Gli Egizi: Cultura e Religioni

Dei egizi: nomi e funzioni delle divinità egizie

Fonte: getty-images

Gli antichi Egizi hanno dato vita, così come tutte le altre civiltà, prima e dopo di loro, che si sono trovate davanti al mistero della morte e della vita, a una religione. Nella fattispecie, la religione politeista degli antichi egizi ha un pantheon – ovvero un insieme di divinità – molto ricco e variegato.

Pur nascendo da una cultura molto identitaria e molto caratteristica, la religione egizia presenta alcune similitudini con le altre religioni coeve, ma si distingue sotto molti altri punti di vista. Ecco un excursus il più possibile completo sulle divinità di questa religione, la loro storia e la loro “funzione” a livello religioso, nella speranza di aiutarvi a fare luce sul mistero di questo culto ancora oggi tra i più affascinanti.

Due parole sulla religione Egizia

La religione egizia racchiude l’insieme delle credenze religiose e dei rituali del popolo egizio, tratteggiando in maniera molto precisa il loro concetto di sacro. Come accade nella maggior parte dei culti politeisti, anche qui alcuni dei, in base al periodo storico, risultano più importanti di altri.

Tra gli elementi peculiari di questo culto, che si differenzia per alcuni concetti base anche dalle altre religioni del bacino mediterraneo, è l’adorazione degli animali. Insomma, una religione zoolatrica, non dissimile da alcuni tratti della moderna religione induista.

Non solo: molte divinità egizie presentano tratti zoomorfi che vedremo più avanti. Solo con l’avanzare del periodo dinastico la religione egizia ha cominciato a evolversi verso uno sviluppo più antropomorfico della nozione di dio, ma non per questo la religione manca di elementi totemici. Seppur gli dei, col tempo, cominciarono ad assumere tratti sempre più umani, il culto dell’animale rimase sempre, poiché considerati in qualche modo manifestazioni della divinità.

Anubi, il dio dell’oltretomba

Quarto figlio di Ra, generato con Hesat, Anubi è il dio dalla forma di sciacallo che può essere chiamato anche Imy-ut, ovvero l’imbalsamatore. È stato il dio della mummificazione e dei cimiteri, protettore delle necropoli e custode del mondo dei morti. Gli imbalsamatori che si occupavano di preparare i morti per la sepoltura erano anche i suoi sacerdoti.

Lo si può vedere raffigurato nella sua forma di sciacallo, o di uomo con la testa d’animale.

Il suo compito è quello di accompagnare l’anima del defunto davanti al tribunale supremo degli dei, così come narrato dal “Libro dei Morti”, illuminandogli il cammino. Prendeva parte anche alla “Sala delle due verità”, e insieme a Thot pesava il cuore del defunto, misurandolo con una piuma. Solo chi aveva il cuore più leggero di una piuma non era condannato.

Osiride, dio dell’agricoltura

Osiride è figlio di Geb e Nut, e regna al fianco della sua sorella, e anche sposa, Iside. È considerato il “re divenuto dio”, ma anche il “re morto della natura”. Ogni anno, nel periodo delle esondazioni del Nilo, Osiride muore e rinasce a primavera, dopo aver soggiornato sottoterra, sotto forma di grano seminato.

Iside, dea della fertilità

Nella mitologia egizia, Iside è la dea della fertilità e della maternità che ricalca tante altre figure dei pantheon mediterranei, ma con alcune uniche peculiarità. Molto spesso Iside veniva raffigurata con un aspetto umano, femminile, e lunghe corna bovine.

È una versione egizia di “Demetra”, ovvero la dea greca della terra, almeno secondo Erodoto.

Seth, dio della violenza

Tra le divinità più antiche, Seth è stato dio del deserto, della siccità, delle bufere, della distruzione provocata dalla natura, del caos, della guerra e in generale della violenza. Insomma, la sua figura rappresentava tutto quello che poteva mettere a soqquadro la vita degli esseri umani.

La sua identità era anche una rappresentazione del bisogno dell’umanità, oltre alla religione, di una figura che si contrapponesse ad essa.

Seth viene spesso raffigurato sulla prua della barca solare di Ra, intento a uccidere il mostro Apopi (un grande serpente acquatico).

Bastet, dea della casa, dei gatti e delle donne

Divinità egizia della fertilità, delle nascite e dei gatti, questa donna con la testa di un felino era deputata a proteggere e preservare. È stata una delle figure più amate dai devoti.

Il suo nome era spesso associato ai vasi di unguenti dove venivano conservati unguenti e profumi. Era lei a cui ci si rivolgeva quando in casa c’era un’epidemia, o una malattia contagiosa, per cercare protezione.

