Vendetta, Giustizia e Banalità

La banalità del male di: Hannah Arendt 

Hannah Arendt nasce nel 1906 a Hannover da famiglia ebraica: ciò sarà fondamentale nella sua vita. 

Studia filosofia in diverse università con i più grandi maestri dell’epoca, tra cui anche Martin Heidegger, con il quale ebbe anche una relazione sentimentale intensa e sofferta, date le simpatie naziste del filosofo, che fu anche membro del Partito.

Questo amore resisterà anche alla totale diversità di scelte biografiche e culturali dei due, tant’è che dopo la guerra questa relazione durerà ancora.

La Arendt, costretta ad emigrare per le persecuzioni naziste, va prima in Francia e poi negli USA dove insegna presso diversi atenei, fino alla morte nel 1975

La banalità del male è una delle opere più importanti di Hannah Arendt. 

Il libro è stato scritto nel 1963 in seguito al processo contro il criminale nazista Adolf Eichmann, arrestato in Argentina nel 1960. Durante il processo, al quale prese parte in qualità di inviata speciale del “New Yorker”, Hannah Arendt si rese conto che l’uomo, privo di pensiero, si limitava a mettere in pratica gli ordini ricevuti.

Le cause dell’antisemitismo, dunque, sono state:

l’assenza di scrupoli di coscienza;

il meccanicismo nell’eseguire gli ordini.

Quando si verificano tali condizioni, l’uomo diventa capace delle più disumane atrocità. A causa di queste sue riflessioni, la Arendt è stata criticata ed additata dal mondo ebraico, al quale ella stessa apparteneva, per aver sottovalutato il fenomeno nazista.

La responsabilità di Eichmann, colpevole di aver destinato gli ebrei nei campi di concentramento, fu in qualche modo “tecnica”, ma non per questo meno grave. Tuttavia, interrogato nel corso del processo, l’ex gerarca afferma di aver esclusivamente eseguito degli ordini ricevuti, come se questo bastasse per scagionarlo.

La banalità del male, una breve analisi.

La motivazione che Hannah Arendt dà rispetto a questa mancata assunzione di responsabilità e di comprensione della gravità del fenomeno è che i crimini nazisti non sono stati dovuti tanto alla crudeltà dei loro carnefici, ma al fatto che i protagonisti delle atrocità verso gli ebrei si fossero in qualche modo “privati” di pensiero, pienamente inseriti all’interno del meccanismo nazista.

I nazisti, quindi, non sarebbero affatto incarnazioni degli aspetti più spregevoli dell’animo umano, ma banali individui inseriti all’interno di un meccanismo infernale. Il che comporta una pericolosa considerazione: chiunque, inserito nello stesso meccanismo, potrebbe agire nello stesso modo.

Infatti un buon padre di famiglia, un burocrate, o in generale una persona normale e banale può ritrovarsi a fare del male se inserito in un meccanismo politico–sociale o in un apparato poliziesco che lo spingono ad agire senza pensare.

Il nazismo aveva quindi tolto ai tedeschi la capacità di pensare, ovvero di giudicare le proprie azioni. I campi di concentramento non solo hanno distrutto fisicamente ma soprattutto hanno spogliato l’identità di essere uomini, svilendo alla radice la capacità di giudicare i propri atti.

In conclusione, Eichmann stesso non sarebbe altro che un uomo comune, superficiale e mediocre, incapace di pensare al valore morale dei propri atti. Dietro questa mediocrità, vi è la banalità del male, poiché sono individui banalmente comuni a poter compiere il male. Come Eichmann ce ne potrebbero essere altri milioni: il nazismo infatti non incarna il male in sé, ma il fatto di aver condotto uomini banali, a compiere del male atroce. Lo stesso, in una forma leggermente diversa, potrebbe anche essere applicato agli scienziati che hanno lavorato alla bomba atomica senza pensare alle sue conseguenze.

La comunità ebraica considerò molto negativamente lo scritto della Arendt, imputandole la responsabilità dell’assoluzione di Eichmann e una riduzione della responsabilità dei nazisti: nel saggio della Arendt infatti manca del tutto la dicotomia nazisti=demoni/ebrei=angeli presente fino a quel momento nell’immaginario collettivo postbellico.

