ad eccezione di uno, tutti i francesi, tranne gli arcivescovi di Rheims, di Sens e di Rouen, si pronunciarono a favore della sopravvivenza dell'ordine.
Malgrado ciò, per provvisione e potenza apostolica, come fu dichiarato, fu deliberata la condanna dell'Ordine. Di conseguenza, quello stesso anno 59 cavalieri Templari furono giustiziati in un solo giorno. Coloro che avevano avuto la fortuna di eludere le persecuzioni fuggirono ben lontani dalla loro patria.
La maggior parte riparò nei paesi del nord: Svezia, Norvegia, Irlanda e Scozia, paese montagnoso e poco popolato in quel periodo.
Pietro D'Aumont, grande maestro provinciale d'Alvernia, fu costretto, con due commendatori e cinque cavalieri, ad abbandonare il suo paese, dopo essersi difeso con vigore nei numerosi castelli che appartenevano all'ordine.
Per non essere riconosciuti si travestirono da massoni e cambiarono nome; Aumont prese quello di Mac-Benac. Con questo travestimento abbandonarono la Francia senza problemi e dopo aver superato numerose difficoltà approdarono in Irlanda. Tuttavia non sentendosi al sicuro si rifugiarono nelle isole scozzesi, sempre travestiti da massoni.
In una di queste isole, chiamata Moll, situata ad ovest di questo regno, incontrarono un gentiluomo inglese, Georges Harris, grande commendatore di Hamptoncourt, che vi si era stabilito con alcuni fratelli.

nel 1312 
Il giorno della festa di San Giovanni organizzarono un Capitolo in cui decisero di continuare a professare i principi dell'Ordine costantemente, di conservarne i titoli fino a quando avrebbero potuto farli valere, in condizioni più favorevoli.
Aumont fu eletto Grande Maestro e sotto di lui l'ordine fu divulgato nelle sue forme esteriori, così come è oggi.
Furono scelti i nomi simbolici e stabilite le usanze dei massoni per preservare la memoria del travestimento di Aumont e dei suoi fratelli e della necessità nella quale si erano trovati ad esercitare il mestiere di massone per provvedere al loro sostentamento.

nel 1313
Aumont, già molto avanti con gli anni, non riuscì a reggere un'esistenza così faticosa e morì poco dopo aver ricostituito l'Ordine. Al suo posto fu eletto Georges Harris. Fu lui a permettere ai cavalieri di sposarsi, al fine di poter preservare e perpetuare l'ordine, poiché in quei tempi tragici, non si osava mai tentare di iniziare un uomo libero a meno che non gli vennissero affidate le conoscenze superiori col titolo di Maestro. Per più di 250 anni nessuno fu iniziato al rango di Maestro Scozzese, salvo nel caso di un figlio dell'Ordine, ed è solo da 150 anni che i segreti dell'Ordine sono stati svelati ai Maestri Scozzesi nati da genitori liberi.

Infine Harris concesse l'iniziazione agli uomini di tutte le classi sociali, civili o ecclesiastiche, ammettendo l'ingresso nell'ordine anche ai membri della Confessione greca.
Fu sempre Harris a creare il sigillo raffigurante una fenice col motto:
Perit ut vivat e che introdusse tutti gli altri motti. 

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MASSONERIA E RELIGIONI - ISLAM E MASSONERIA

      Carissimi,  
nell’affrontare questo difficile argomento, richiestomi da più parti, sono partito da alcune Letture d'Esoterismo tentando di mantenermi entro un livello consono all'Ordine, lasciandone l’approfondimento alle Camere del Rito. 
Come il mio fraterno amico Athos mi insegnava anni addietro, la simbologia del Tempio massonico può essere suddivisa secondo tre livelli di comprensione, rapportati ai tre livelli di evoluzione del Libero Muratore. 
