C’era una donna quindici secoli fa ad Alessandria d’Egitto, il cui nome era Ipazia.
C’era una bellissima donna ad Alessandria d’Egitto la cui voce e la cui sapienza ancora oggi la nebbia del tempo non ha sbiadito.
Il suo nome nella lingua greca evocava un’idea di eminenza, acume e suprema altezza. Glielo aveva dato suo padre Teone, celebre sapiente, che progettava per lei una carriera di studiosa. Essendo per natura più dotata del padre Ipazia non si fermò agli insegnamenti tecnico-matematici che lui praticava nella Scuola di Alessandria, ma si donò anima e corpo alla filosofia.
L’educazione che ricevette convogliò in lei i principi fondamentali della gran parte delle altre scienze, facendone un prodigio.
Di lei è indubbio che sia stata la terza caposcuola del neoplatonismo dopo Platone e Plotino. Contrariamente a quanto la dottrina più superficiale sostiene, è ragionevole sostenere che il V secolo d.C. non si configurò come epoca di decadenza della cultura, al contrario. L’amore per la sapienza era più vivo che mai e le lezioni di Ipazia, docente nella Scuola di Alessandria - come suo padre prima di lei - erano viste come un luminoso esempio di cultura: gli amanti del sapere accorrevano dal mondo greco e romano per ascoltarla perpetuare la tradizione dell’antica scuola platonica.
Questo è quanto ci dice su di lei Socrate Scolastico nella sua Storia Ecclesiastica. Inoltre, l’enciclopedista bizantino Suida riprende le parole di Damascio (biografo di Isidoro) che racconta: “pur essendo lei una donna indossava il tribon (il mantello grezzo dei predicatori cinici N.d.R.) e faceva le sue pubbliche apparizioni in città per spiegare a chiunque volesse ascoltarla chi fosse Aristotele o Platone o qualcun altro dei grandi filosofi”.
Tuttavia è l’opera stessa di Teone e Ipazia e quel che ne conserva la tradizione a far ritenere che le lezioni di padre e figlia non impartissero solo il platonismo teoretico bensì il suo avviamento tecnico-matematico e astronomico.
Ipazia scrisse, infatti, annotazioni scientifiche a opere classiche (non a Platone o ai neoplatonici ma alle Coniche di Apollonio di Perga - Apollonio era un matematico e astronomo greco diede alla parabola, iperbole ed ellittica i nomi con cui oggi sono chiamate - e l’Algebra di Diofanto).
A Ipazia si deve anche l’edizione di un testo di Tolomeo.
Sul piano strettamente filosofico gli studiosi hanno dedotto che la figlia di Teone professasse un neoplatonismo di tipo primitivo, dove si stigmatizzava un’inclinazione orientaleggiante del neoplatonismo da un lato ma anche alla fisionomia ateniese: alla prima (all’inclinazione orientaleggiante N.d.R.) ci si opponeva con un certo razionalismo, alla seconda (al neoplatonismo polemicamente anticristiano della scuola ateniese) con una notevole neutralità verso il nascente cristianesimo.
Questo profilo filosofico di Ipazia è avvalorato dalla circostanza storica che Sinesio (Vescovo di Cirene, quindi cristiano) non si sia mai discostato dagli insegnamenti filosofici della sua Maestra e che anzi li abbia coltivati con devozione, in conformità alla tradizione platonica che affonda le proprie radici nel rapporto maestro - allievo come tra Socrate e Platone. Sinesio in armonia con gli insegnamenti di Ipazia sosterrà sempre che la filosofia - scienza delle scienze - è il mezzo con il quale l’uomo comunica tanto con i suoi simili quanto con Dio.
Non dobbiamo, tuttavia, credere che vi fosse un’inclinazione di Ipazia per il cristianesimo. Non è neppure ortodosso attribuirle una “neutralità confessionale” quanto invece una tolleranza verso la nascente cristianità. Tollerare non significa accreditare e tantomeno credere, bisogna distinguere bene tra tolleranza e consenso intellettuale: sembra, quindi che Ipazia e i suoi allievi non cristiani tollerassero i dogmi cristiani attraverso l’antica arte platonica della “nobile bugia” praticata dai sapienti.
Un elemento che ho ritenuto di grande interesse è che al sodalizio di Sinesio e Ipazia vengano attribuite alcune “attività sotterranee” nell’ambito del platonismo. Sinesio era lo studioso della natura che aveva inventato uno strano modello di alambicco e fu anche autore di un trattato di alchimia.