Ecco alcune frasi tratte dal saggio di Hannah Arendt

* Hitler, disse, "avrà anche sbagliato su tutta la linea; ma una cosa è certa: fu un uomo capace di farsi strada e salire dal grado di caporale dell'esercito tedesco al rango di Führer di una nazione di quasi ottanta milioni di persone... Il suo successo bastò da solo a dimostrarmi che dovevo sottostargli". 

E in effetti la sua coscienza si tranquillizzò al vedere lo zelo con cui la "buona società" reagiva dappertutto allo stesso suo modo. 

* Egli non ebbe bisogno di "chiudere gli orecchi", come si espresse il verdetto, "per non ascoltare la voce della coscienza": non perché non avesse una coscienza, ma perché la sua coscienza gli parlava con una "voce rispettabile", la voce della rispettabile società che lo circondava.

L'Italia era uno dei pochi paesi d'Europa dove ogni misura antisemita era decisamente impopolare.

Quel che ora penso veramente è che il male non è mai "radicale", ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso "sfida", come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. 

Questa è la sua "banalità". 

Solo il bene è profondo e può essere radicale

Adolf Eichmann, condannato a Norimberga per la Shoah, senza aver materialmnte mai ucciso nessuno, ma per aver semplicemente "ubbidito ad ordini ingiusti", e dunque pieno concorrente nell'orrore per aver dato contributo determinante, mediante ubbidienza all'ordine ingiusto e discriminatorio, come un burocrate tranquillo ed incolore, ossequiente e sottomesso ai vertici del Regime, dando così sostanza a quel che, osservandolo, fù definita "la banalità del male". 

L'ubbidienza acritica e prostrata è quel che il Cavaliere combatte "per la causa della civiltà contro la barbarie. Per... tutti coloro che sono nelle tenebre... Per la Libertà di pensiero... Per la causa... della lotta eterna contro l'ignoranza", è veleno che uccide l'intelligenza e le sue potenzialità di Luce e che altrettando guida o dovrebbe guidare il Supremo Tribunale.

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Ed in Massoneria

Davanti ad una Vendetta (quasi sempre rapida e frutto dell’ira di un singolo) come ci comportiamo? 

E la Giustizia? (sempre frutto di meditazione da parte di una commissione, e maturata nel tempo dal confronto di idee e regolamenti, nonostante questo a volte vediamo sentenze errate o peggio dettate dalla malafede). 

Ricordando sempre che vedere senza intervenire ci rende COMPLICI.

Gianmichele Galassi in un suo Saggio, sostanzialmente dice: 

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Vendetta e Giustizia.

L’argomento centrale che traccia la base del costrutto simbolico-iniziatico è certamente individuabile nella “vendetta”. 

Come al solito, nel IX grado il tema si dipana attraverso le vicissitudini del giovane Maestro Joabert, principale attore della vicenda che si propone di presentare, pulsioni, sentimenti, azioni e reazioni umane di fronte alla “vendetta”. Ancora una volta, lo psicodramma iniziatico presente nella cerimonia rituale del grado va solcando precise direzioni di intervento che debbono essere prima assimilate, poi ripercorse al fine di vincere la sfida personale per chiunque si trovi in tale situazione.

Il sentimento di Vendetta può, infatti, essere o divenire una pulsione incontenibile, alimentata da potenti forze vuoi dell’ira vuoi dalle altre legate alla disperazione derivante dall’incapacità o impotenza di porre rimedio all’accaduto; ecco la necessità del Supremo Tribunale del XXXI. 

Il racconto su Joabert apre su ulteriori possibili strade da battere per l’iniziato che sappia controllare i propri impulsi, anche i più forti: alla “vendetta” deve necessariamente sostituirsi la “Giustizia”, come sapientemente fa notare il Saggio Re Salomone con il suo esempio.