Hathor, dea della bellezza

Hathor è la dea egizia della maternità e della bellezza, amata da faraoni e ceti inferiori. Era lei ad accogliere le anime nell’aldilà.

Era anche adorata come dea della danza, delle terre straniere ed era la guardiana protettrice delle partorienti. Il Nilo, così come le miniere, erano poste sotto la protezione di Hathor.

Maat, dea della giustizia

Maat era la dea che incarnava gli ideali di ordine, armonia, equilibrio, verità, legge e regole, ma anche della moralità. La sua raffigurazione è femminile, con una piuma intesta, ed era responsabile della disposizione delle costellazioni e delle stagioni.

Il suo ruolo primario nella religione egizia era anche quello di pesare le anime (o il cuore) dei defunti: era proprio la sua piuma a determinare se l’anima avrebbe raggiunto l’aldilà o meno.

Oltre alla distruzione, il suo compito era anche quello di guarigione. Era la dea patrona dei medici, e i suoi sacerdoti erano chiamati a curare le malattie più difficili.

Sekhmet, divinità della guerra, delle epidemie e delle guarigioni

Questa divinità dell’antico Egitto era deputata alla guerra, ma anche alle epidemie e alle guarigioni. Una donna con il volto di leonessa, feroce, distruttiva, ma anche protettrice dei faraoni.

Thot, dio della sapienza, della scrittura e della magia

Thot era il dio del tempo, della matematica, della geometria, degli scribi e di tutto quello che era definito conoscenza. Un uomo con la testa di ibis o, in alcuni casi, con la testa di babbuino.

Insieme a Osiride, era una delle divinità che giudicava le anime dei defunti.

Amon-Ra, il dio del sole

Adorato in moltissime località dell’Egitto, Amon, detto anche Ra, regnava sugli uomini e sugli Dei. È una commistione tra Amon e Ra, due divinità inizialmente separate, che tuttavia nel tardo periodo egizio si sono fuse in un’unica entità che ha reso la religione egizia quasi monoteista.

Ricerche di Giancarlo Bertollini

www.studiostampa.com

Islam: Sunniti e Sciiti

Sintesi: Le divisioni nell’Islam; sunniti, ibaditi, sciiti. 

La più importante, ma non unica, differenza religiosa tra musulmani è quella tra la comunità maggioritaria sunnita da un lato, e le diverse comunità sciite dall’altro; un terzo gruppo, gli ibaditi, include una piccola minoranza. 

Per comprendere la distinzione tra sciiti e sunniti si fa usualmente riferimento alla divisione della prima comunità musulmana, in seguito alla morte del Profeta, su chi dovesse guidarla, e in particolare ai conflitti che divisero questa comunità nelle prime due guerre civili (fitan). Generalmente si definiscono “sciiti” i sostenitori di ‘Ali ibn Abi Talib, cugino del Profeta e marito di sua figlia Fatima, e della sua linea di discendenza, e “sunniti” coloro che invece accettano la legittimità della successione al Profeta da parte dei primi tre califfi (Abu Bakr, ‘Umar ed ‘Uthman) e la successiva vittoria delle dinastie califfali umayyade ed abbaside. In questi termini, la distinzione è imprecisa; infatti in questo modo si proietta sui conflitti del settimo e dell’ottavo secolo una distinzione che si è andata definendo nel corso del tempo e che riflette la situazione successiva.  Le prime guerre civili ruotavano inizialmente attorno alla persona che doveva guidare la comunità; si trattava di conflitti tanto politici quanto “religiosi”; per chi li combatteva, stando alle fonti, erano in gioco tanto il potere quanto la salvezza.  

La seprazione tra sciiti e sunniti nasce all’ombra di questi conflitti, e da una successiva riflessione su di essi. Non si tratta infatti solo di un disaccordo sulla persona della guida (imam), ma di una diversa concezione religiosa suo ruolo, e più in generale, dell’asse d’autorità spirituale, e non di quella politica.  

Nel periodo delle fitan, (seconda metà del settimo secolo) si hanno diversi orientamenti politici e dottrinali, tra cui vari “partiti” sostenitori dei diversi pretendenti al califfato, o che invece rifiutano di prendere una posizione politica.  I sunniti Non è storicamente corretto parlare già di una comunità “sunnita”, distinta dagli sciiti e dottrinalmente definita come tale, nel periodo delle prime guerre civili e in epoca umayyade. 

In particolare, è improprio chiamare “sunniti” i sostenitori delle rivendicazioni califfali “vincenti” (gli Umayyadi). Anzi, la successiva tradizione sunnita guarda gli Umayyadi in una luce negativa, mentre riconosce a posteriori il califfato di ‘Ali (ma non dei pretendenti della sua discendenza) come legittimo. 