Egli nell’Epistola a Erculiano alluse ad un segreto iniziatico, chiaro indizio di insegnamento esoterico. Nel Dione (opera dedicata ad Ipazia), invece, sono certamente dissimulate “Dottrine inviolabili” (abebela dogmata).
In quegli anni anche la matematica era messa all’indice come “scienza pericolosa” e l’unione del neoplatonismo con l’occultismo poteva costare la vita.
Ipazia, come scrive il suo contemporaneo Filostorgio, divenne superiore al padre nell’arte dell’osservazione degli astri.
E’ apparso evidente anche al maggior biografo di Sinesio che Ipazia dispensasse a una ristretta cerchia di studenti “una dottrina esoterica in margine ai programmi ufficiali” e probabilmente, in questa accezione - sempre riservata a pochi studenti scelti - l’insegnamento tecnico - astronomico di Ipazia nascondeva la vera materia delle lezioni magistrali della filosofa, vale a dire una rivelazione esoterica vera e propria.
L’astronomia, però, era molto più di una facciata. Uno dei segreti dell’esoterismo pagano era l’identificazione degli dei dell’olimpo politeista con i corpi celesti e le costellazioni e di qui la loro riconducibilità alle formule matematiche. Il linguaggio della matematica e dell’astronomia, praticato dagli ellenici e dai pitagorici aveva reso possibile la circolazione delle stesse dottrine e conoscenze ancestrali e delle stesse figure astrali (numeriche, divine) dal nucleo della sapienza caldea (sapienza babilonese N.d.R.)
Nel Discorso sul dono di Sinesio si legge: “L’astronomia è già di per sé una scienza più che degna, ma può servire forse ad ascendere a qualcosa di più alto, può essere l’ultima tappa, io credo, verso i misteri della teologia (…) poiché il corpo perfetto del cielo ha la materia sotto di sé e il suo moto è stato equiparato dai più noti filosofi all’attività dell’intelletto.”
Un contributo di Gemma Beretta nello studio della figura di Ipazia parte dai versi che Pallada le dedicò: “Verso il cielo è rivolto ogni tuo atto” ad indicare da un lato l’amore per l’astronomia e dall’altro la tensione filosofica.
Nel tracciare una nuova mappa nel cielo Ipazia indicava sempre una traiettoria nuova - e insieme antichissima - con la quale gli uomini e le donne del suo tempo potessero imparare ad orientarsi sulla terra e dalla terra al cielo e dal cielo alla terra, di nuovo, senza interruzioni e senza la mediazione di alcun potere ecclesiastico. Ipazia insegnava ad entrare dentro di sé (nell’intelletto) guardando fuori la volta stellata, mostrando come procedere in questo cammino - decisamente iniziatico - con il rigore proprio della geometria e dell’aritmetica che tenute insieme costituivano un canone di ricerca della verità.
Ipazia era certamente anche una guida spirituale: la devozione che Sinesio le esprime nell’epistolario - tanto più singolare se consideriamo che le sue parole erano rivolte a una coetanea - si spiega solo supponendo un legame “sacro” tra loro, quasi sacerdotale.
Questa di Ipazia di Alessandria era certamente una figura scomoda per il movimento antipagano germogliato in quegli anni e a cui aveva partecipato tutta la chiesa d’Egitto, in un clima di guerriglia civile e religiosa. Era nato il movimento monastico per sostenere il vescovo Teofilo prima e il nipote di questi Cirillo poi. Questi monaci erano un nugolo di uomini che conducevano una vita da porci e compivano apertamente crimini innominabili.
Cirillo, avido e ottuso, contraddisse col suo episcopato l’idea di tolleranza propugnata dall’editto di Costantino, così come le tendenze conciliatorie tra paganesimo e cristianesimo che l’imperatore aveva appoggiato politicamente e giuridicamente sancito.
Il potere di Ipazia era però di altro tipo sebbene altrettanto indiscusso fosse quello sociale e politico. Il tipo di Philosophia di Ipazia va incluso, prima che nella storia del pensiero in quella del rapporto, tanto pagano quanto cristiano, fra la donna e il sacro.