Un primo livello, che sviluppa la conoscenza dell'Apprendista Introdotto, si basa sul riconoscimento del pavimento del Tempio e di quanto poggia, o si cela, in esso; un secondo livello, che riguarda  lo sviluppo del Compagno d'Arte, è inerente a tutto ciò che è mobile tra terra e cielo (tra pavimento e volta stellata); un terzo livello, infine, che completa l'istruzione del massone giunto alla Maestria, e che svela tutto ciò che è celato nella Volta Stellata del Tempio.
Gli studi degli Apprendisti devono essere rivolti al primo livello di comprensione e, su tale piano, il Pavimento del Tempio rappresenta la struttura più importante dell'insegnamento. 
Sul Pavimento troviamo il Quadrilungo massonico che, con il suo alternarsi delle mattonelle bianche e nere (colori che ritroviamo nell'abbigliamento dell'apprendista) e con le sue dimensioni che ci pervengono dalla Geometria Sacra e dalla Scienza dell'Armonica, ricorda al neofita la Legge Mosaica o legge degli opposti; tale struttura geometrica non è altro che un labirinto (come ritroviamo in molte chiese cristiane) e, come osserva Oswald Wirth, "…racchiudente i simboli essenziali del grado di Apprendista, si tracciava una volta sul pavimento della Loggia, al momento dell'apertura dei lavori e ogni traccia veniva cancellata alla chiusura..." 
Tutti siamo a conoscenza del fatto che all'interno di noi alberga una scintilla divina definita da tutti Spirito e che tale particella di energia (o luce) discende nella materia per acquisire quelle determinate caratteristiche di consapevolezza in modo da tornare, al termine del viaggio, a quel bacino energetico che chiamiamo Creatore o G.A.D.U. Se è vero quanto detto, mi chiedo come mai giriamo come trottole nella ricerca di un qualcosa che è invece all'interno del nostro essere; ci riempiamo di pietre, amuleti, feticci o, peggio, corriamo dietro all'astrologia divinatoria, alla magia spiccia, alle gratificazioni materiali, ma non riflettiamo su un punto fondamentale e che, spesso, dimentichiamo: noi siamo la manifestazione sul piano fisico della Divinità.
Ma come possiamo rapportarci con le Religioni ad iniziare dall’Oriente e dall’ISLAM ? (Tenendo presente che, in grado di apprendista, non possiamo parlare di Politica e/o di Religione).
In Oriente non pare vi siano posizioni ufficiali delle diverse Religioni nei confronti della Massoneria. Esistono alcune Logge (per esempio a Goa in India) e cinque differenti Libri Sacri corrispondenti ad altrettante confessioni religiose lì rappresentate attraverso i loro membri Massoni, ossia, Cristiani, Musulmani, Ebrei, Buddisti e Scintoisti. 
Nei Paesi Arabi, ove il fondamentalismo islamico ha imposto la sua legge, la Massoneria è stata proibita e perseguitata in quanto identificata, in non pochi casi, col sionismo internazionale. Mentre in altri Paesi prevalentemente Musulmani i problemi sono minori, come la Turchia dove esistono 174 Logge ed oltre 13.000 Massoni.
L'Islam nasce in Arabia, anche se solo una minoranza di musulmani è araba, è tuttavia strettamente connesso a quella cultura. (cito da un lavoro del Fr. Franco Cenni). Uno dei motivi di tale legame è che il testo sacro dei musulmani, il Corano, è scritto in lingua araba. L'Islam è diffuso in vaste regioni d'Asia e d'Africa e ne fa parte circa un settimo della popolazione mondiale. E' dunque la seconda religione del mondo, dopo il Cristianesimo e in Europa, a causa delle grandi ondate migratorie, è la più diffusa delle religioni minori. La parola araba islam significa sottomissione o abbandono. L'uomo deve rimettersi completamente nelle mani di Dio e sottomettersi al suo volere in ogni settore o attività della vita. Solo così si può essere musulmani, parola araba con la stessa radice di islam. E questo presenta grandi rischi. 
Sugli Arabi la celebre Golda Meir disse: ”O arabi, noi vi potremmo un giorno perdonare per aver ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo mai per averci costretto ad uccidere i vostri”. 