In generale, per i sunniti l’autorità spirituale suprema non risiede in una singola guida politico-religiosa, indipendentemente dalla persona, ma in un sapere religioso diffuso nella comunità, che non corrisponde dall’autorità politica del califfo.  Questa autorità politica viene comunque accettata, ma la sua accettazione non è più considerata determinante ai fini della salvezza, purché ci si comporti da buoni musulmani, seguendo la Legge religiosa, la Tradizione del Profeta (sunna) e il consenso della comunità. Questo consenso dottrinale (con diverse sfumature) si forma gradualmente tra la fine del settimo e l’inizio del nono secolo e va a definire la visione maggioritaria all’interno della comunità musulmana. 

Il pensiero sunnita ammette, entro certo limiti, la possibilità di disaccordo interpretativo tra i sapienti religiosi, e dunque un certo grado di pluralismo. Al di fuori di questo consenso maggioritario abbiamo sia correnti di pensiero teologico (ad esempio i mu’taziliti) sia vere comunità religiose minoritarie: di queste sopravvivono fino ad oggi gli ibaditi, ultima scuola superstite del movimento kharijita, e appunto le varie correnti sciite. 

I kharijiti e gli ibaditi. Il movimento kharijita nasce nel corso della prima fitna, dal gruppo di seguaci di ‘Ali ibn Talib che rinnega la sua autorità dopo che questa aveva accettato un compromesso con l’umayyade Mu’awiya. I kharijiti delle origini non identificavano una specifica personalità come imam (inteso come guida della comunità) ma esigevano da chiunque scegliessero come propria guida legittima una virtù assoluta; su questa base ritenevano la propria comunità come l’unica vera comunità di credenti e ritenevano che chi accettasse altri governanti non fosse più musulmano. La scuola ibadita, a differenza di altre scuole kharijite ora scomparse, sostiene che la convivenza con gli altri musulmani sia permessa. Attualmente gli ibaditi sono numerosi in Oman e sono rappresentati da piccole minoranze, concentrate in alcune zone del Nordafrica (l’isola di Djerba in Tunisia, la regione del Mzab in Algeria, il Jabal Nafusa in Libia) e attorno all’Oceano Indiano.  

Il termine “kharijiti” di solito non viene usato in relazione agli ibaditi di oggi, nonostante l’origine kharijita della loro dottrina. Nei primi secoli dell’Islam, altri gruppi kharijiti si ritenevano autorizzati ad usare la violenza contro il resto della comunità, non considerandola più credente; dunque erano visti come pericolosi ribelli, e la parola ha assunto una associazione negativa.  

Gli sciiti La comunità religiosa sciita, con le sue distinzioni interne, è l’evoluzione dottrinale del movimento politicoreligioso legato alla figura di ‘Ali ibn Abi Talib e alla sua linea di discendenza, ma non coincide con esso. Questa evoluzione è complessa, legata agli sviluppi storici del secondo secolo dell’Egira (circa l’ottavo secolo) e include numerose divisioni dottrinali. Comune a tutti gli sciiti è la fedeltà alla Casa di ‘Ali come guida per la comunità. Questa fedeltà si consolida in termini dottrinali attorno alla metà dell’ottavo secolo, nel rifiuto della legittimità sia degli Umayyadi che della successiva dinastia Abbaside, la quale era salita al potere rivendicando la propria appartenenza al clan del Profeta (e quindi col sostegno iniziale di una parte dei futuri sciiti). 

Tuttavia, la fedeltà alla Casa di ‘Ali, inizialmente di ordine politico, assume una valenza prevalentemente religiosa nel corso della storia delle diverse tradizioni sciite.  Esistono oggi tre principali tradizioni sciite, oltre ad altre tradizioni minori spesso raggruppate nella categoria dei ghulat (“coloro che esagerano”, si intende, nella venerazione verso ‘Ali e i suoi discendenti).  

1) Gli zayditi sono la tradizione sciita dottrinalmente più prossima ai sunniti. Riconoscono come guida legittima della comunità qualsiasi discendente di ‘Ali e Fatima che sia in grado di far valere i propri diritti, ma con lo stesso tipo di autorità terrena e simbolica che il consenso sunnita attribuisce ai califfi in carica: anche per gli zayditi il sapere religioso è diffuso nella comunità, anche se questa deve essere guidata dagli eredi di ‘Ali. Gli zayditi si ispirano all’azione dell’Imam Zayd, nipote di Husayn figlio di ‘Ali, che guida una fallita ribellione contro gli Umayyadi nel 740. 