Il sangue genera sempre altro sangue, se nessuno ha coraggio e forza per spezzare la tragica catena. Infatti, il gesto di disobbedienza dettato dall’ira e cosparso dal sangue dell’assassino del Maestro Hiram, ha macchiato indissolubilmente le mani e la coscienza del giovane Maestro Joabert che da Uomo è divenuto egli stesso assassino, sostituendosi alla “vera Giustizia”.

Il rituale insegna che essere giustizieri violenti, guidati dalla vendetta ed accecati dall’ira, non rende molto diversi da coloro che hanno compiuto il primo delitto per altri scellerati motivi.

Come accennato, solo un atto di clemenza può arrestare un’escalation di sangue e vendetta, nel nostro caso la spirale di violenza è interrotta da Salomone che ferma il Cav. Stolkin pronto a colpire mortalmente il giovane Joabert, con queste sagge parole: 

“Insensato! Ed ora è la vostra volta di coprirvi di sangue? 

Non credete che uccidendo questo Uomo, altri faranno ciò che voi gli fate?”.

Conclusioni.

Colui che ha raggiunto un così elevato livello iniziatico ha in sé quelle qualità che gli permettono una lettura consona del rituale nei tratti più prettamente esoterici. Al tempo stesso, però, la vicenda insegna che pur possedendo la dignità di Maestri, come lo stesso Joabert, non siamo al riparo da scivolamenti o ricadute, sebbene ci si riferisca ad un contesto piuttosto particolare. Comprendiamo, quindi, ancora una volta che essere Maestri non è condizione sufficiente a rilassarsi, bensì ci viene ricordato e ribadito quanto la strada da percorrere per il nostro perfezionamento sia ancora lunga e ripida.

Detto ciò, il Cavaliere Eletto dei Nove, per completare il cammino nel grado, dovrebbe tentare di sommare, alle qualità e virtù richieste ad un Cavaliere, le capacità interpretative del simbolo e le caratteristiche di un Maestro Massone Speculativo; del resto dalla sua iniziazione a Maestro Segreto deve aver comunque compiuto i passi necessari alla propria elevazione nei gradi intermedi sebbene non praticati ritualmente. Tale status “spirituale-iniziatico” si rivelerà la conditio sine qua non per la comprensione esoterica dei successivi simbolici gradini che conducono alla soglia della dimensione filosofica rappresentata dal Principe Rosa+Croce, ultimo vero salto dimensionale dell’Universo iniziatico che dai “piccoli misteri” trascende ai “maggiori”. 

*** *** ***

E il Perdono

Chi sono io per perdonare? Perdonare chi? Perdonare cosa? 

Forse il torto che ritengo di aver subito me lo meritavo. Pensiamo a Jimmy Linch (dal quale il termine Linciaggio) che gettando una corda oltre il ramo di un albero procedeva all’impiccagione spacciandola per Giustizia. Pensiamo alle “Faide” purtroppo ancora esistenti in alcune zone, si uccide uno o più componenti di una famiglia per vendicare uno o più uccisi della propria. 

Ci sono casi dove gli assassini non ricordano più nemmeno come è iniziata ma continuano a perpetrare. 

Ho avuto la fortuna di poter girare quasi tutto il Mondo e, tra le cose che mi hanno colpito profondamente ce ne è una che voglio condividere con Voi. 

In una tribù nel Cuore dell’Africa ero seduto col gentilissimo Capo che mi ha offerto una bevanda fatta da loro (mi auguro di non doverla mai più bere) quando sono arrivati due giovani che litigavano (con famiglie al seguito) per chiedere giustizia e il Capo non si è schierato emettendo un giudizio ma ha chiamato tre anziani (dopo mi hanno spiegato che erano ufficialmente la loro Commissione dei Saggi) per farsi raccontare le due versioni della diatriba, poi si sono allontanati e dopo una ventina di minuti sono tornati emettendo la loro Sentenza di Giustizia. Ecco nessuno ha tentato di vendicare un torto ma hanno cercato GIUSTIZIA, dovere preciso del Supremo Tribunale.

Ora tentiamo di far funzionare il nostro Sistema di Giustizia e scaviamo oscure e profonde prigioni al Vizio e alla Vendetta. 

Vi abbraccio Tutti. 

                     Giancarlo Bertollini

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