L'Islam non riguarda solamente la fede e la sfera religiosa, ma domina tutti i settori della vita privata e sociale e, nella storia dell'Islam, l'interpretazione della legge ha sempre occupato un ruolo preponderante. Nella maggioranza dei paesi Islamici, sono i giuristi a detenere la leadership religiosa, e non vi è una struttura clericale organizzata. Quello che era il regime talebano, fino a poco tempo fa, ne è l'eccezione che conferma la regola. Per cercare di capire l'Islam, dobbiamo prendere in considerazione tre aspetti: 
° la dottrina della fede (monoteismo e rivelazione); 
° i rapporti tra gli uomini (etica e politica). 
° i doveri religiosi (i cinque pilastri); 
1) Primo pilastro: accettazione di Dio (Allah)
2) Secondo pilastro: Ṣalāt, ovvero preghiera quotidiana (الصلاة)
3) Terzo pilastro: Zakat (الزكاة), ovvero elemosina legale (الصدقة)
4) Quarto pilastro: Sawm (الصوم), ovvero digiuno nel dì del mese di Ramadan
5) Quinto pilastro: Hajj, ovvero pellegrinaggio alla Mecca e ai suoi dintorni (الحج) nel mese di Dhu l-Hijja (ricordando che nel calendario Lunare il mese, da 29 giorni e mezzo, scorre).
Alcuni musulmani, principalmente appartenenti alla setta kharigita, sostengono che esista un sesto pilastro dell'Islam, il Jihad, che letteralmente significa "sforzo interiore", ma della sua obbligatorietà si discute nella dottrina e nell'opinione pubblica. 
Naturalmente non pretenderemo di rispondere qui a domande, molto impegnative ma, tentare di circoscrivere l'ambito entro il quale le risposte possono essere cercate.
1. Il potere e le energie come qualità del sacro.
Il potere come qualità del sacro, è un fondamentale fenomeno religioso, connesso con le domande che ci siamo posti. Diverse culture assimilano il potere a una forza o energia attiva soprannaturale, impersonale e trasmissibile, detta mana. "E’ una potenza o una influenza non fisica che investe anche l'anima umana in un certo senso è soprannaturale, ma si rivela nella forza fisica o in tutte le forze e capacità possedute dall'uomo". Tale termine viene utilizzato dalle popolazioni della Polinesia e Melanesia, e più in generale, dalle varie religioni naturalistiche sotto nomi diversi: Orenda per gli Irokesi, Wafonda per i Sioux, Manitù per gli Algonchini, l'Oki per gli Uroni, Zemi per le popolazioni delle Antille ecc.
Anche gli Eschimesi designano questa forza misteriosa come Sila. Un significato molto simile hanno la Hasina dei Malgasci, il Ngai dei Masai, il Dzo degli Ewe del Togo, il Ngrarong dei Daiacchi del Borneo, il Tondi dei Batacchi di Sumatra, ed infine, il Joja e il Bolyla degli Australiani.
Da un vecchio scritto in proposito: "Forse è ... meglio parlare di un complesso di forze, di una sfera energetica o di un fluido energetico che, per cosi dire, costituiscono la materia prima, lo strato a partire dal quale le singole manifestazioni del sacro si riproducono incessantemente nella loro concreta molteplicità". "Tutti gli esseri viventi e non viventi, sono permeati e collegati da una forza misteriosa che si manifesta in forma diversa e che sta a disposizione degli iniziati che hanno il particolare incarico di trasmetterla". 
All'uomo è garantita la trasmissione della potenza, o forza, mediante dei riti appropriati. Le persone o gli oggetti che sono investiti da questa forza sono considerati sacri e su di essi grava un tabù.