Oggi le comunità zaydite si trovano soprattutto in Yemen, dove una linea di loro Imam, discendenti di Hasan figlio di Ali, ha governato a lungo alcune regioni.  

2) La tradizione sciita maggioritaria è quella detta duodecimana o imamita. Al momento della ribellione di Zayd, i futuri duodecimani seguono l’opinione di suo fratello Muhammad al-Baqir, il quinto Imam legittimo secondo la loro tradizione, che aveva sostenuto un atteggiamento quietista. Muhammad al-Baqir e soprattutto suo figlio Ja’far al-Sadiq teorizzano una supremazia spirituale dell’Imam che non si deve necessariamente tradurre in potere politico. Secondo i duodecimani, gli Imam della casa di ‘Ali sono scelti da Dio per fornire una guida alla comunità dei credenti; gli Imam duodecimani sono infallibili nella loro interpretazione del Corano e della Tradizione e dunque formano l’asse di autorità religiosa suprema, al di sopra della comunità. Il riconoscimento della loro autorità spirituale è necessario alla salvezza del credente.  

I duodecimani negano generalmente la legittimità dei primi tre califfi “ben guidati”, perché per loro soltanto gli Imam scelti da Dio possono guidare i credenti, ma storicamente hanno tollerato il potere politico delle dinastie non discendenti da ‘Ali, proprio perché nella loro visione il ruolo dell’Imam diventa essenzialmente religioso. 

La linea di Imam duodecimani si interrompe nel’873, quando l’undicesimo di loro muore. Secondo gli sciiti duodecimani, suo figlio, il dodicesimo Imam, si trova da allora in occultamento (ghayba) per volontà divina. Egli è presente nel mondo, perché la comunità dei credenti non potrebbe esistere senza la sua guida infallibile, ma non è accessibile a causa dell’ingiustizia e della persecuzione prevalenti nel mondo terreno. Apparirà di nuovo alla fine dei tempi per ristabilire l’armonia e la giustizia. Nella fase di ghayba l’autorità religiosa effettiva della comunità sciita è di fatto diffusa in una comunità di sapienti religiosi, come accade per i sunniti e gli zayditi. Questa autorità interpretativa è molto più formalizzata e gerarchizzata, e fa riferimento, oltre al Corano e a un proprio corpus di tradizioni del Profeta, anche agli insegnamenti dei dodici Imam (specialmente di Ja’far alSadiq, che aveva un circolo di discepoli e si dedicava agli studi religiosi). 

Attualmente gli sciiti duodecimani sono la maggioranza della popolazione in Iran, Iraq, Azerbaigian e Bahrain, e significative minoranze esistono in Libano, Afghanistan, Pakistan ed India.  

3) Al tempo di Ja’far al-Sadiq (morto nel 765) si verifica un’altra divisione interna alla comunità sciita dei suoi seguaci. Egli aveva indicato come suo successore il primogenito Isma’il, che però muore prima di lui. I futuri duodecimani seguiranno la guida di un altro figlio di Ja’far, Musa al-Kazim, il settimo dello loro linea di Imam, ritenendo che Musa fosse stato indicato da Ja’far stesso dopo la morte di Isma’il. Un altro gruppo, gli ismailiti, pensarono invece che, essendo infallibile la scelta di Isma’il da parte di Ja’far, la guida della comunità spettasse ai discendenti di questo, anch’essi in occultamento. Sappiamo poco della storia della corrente ismailita nel primo periodo della sua storia. Le dottrine ismailite spingono la venerazione degli Imam ancora più oltre la dottrina duodecimana. 

Per gli Ismailiti un Imam, infallibile e impeccabile, è sempre presente nel mondo, secondo cicli di fasi di manifestazione e di occultamento. L’Imam è la guida vivente della comunità, o perlomeno di quella élite che è in grado di comprenderne l’insegnamento più profondo di natura esoterica (batin).  

Esistono diverse correnti Ismailite, perché in diverse occasioni la linea di successione degli Imam è stata contestata. La corrente più numerosa, i nizariti, ha attualmente un Imam manifesto, che oggi ha il titolo di Aga Khan. Ad una corrente ismailita si deve la creazione del califfato fatimide, governato dalla loro linea di Imam tra il decimo e il dodicesimo secolo. Dopo il tredicesimo secolo, anche le tradizioni ismailite hanno completamente rinunciato a indentificare il potere politica con l’autorità spirituale dei loro Imam. 