In questa visione la sua importanza va collocata nella linea di successione di capi o gran maestri, esoterica, non segreta che stando alle testimonianze di Sinesio la vide alla guida della confraternita neoplatonica più importante della sua epoca. Fu un vero anello della catena di avvicendamento (diadoche) nella tradizione iniziatica neoplatonica. In poche parole si può sostenere che questa linea sotterranea di platonismo intrisa di pitagorismo e sapienza zodiacale caldea continuerà il suo percorso per tutto il millennio bizantino anche con la contaminazione di intellettuali ecclesiastici come Bessarione.
Ipazia, nella sua scuola di pensiero, contaminò attraverso la tolleranza la razionalità cristallina della filosofia platonica ateniese con la tradizione iniziatica ed esoterica mediorientale nata e sviluppatasi in terra d’Egitto. Sempre attraverso la tolleranza Ipazia incluse la compagine cristiana in quello che mi piace definire, personalmente, un apostolato iniziatico di sapienza.
Questa forma di proto-massoneria rimase aperta soprattutto alle donne fino ai gradi più alti di iniziazione se non a posizioni di vertice come quello di Ipazia. Fu solo col suo passaggio a Occidente e il suo trasfondersi, attraverso il caposcuola Gemisto (detto Pletone nato nel 1355 a Costantinopoli), nelle accademie platoniche europee, che la componente femminile, fino ad allora vitale ed illustre, scomparve.
Per concludere nel V secolo Ipazia Muore. E’ l’8 marzo 415 d.C. e Ipazia stava percorrendo la scalinata che l’avrebbe condotta, come ogni giorno, alla sua scuola. Venne raggiunta dagli uomini vestiti di nero del Vescovo Cirillo. Le strinsero le braccia e la portarono sul luogo del martirio. Ella non venne strappata da un trono ma da una cattedra. Venne scuoiata viva, smembrata e bruciata dalla bestia dell’oscurantismo che divorava il Patriarca di Alessandria (un prelato illustre ottenebrato solo dall’emulazione, dall’ambizione e dall’invidia). Cirillo venne persino dichiarato santo benché crudele e unico colpevole di questo efferato omicidio e di altre nefandezze inenarrabili.
Ipazia muore, dicevamo, è vero. Tuttavia non scompare, passa la fiaccola, piuttosto. Infatti il nucleo intellettuale di cui è stata vista come l’ultima esponente è quello da cui germoglierà la più rigogliosa fioritura della cultura bizantina. Lì il paganesimo sopravvivrà non solo nel platonismo filosofico ma anche nel culto popolare cristiano dove all’antico olimpo politeista si sostituirà il martirologio.
Ai fini dei nostri studi la figura di Ipazia e i suoi insegnamenti rappresentano un punto di grande interesse. Per la prima volta in Ipazia troviamo l’anello di congiuntura tra la filosofia greca e la tradizione esoterica mediorientale, egiziana, dalla quale Ipazia attinge nell’insegnamento dell’esoterismo ad una ristretta cerchia di discepoli, come abbiamo accennato prima.
Ipazia è alla ricerca della sapienza ma anche di una via iniziatica, di un percorso intrapreso guardando la volta celeste e scavando nel proprio intelletto, nel proprio io. Lei lo fece come caposcuola, come studiosa, insegnate e come donna.
A qualunque cosa Ipazia sia assomigliata di più, a una studiosa, a una sacerdotessa, a un’insegnante o a una colta aristocratica trasgressiva, che abbia davvero fatto innamorare i suoi allievi, che abbia o no - non è escluso - scoperto qualcosa di nuovo, non è fondamentale.
Che l’insegnamento iniziatico che lei impartiva all’inquieta aristocrazia ellenica offrisse o no la rivelazione che a un livello alto della teologia platonica inglobava quella cristiana e che i dogmi improbabili di quest’ultima venissero tollerati attraverso l’arte platonica della “nobile bugia” non è importante.
Ciò che davvero conta, a mio avviso, è imparare dal passato e ogni volta che nella storia si riproporrà il conflitto tra un Cirillo e un’Ipazia quel che veramente farà la differenza sarà stare sempre dalla parte di Ipazia.
Bibliografia:
- Da Ricerche sul WEB
- TRECCANI - Enciclopedia Italiana.
- Lavori e Ricerche Storiche di Simona Teodori.
- Augusto Franchetti, Roma al femminile - Laterza, Roma 1994.
- Silvia Ronchey, Ipazia La vera storia, ed. best BUR - Milano 2015.
- Gemma Beretta, Ipazia di Alessandria, Editori Riuniti - Roma 2014.
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