2. La dimensione simbolica
Il termine simbolo deriva dal greco synballo (= mettere insieme), designante in origine le due metà di un oggetto che può essere ricomposto se esse vengono riavvicinate. La dimensione simbolica connette l'uomo alla realtà che lo circonda e lo fa avanzare nel suo cammino di penetrazione del mistero delle cose. La proprietà del simbolo, infatti, è quella di ricongiungere una realtà visibile con una invisibile in essa preannunciata. Il mondo visibile acquista un carattere di rimando, suggerisce ed evoca altre presenze e altri rapporti. Ma parlare di Dio o della realtà unicamente entro un contesto descrittivo-razionale, costituisce un impoverimento, oltre che una pretesa.
3. L'Iniziazione e la Tradizione
L'accesso al mistero comporta di sua natura un cammino articolato che chiamiamo iniziazione; e non potrebbe essere diversamente, poiché c'è bisogno di un percorso che riconduca l'uomo dalla superficie delle cose al punto originario da dove tutto proviene. Tra i riti di partecipazione vi è quello della preghiera, del sacrificio e della consacrazione. Quest'ultimo consente che particolari persone, luoghi e oggetti siano dedicati alla divinità. In ogni caso, che si tratti di iniziazione culturale, segreta o mistica, il soggetto viene immesso in un mysterion, il quale è un corpus sacrale o sociale ristretto. Mediante questo rito egli viene equipaggiato e fatto partecipe dei segreti, degli aspetti esoterici degli insegnamenti, delle tecniche e del modo di vita di quel gruppo particolare.
In generale si è ammessi tra i partecipanti a un dato gruppo attraverso dei riti appropriati, che segnano il passaggio dell'individuo a membro effettivo della comunità. Si tratta di una vera e propria morte simbolica e della nascita a un livello e qualità superiori. Il rituale d'iniziazione, infatti, ha lo scopo di armonizzare l'individuo con il patrimonio culturale e spirituale che gli viene trasmesso. Chi non realizza in sé tale integrazione sembra destinato all'emarginazione. È come se l'iniziato si spogliasse di sé, mentre gli vengono progressivamente rivelati i segreti sui quali la comunità fonda la sua esistenza.
Nelle religioni più istituzionalizzate non si dà solo la trasmissione di contenuti, ma si verifica anche una trasmissione spirituale da parte di chi accompagna e guida il processo di acquisizione personale dell'iniziando. 
4. La Successione iniziatica e la roccia o pietra.
Connessa a quanto dicevamo sull'iniziazione e sulla Tradizione, è la cosiddetta successione iniziatica. Definita in India con il termine sanscrito parampara, dai tibetani abisheka, dagli ebrei shalsheleth, dagli arabi silsillah, in ambito cristiano cattolico e ortodosso si trova nella successione apostolica. La presenza dello stesso fenomeno sotto nomi diversi dimostra che l'uomo ha adottato nel corso della storia diversi modi di trasmettere gli eventi che fondano l'esperienza spirituale. 
5. Alcuni esempi di successione iniziatica presso alcune religioni.
Nell'induismo.
In India, fin dal periodo vedico, si pratica una iniziazione o consacrazione, chiamata diksha (= desiderio di donare), la quale legittima ad operare nel sacro. L'iniziato diventa un consacrato mediante la trasmissione di influenze spirituali da parte del maestro, miranti alla sua moksha ( = liberazione). L'India conosce linee di maestri spirituali dei vari sentieri religiosi, che si potrebbero dire dinastiche. Viene trasmessa da un maestro all'altro non solo la dottrina esteriore, scritta o insegnata, ma anche la shakti, ossia l'energia spirituale, simile a un fuoco che si propaga da fiamma a fiamma. Questa operazione sacra, se così possiamo definirla, avviene mediante dei rituali e la pronuncia del mantra sacro, quella parola particolare consegnata all'adepto la quale può trasformarlo mediante la sua ripetizione continua. Per questo motivo, il mantra è considerato come una parola potente, in grado, cioè, di realizzare il suo significato. 
Nel buddhismo.