4) I gruppi detti ghulat sono numerosi, diversi tra loro e hanno origini diverse; alcuni nascono all’interno dell’ismailismo, come i Drusi presenti in Siria e Libano, altri si formano dallo sciismo delle origini, come gli ‘Alawiti della costa siriana, altri ancora nascono in epoca successiva. Questi gruppi sono caratterizzati da una venerazione speciale per ‘Ali e per alcune specifiche figure della sua discendenza, che considerano dotati di qualità sopra-umane, e volte semi-divine e per insegnamenti esoterici che particolari che li distinguono da altri gruppi. Sono stati spesso perseguitati e a volte considerati non musulmani dagli ‘ulama’ sunniti.  

www.studiostampa.com

Esoterismo nelle Opere di Walt Disney

Spiegherò qui, molto brevemente e schematicamente, il significato esoterico di una favola per “bambini” nella sua versione “disneyana”: “Biancaneve e i sette nani”.

Premetto che Walt Disney fu massone, e perciò nei suoi lungometraggi veicolava spesso un sapere esoterico velato da simboli il cui significato può essere completamente noto solo a chi “ha occhi per vedere”.

Biancaneve rappresenta l’anima umana, ovvero il nostro Femminino Sacro o Sophia Interiore, che è pura o vergine, ecco perché “bianca-candida” proprio come la neve.

La neve è infatti uno stato di aggregazione dell’acqua, è ghiaccio, e l’acqua è l’elemento simbolo del femminino per eccellenza (il simbolo esoterico dell’elemento acqua è un triangolo con la punta verso il basso, l’apparato genitale femminile è proprio costruito secondo questo archetipo, ci si figuri infatti l’utero con le ovaie e la vagina).

Biancaneve (l’anima) è figlia di un Re (lo spirito, il Padre), e nelle sue vite terrene o incarnazioni risulta prigioniera della Matrigna (la Natura, ma in generale l’ego-astrale).

Sappiamo che la Matrigna, ossessionata dalla competizione con Biancaneve, chiederà in continuazione al suo Specchio (il pensiero riflesso) chi tra le due sia la più “bella”.

La Matrigna desidera il cuore di Biancaneve, organo legato all’anima e al femminino sacro, vaso o Graal della Coscienza Cristica.

Senza il Cuore (sede delle Forze dell’Amore), Biancaneve non potrà mai liberarsi dal suo stato di prigionia (corporale/materiale), questo vuol dire appunto “morire” al Regno dello Spirito.

Il cacciatore rappresenta colui che è in relazione agli animali interiori, che uccide le nostre forze “animali” (ma comunque sacre), rappresentando così anche tutta la nostra istintualità.

I 7 Nani sono invece rappresentazioni dei 7 Chakra, centri energetici nel nostro corpo (e perciò anche dei 7 Vizi/Virtù ad essi correlati), ma più in generale rappresentano le forze astrali-planetarie.

Essi lavorano nella miniera-caverna del corpo (e dell’inconscio), dalla quale cercano di estrarre dei “diamanti”, ossia qualità e virtù: “trasmutano il piombo in oro” per la costruzione del famoso “Corpo di Gloria” della Tradizione Cristiana o, per l’appunto, “Corpo Diamantino o di Diamante” della Tradizione Orientale.

Per quanto riguarda l’associazione tra i Nani e i sette pianeti, abbiamo:

– Brontolo è associato a Saturno (per alcuni Marte);

– Mammolo alla pudicizia di Venere;

– Eolo ricorda la forza irruenta di Marte;

– Dotto è legato alla giovialità di Giove (per altri Saturno);

– Pisolo rappresenta il mondo onirico della Luna;

– Gongolo la vanità del Sole (per alcuni Giove);

– Cucciolo la duttilità di Mercurio.

Biancaneve conosce i sette nani, prende coscienza di loro, dopo essersi addormentata e poi risvegliata nella foresta (l’inconscio). Qui possiamo sia vedervi l’incarnazione dell’anima nella “selva oscura” del mondo materiale, sia una fase di V.I.T.R.I.O.L. alchemico (la discesa agli inferi).

La Casa dei Sette Nani rappresenta il Corpo Fisico: la casa è infatti piccola, si tratta dunque di un luogo molto circoscritto, angusto, “stretto” per l’Anima-Biancaneve.

Tuttavia i 7 Nani, innamoratisi di Biancaneve-Anima, lavoreranno e collaboreranno pienamente affinché ella possa liberarsi definitivamente della Strega-Matrigna (ego-astrale).

La Matrigna-Natura (parte luciferica dell’essere umano) donerà a Biancaneve una mela, proprio come il Serpente-Beliar-Lilith la “dona” a Eva in Genesi (Peccato Originale).

La “mela” (il frutto dell’albero della conoscenza) ha un bell’aspetto esteriore, molto invitante, il rosso scuro rappresenta le forze dell’Eros (il colore della passione del sangue), sembra dunque un frutto molto buono in apparenza, ma in realtà nasconde un veleno (il dolore, la sofferenza, la malattia e la morte).

Così Biancaneve, buona ma un po’ ingenua, si lascia ingannare dalla bellezza esteriore di tale frutto decidendo di assaggiarlo, ma non appena lo morde allora subito “cade” in uno stato di sonno profondo, incoscienza: rappresenta lo stato attuale di sonno-caduta delle anime umane avvenuto ad opera delle entità luciferiche. Per risvegliarsi da tale stato di “sonno”, gli esseri umani dovranno appunto lavorare o, meglio, “fare un lavoro” sui 7 chakra/vizi.

Lavorare con le 7 forze o influenze dei pianeti-metalli: sublimare le forze “telluriche” in forze “uraniche”. 

Il Principe-Azzurro, naturalmente, simboleggia il Cristo (azzurro è il colore del Cielo-Spirito), e rispetto all’anima rappresenta il Mascolino Sacro in noi, per cui è “Amore” a prima vista per Biancaneve.

Biancaneve-Anima si ridesterà dal suo sonno solo quando il Cristo/Principe la “bacerà” (la bocca rappresenta infatti il Logos-Cristo-Verbo-Parola): ecco il Matrimonio Mistico, le famose Nozze Alchemiche tra lo Sposo/Cristo e l’Anima umana, tra il Mascolino Sacro e il Femminino Sacro in noi, che una volta uniti porteranno alla nascita del “Secondo Adamo”, l’Androgino, il Figlio dell’Uomo: la Grande Opera Alchemica è così compiuta.

“Tutto è compiuto!” – come dice nei Vangeli lo stesso Gesù-Cristo

NOTA:

Iside-Sophia è sposa, sorella e madre del Cristo; il quale a sua volta è unito allo Spirito-Padre in quanto Figlio nella Trinità, ma è anche lo Sposo e al contempo il Figlio dell’Uomo (in quanto Cristo interiore, prima “bambino” e poi “maturo”, quando viene ad abitare nell’anima umana, unendosi ad essa).

Ovvero il Cristo è Padre quando ingravida la Madre-Anima, per generare tramite lei sé stesso come Figlio dell’Uomo.

Da un lavoro di Ciro Scotto 

“Biancaneve e i sette nani”, ovvero una lettura in chiave esoterica delle opere del Fr. WALT DISNEY

La vita è sogno (Calderòn de la Barca)

Il sogno è vita (Luigi Pirandello)

Quando ho appreso che anche il celebre Walt Disney apparteneva alla nostra Famiglia confesso di avere provato un senso di stupore e pure di gioia: avevo finalmente trovato la giustificazione del sentimento di gratificazione provata da ragazzo – e mai del tutto scomparsa – quando leggevo le sue storie, i cui personaggi ho sempre considerato come esseri veri, reali e a me vicini. Da adulto, in compagnia delle mie bambine, ho spesso rivisitato le sue opere cinematografiche più famose, che oggi considero a ragione vere e proprie “tavole architettoniche”, essendo peraltro del tutto accidentale, e d’importanza affatto secondaria, la circostanza che esse siano tramandate attraverso il linguaggio ‘mitico’ e mediante lo strumento del cartone animato.

Di queste opere, la più famosa è senz’altro Biancaneve e i sette Nani, ma anche le altre, quali, La Bella Addormentata nel Bosco, Cenerentola, Dumbo, La Sirenetta, per citare soltanto le più famose, si svolgono attraverso un comune filo conduttore: la sconfitta del Male e l’affermazione dell’Amore. A tanto il protagonista arriva attraverso una vera e propria iniziazione, nella duplice accezione di ingresso in una comunità esoterica, nonché di trasformazione dell’Io per effetto di una rinascita spirituale che si verifica a seguito di varie vicissitudini, o prove iniziatiche.

La vicenda di Biancaneve è paradigmatica: la ragazza è costretta dalla malvagia matrigna ad abbandonare la casa paterna, simbolo dei valori pertinenti alla vita vissuta fino ad allora, e a trovare rifugio in un bosco fitto ed oscuro, che ricorda così da vicino il gabinetto di riflessione. Dopo aver superato un corso d’acqua, resistito a un turbinìo di vento e vinta infine la paura suscitata dalla visione degli occhi degli animali, occhi fosforescenti simili a fiamme lampeggianti, la fanciulla giunge presso una capanna, la casa dei nani. Rammento che nella lingua tedesca hütte significa tanto capanna, rifugio, quanto loggia, e ciò non è casuale: invito voi tutti, carissimi Fratelli, a riflettere quante volte nella Storia la loggia massonica è stata l’ultimo rifugio per idealisti, eretici o scismatici, colti e incliti, disparati e disperati, accomunati tutti dall’essere perseguitati dal Potere. 