Anche nel sentiero aperto dal Buddha (563 - 483 a.C.), la successione sacra viene definita diksha, intesa come trasmissione della stessa influenza spirituale, la shakti, emanata dalla illuminazione del suo fondatore. L'inserimento nella comunità monastica sangha, dei discepoli dell'Illuminato, avviene mediante un rito di aspersione di acqua abisheka e altri rituali vari. È importante che il monaco sia accompagnato per diversi anni da un anziano maestro, esperto nelle dottrina Abhidamma e nella meditazione Bhavana, che gli comunica l'esperienza spirituale.
Nel Giudaismo.
Fino al periodo della monarchia, Israele non conobbe un sacerdozio istituzionalizzato, ma affidò il ruolo di custodi delle cose sacre a uomini che erano in relazione con i santuari o con l'arca, di cui erano guardiani, sacerdoti o inservienti. Successivamente, al tempo di David, l'istituzione dell'ordine sacerdotale verrà regolata da norme più precise, che avranno carattere definitivo con Salomone, all'epoca della costruzione del Tempio (970-931 a. C.). Si costituì a quel tempo una gerarchia composta di leviti e sacerdoti con il Sommo Sacerdote al suo vertice. Mentre i leviti venivano consacrati con l'imposizione delle mani, i sacerdoti ricevevano l'unzione sul capo. Con la distruzione del Tempio ad opera di Tito nel 70 d. C. il sacerdozio cessò di esistere. 
Nell'Islamismo.
Dal punto di vista ufficiale, nell'Islam, non vi è una vera e propria trasmissione dei poteri sacri, né possiede un sacerdozio istituzionalizzato. L'autorità religiosa e politica dei califfi  emana dalla parentela carnale con il profeta Maometto. Tuttavia esiste in seno all'Islam un segno di riconoscimento che viene dato al fedele. Di questo segno, si dice che non abbia origine umana, in quanto sarebbe stato dato al profeta Maometto dall'arcangelo Gabriele. Questo segno sarebbe raffigurato da una fiamma di fuoco che si sprigiona dalla fronte di Maometto. Da questa fiamma fluirebbero i poteri carismatici e profetici dell'inviato di Dio. Questa trasmissione, non accettata dall'Islam ortodosso, è praticata in circoli e ambienti eterodossi. Certo è che, anche se dal punto di vista essoterico non si può parlare di una successione iniziatica vera e propria all'interno di questa religione, si può parlare, invece, di una energia bàrakah, fluida e benefica, che emana dai santi, dai discendenti di Alì e di Fatimah e dai reduci pellegrini provenienti dalla Mecca, poiché quel luogo sacro è ritenuto colmo di bàrakah. Accanto all'insegnamento essoterico, la esh shariah, la strada maestra aperta a tutti, l'Islam conosce anche el haquiqah, la verità interiore riservata a chi ha la capacità e le qualificazioni necessarie per arrivare a conoscerla. La seconda via viene concepita come il nocciolo e la prima come la scorza del medesimo insegnamento. Il percorso che dalla shariah essoterica conduce all'esoterica haquiquah viene denominato tariquah, cioè via o sentiero. Percorrono tale sentiero i Sufi, i folli di Dio. L'origine etimologica del termine sufi è controversa. Per la maggior parte degli studiosi, il termine deriverebbe da suf, la lana bianca di cui si servivano monaci ed eremiti cristiani. Da tale parola deriverebbero altre voci: tasaw waf (= mercante di lana); sufi (= colui che veste il mantello di lana, quindi: santone, asceta, mistico). Radicali paralleli sono sassa (= allineare, formare quadrati) o saffun (= ordine, serie, rango). Facendo una sintesi di tali definizioni, potremmo dire che il sufi è colui che esternamente dà segno, vestendosi di lana, di un ordinamento interiore rivolto completamente alla divinità. Guénon propone un'altra etimologia: colui che conosce attraverso Dio. I sufi sono considerati i detentori della vera sapienza delle cose divine. Tra di essi esiste una catena di trasmissione dell'influenza spirituale, la silsillah, (= catena), in mancanza della quale non si da iniziazione al sufismo. L'origine di questa catena si fa risalire direttamente al Profeta. 