A costoro la Massoneria ha generosamente aperto le porte dei suoi templi, chiedendogli non già da dove venissero, ma piuttosto dove volessero andare.

In questa capanna accade un fatto apparentemente banale ma in realtà importante: Biancaneve, anziché lasciarsi sopraffare da un ambiente nuovo e, probabilmente, ostile, lo esplora e fa amicizia con gli animali del bosco, che vede adesso, alla luce del giorno, in una dimensione totalmente nuova da quella, erronea e terrifica, della sera precedente. Si parva licet… questo episodio mi fa venire in mente l’insegnamento di Platone, secondo il quale l’iniziato deve essere, anzitutto, “desideroso di conoscere”, e anche di Dante, esaltatore della curiosità di Ulisse, mosso a varcare i confini dell’ignoto per soddisfare il proprio desiderio di “virtude e conoscenza”. Ma non basta. In uno slancio di generosità la fanciulla decide di pulire la casa dei nani, mettendo al lavoro pure gli animaletti di cui è frattanto diventata amica. Sottolineo questo episodio perché esalta sia il valore dell’amicizia fra i diversi che l’importanza del lavoro in comune. 

Questi temi sono evidentemente cari al Fr. Disney, dal momento che li ritroviamo in quasi tutte le sue opere.

Esemplare è, a tal riguardo, la vicenda dell’elefantino Dumbo, schernito dai suoi stessi consimili perché afflitto da due orecchie abnormi, mostruose: ebbene, sarà un topo – questa bestia, nella realtà, è invisa agli elefanti - a rassicurarlo e infondergli il coraggio necessario per affrontare le difficoltà della vita. E, guarda caso, le figure da cui il protagonista riceve aiuto sono quasi sempre le creature più umili, volendo così sottolineare la perenne antinomia fra Essere e Divenire: i valori del mondo della Manifestazione sono profondamente diversi da quelli del mondo dell’Essere e chi è ‘ultimo’ nell’uno sovente è ‘primo’ nell’altro.

La disponibilità ad accettare il prossimo, ancorché diverso e quindi lontano dai propri modelli paradigmatici, a rimettersi in discussione, è condizione necessaria ma non ancora sufficiente perché l’opera di catarsi possa dirsi compiuta: occorre superare varie prove, che riecheggiano molto da vicino le “prove” iniziatiche che ciascuno di noi ha subito prima di essere proclamato “fratello”.

Sfacciatamente simili a quelle massoniche sono le prove che dovrà affrontare il giovane Artù nella Spada nella Roccia: accompagnato dal Mago Merlino, sarà trasformato dapprima in scoiattolo, poi in pesce, quindi in uccello. Supererà così la prova di terra, di acqua e di aria prima di affrontare l’ultima, la più impegnativa, quella del fuoco, nella fattispecie, tirare la spada magica fuori dalla roccia in cui era incagliata. Ci avevano provato in tanti, cavalieri e non, ed il suo cimentarsi è giudicato follia: ma, talvolta, solo un “puro folle” può arrivare ai recessi negati invece alla razionalità farisaica e conformista.

La spada è un simbolo ‘assiale’, riecheggia cioè l’axis mundi, il filo a piombo del Grande Architetto che mette in comunicazione fra loro gli stati molteplici dell’Essere, microcosmo e macrocosmo, ma è anche un simbolo solare perché riflette la Luce: emblematica è a tal proposito la scena del combattimento fra il principe e il drago ne la Bella Addormentata nel Bosco.

Le fate, tre come le Luci, hanno appena liberato dai ceppi il giovane principe, affinché a sua volta egli liberi Rosaspina dal sortilegio della strega. La quale, nel tentativo di fermare il giovane, si trasforma in un drago fiammeggiante. Per gli studiosi di psicoanalisi il riferimento è chiarissimo: “vincere il drago” è infatti l’equivalente di “scavare oscure e profonde prigioni al vizio”, lottare cioè contro noi stessi per liberare il proprio Io dalle tensioni e dalle passioni che lo ancorano alla materialità cagionandogli frustrazioni e sofferenze. Le fate non possono più aiutare attivamente il Nostro, ma solo assisterlo in forma totemica; tuttavia gli offrono, prima del combattimento, una “spada di verità” e uno “scudo di virtù”. Al momento di colpire la bestia la spada si illumina, riflettendo una luce abbagliante, quindi, vinto il drago, esaurisce la sua funzione e perde così tutto il suo splendore, ritornando ad essere un semplice oggetto privo di qualsivoglia valore. 