Nel Cattolicesimo. 
In linea di principio (dopo il non essere più scomunicati) questo è un cammino non dissimile da quello cristiano, basato anch'esso solo sui meriti personali. Ciò a dire, senza possibilità “d'intercessione” d'un terzo elemento umano, se non quello spirituale ed interiore. 
E in questo, si può riscontrare una similitudine con il principio meritocratico postulato nel tema del Karma (e Dharma) dei Fratelli d'Oriente. Ma proprio nel concetto d'intercessione umana, si pone la diversità tra cristianesimo e cattolicesimo. Il cristianesimo non ha mai posto in postulato una gerarchia umana, tanto meno infallibile. L'officiante è primus inter pares cioè, primo uguale tra eguali, fratello e sorella tra fratelli e sorelle, figlio tra figli e figlie. Non dissimile da questa risulta essere la proposizione orientale che dice: siamo tutti divini (figli dello stesso Dio), la differenza sta tra chi ha coscienza di esserlo e quanti ancora non lo ricordano. Il cattolicesimo, a differenza del cristianesimo, non verte su un Principio (in questo caso l'Amore rappresentato da Dio) ma su un uomo: un regnante infallibile, posto da altri uomini al vertice di una gerarchia rappresentativa della divinità.
il Principio iniziatico che la Massoneria ha posto in termine volutamente impersonale come: 
il Grande Architetto dell'Universo, è un Principio di Amore e Fratellanza che accomuna, accetta ed accoglie nel proprio seno ogni diversità, senza moti d'intolleranza. Tanto da rendersi compatibile con ogni forma di credo che sia altrettanto amorevole, aperto e tollerante. 
Da ciò che abbiamo detto fin qui possiamo trarre alcune considerazioni su Tradizione e iniziazione:
1. L'iniziazione avviene attraverso una trasmissione, sia nell'ambito visibile (attraverso riti, insegnamenti e rivelazioni) che in quello invisibile. Nell'ambito invisibile si tratta della trasmissione di una influenza sottile destinata a trasformare chi viene iniziato e ad ampliare le sue percezioni.
2. Sembra che si possa parlare di "collegamento a una Tradizione" solo se questa iniziazione avviene attraverso una catena ininterrotta nel tempo, che si possa ricondurre direttamente a chi ha istituito quella Tradizione.
3. Nella tradizione cristiana l'aspetto dell'iniziazione inerente alla trasmissione sottile di una influenza spirituale è la dimensione centrale. Se si può parlare di iniziazione cristiana, è solo in questo contesto.
Le domande che le nostre riflessioni sollevano sono più numerose delle possibili risposte: Come si può essere sicuri che, in una data Tradizione, ad esempio nel cristianesimo o nella massoneria, la trasmissione abbia effettiva validità, che nel corso dei secoli "l'influenza sottile" che viene trasmessa nelle iniziazioni non abbia perso ogni realtà? La distruzione dei cavalieri Templari, nel caso del cristianesimo, e i secoli di "occultamento" che separano la massoneria operativa dei costruttori di cattedrali dalla massoneria speculativa rinata nel XVIII secolo, nel caso della massoneria, potrebbero essere state delle interruzioni fatali per la catena iniziatica. 
E come occuparsi di una materia così sfuggente, che non può cadere sotto il dominio della scienza, non essendo soggetta a misura né a calcolo, non essendo osservabile con i cinque sensi, potendo occuparsene per definizione solo chi è già stato iniziato? Come considerare i molteplici movimenti che vanno sotto il nome di New Age e pretendono di sottoporre ai propri affiliati autentiche iniziazioni? E come considerare le numerose società segrete nate da un giorno all'altro alla fine del XIX secolo, ad opera di volenterosi "iniziati"?
Rispondere a queste domande non è compito di un articolo, ma di una vita intera. 
                                                 Ricerca di Giancarlo Bertollini
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