Personalmente ho ravvisato in questa scena anche un’esortazione a considerare i ‘metalli’ per quello che sono: uno strumento, un aiuto per l’uomo, del quale però egli può e deve fare a meno se realizza che gli sono d’intoppo per la sua crescita spirituale. 

Ricordate il Discorso della Montagna? 

Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli. 

Ma cosa vuol dire essere poveri di spirito? Difettare forse di spiritualità? Se però così fosse, come si potrebbe aspirare al Regno dei Cieli? Osservo che nel testo greco la locuzione di spirito è tradotta tò pnéumati, cioè è espressa con il caso del dativo-ablativo, che è, per antonomasia, il caso corrispondente al complemento di causa efficiente. Credo allora che si possa – e si debba – tradurre: beati coloro che, deliberatamente, hanno optato per la semplicità, che per libera scelta hanno privilegiato la dimensione dell’Essere piuttosto che quella dell’Avere, e ancora, che se chiamati a posizioni di responsabilità, si sforzano di lavorare per il perfezionamento che prelude all’elevazione di quella porzione di umanità, più o meno grande, destinataria del loro servizio.

Questo tema è sviluppato assai chiaramente nella Sirenetta. 

Il vecchio Re del Mare aveva ceduto alla strega il suo tridente d’oro – simbolo della regalità, del potere indissolubilmente legato alla saggezza, alla luce – barattandolo con la vita della figlia. In quel preciso istante tutte le creature marine sono trasformate in vermi. Dopo che la strega sarà stata uccisa dal principe Erik, l’umano innamoratosi della sirena Ariel, il tridente, lasciato cadere dalla strega moribonda, torna ai piedi del vecchio re che, impugnatolo, ritrova le antiche fattezze, e assieme a lui tutti i suoi sudditi. Se da ciò possiamo ricavare un insegnamento, mi pare che esso sia il seguente: la Luce, intesa anche come potestà di comando, non può essere affidata a mani che non sono degne di riceverla, e di tanto ognuno di noi dovrebbe ricordarsi in tutte le occasioni della vita, anche e soprattutto in quelle ‘profane’. Alla fine sarà poi proprio il re Tritone, dapprima così diffidente verso gli umani, a trasformare in donna la sirenetta sua figlia e concederla in sposa al principe, rammentandoci così che amare una creatura non significa tenerla perennemente legata a sé, bensì favorire l’armonioso sviluppo della sua personalità per metterla in condizione di scegliere con cognizione di causa.

Ci sia infine permessa un’ultima considerazione, sulla magia. L’argomento meriterebbe uno studio più approfondito, ma non è questo il momento per una trattazione esauriente. Mi limiterò, perciò, a un breve accenno sul tema, sperando che le seguenti riflessioni siano di stimolo a chi voglia approfondirlo.

Dal latino magis – di più, maggiormente – magus è, in ambito esoterico, colui che lavora alla trasformazione del proprio io interiore, non già chi si avvale dei poteri segreti della Natura per trasformare bastoni in serpenti e suscitare ammirazione fra gli increduli, come faceva Simon Mago. Per gli alchimisti, la trasmutazione del piombo in oro era essenzialmente simbolica: in realtà essi miravano a un’altra metamorfosi, ben più impegnativa ma tanto più feconda: il disvelamento del divino che è in ciascuno di noi. Chi riesce in questa impresa consegue la Bellezza nell’accezione archetipa del termine. Così la Sirenetta, oppure la stessa Biancaneve, a trasformazione avvenuta, estasiate dalla bellezza che le circonda, provano una gioia prima sconosciuta, laddove Grimilde, la malvagia regina che, accecata dall’invidia, prepara la mela avvelenata con la quale uccidere Biancaneve, è costretta a perdere la propria bellezza esteriore e a diventare una vecchia deforme e ributtante sol per sperare di riuscire nell’impresa.

Siamo così giunti alla fine della pellicola e, con essa, delle nostre riflessioni. Resta da esaminare il tema della trasformazione, o meglio, più specificamente, della rinascita, eloquentemente descritto in Biancaneve. La fanciulla, in sonno, dunque in condizione di profanità, è adagiata in una bara di cristallo e di oro, simboli alchemici, rispettivamente, di purezza e di eternità. Nani e bestie la piangono, accomunati dal dolore. La risveglierà il Principe, con un bacio di Vero Amore, e insieme si dirigeranno a ‘oriente’ dove si staglia, confusa fra le nubi, una costruzione dai caratteri non ben definiti, dunque ‘imperfetta’, ma dalla quale ogni spettatore si sente nondimeno attratto, affascinato dal suo fulgore di Luce.

Da un lavoro di Giovanni Lombardo

www.studiostampa.com