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Islam: Sunniti e Sciiti

Sintesi: Le divisioni nell’Islam; sunniti, ibaditi, sciiti. 

La più importante, ma non unica, differenza religiosa tra musulmani è quella tra la comunità maggioritaria sunnita da un lato, e le diverse comunità sciite dall’altro; un terzo gruppo, gli ibaditi, include una piccola minoranza. 

Per comprendere la distinzione tra sciiti e sunniti si fa usualmente riferimento alla divisione della prima comunità musulmana, in seguito alla morte del Profeta, su chi dovesse guidarla, e in particolare ai conflitti che divisero questa comunità nelle prime due guerre civili (fitan). Generalmente si definiscono “sciiti” i sostenitori di ‘Ali ibn Abi Talib, cugino del Profeta e marito di sua figlia Fatima, e della sua linea di discendenza, e “sunniti” coloro che invece accettano la legittimità della successione al Profeta da parte dei primi tre califfi (Abu Bakr, ‘Umar ed ‘Uthman) e la successiva vittoria delle dinastie califfali umayyade ed abbaside. In questi termini, la distinzione è imprecisa; infatti in questo modo si proietta sui conflitti del settimo e dell’ottavo secolo una distinzione che si è andata definendo nel corso del tempo e che riflette la situazione successiva.  Le prime guerre civili ruotavano inizialmente attorno alla persona che doveva guidare la comunità; si trattava di conflitti tanto politici quanto “religiosi”; per chi li combatteva, stando alle fonti, erano in gioco tanto il potere quanto la salvezza.  

La seprazione tra sciiti e sunniti nasce all’ombra di questi conflitti, e da una successiva riflessione su di essi. Non si tratta infatti solo di un disaccordo sulla persona della guida (imam), ma di una diversa concezione religiosa suo ruolo, e più in generale, dell’asse d’autorità spirituale, e non di quella politica.  

Nel periodo delle fitan, (seconda metà del settimo secolo) si hanno diversi orientamenti politici e dottrinali, tra cui vari “partiti” sostenitori dei diversi pretendenti al califfato, o che invece rifiutano di prendere una posizione politica.  I sunniti Non è storicamente corretto parlare già di una comunità “sunnita”, distinta dagli sciiti e dottrinalmente definita come tale, nel periodo delle prime guerre civili e in epoca umayyade. 

In particolare, è improprio chiamare “sunniti” i sostenitori delle rivendicazioni califfali “vincenti” (gli Umayyadi). Anzi, la successiva tradizione sunnita guarda gli Umayyadi in una luce negativa, mentre riconosce a posteriori il califfato di ‘Ali (ma non dei pretendenti della sua discendenza) come legittimo. 

In generale, per i sunniti l’autorità spirituale suprema non risiede in una singola guida politico-religiosa, indipendentemente dalla persona, ma in un sapere religioso diffuso nella comunità, che non corrisponde dall’autorità politica del califfo.  Questa autorità politica viene comunque accettata, ma la sua accettazione non è più considerata determinante ai fini della salvezza, purché ci si comporti da buoni musulmani, seguendo la Legge religiosa, la Tradizione del Profeta (sunna) e il consenso della comunità. Questo consenso dottrinale (con diverse sfumature) si forma gradualmente tra la fine del settimo e l’inizio del nono secolo e va a definire la visione maggioritaria all’interno della comunità musulmana. 

Il pensiero sunnita ammette, entro certo limiti, la possibilità di disaccordo interpretativo tra i sapienti religiosi, e dunque un certo grado di pluralismo. Al di fuori di questo consenso maggioritario abbiamo sia correnti di pensiero teologico (ad esempio i mu’taziliti) sia vere comunità religiose minoritarie: di queste sopravvivono fino ad oggi gli ibaditi, ultima scuola superstite del movimento kharijita, e appunto le varie correnti sciite. 

I kharijiti e gli ibaditi. Il movimento kharijita nasce nel corso della prima fitna, dal gruppo di seguaci di ‘Ali ibn Talib che rinnega la sua autorità dopo che questa aveva accettato un compromesso con l’umayyade Mu’awiya. I kharijiti delle origini non identificavano una specifica personalità come imam (inteso come guida della comunità) ma esigevano da chiunque scegliessero come propria guida legittima una virtù assoluta; su questa base ritenevano la propria comunità come l’unica vera comunità di credenti e ritenevano che chi accettasse altri governanti non fosse più musulmano. La scuola ibadita, a differenza di altre scuole kharijite ora scomparse, sostiene che la convivenza con gli altri musulmani sia permessa. Attualmente gli ibaditi sono numerosi in Oman e sono rappresentati da piccole minoranze, concentrate in alcune zone del Nordafrica (l’isola di Djerba in Tunisia, la regione del Mzab in Algeria, il Jabal Nafusa in Libia) e attorno all’Oceano Indiano.  

Il termine “kharijiti” di solito non viene usato in relazione agli ibaditi di oggi, nonostante l’origine kharijita della loro dottrina. Nei primi secoli dell’Islam, altri gruppi kharijiti si ritenevano autorizzati ad usare la violenza contro il resto della comunità, non considerandola più credente; dunque erano visti come pericolosi ribelli, e la parola ha assunto una associazione negativa.  

Gli sciiti La comunità religiosa sciita, con le sue distinzioni interne, è l’evoluzione dottrinale del movimento politicoreligioso legato alla figura di ‘Ali ibn Abi Talib e alla sua linea di discendenza, ma non coincide con esso. Questa evoluzione è complessa, legata agli sviluppi storici del secondo secolo dell’Egira (circa l’ottavo secolo) e include numerose divisioni dottrinali. Comune a tutti gli sciiti è la fedeltà alla Casa di ‘Ali come guida per la comunità. Questa fedeltà si consolida in termini dottrinali attorno alla metà dell’ottavo secolo, nel rifiuto della legittimità sia degli Umayyadi che della successiva dinastia Abbaside, la quale era salita al potere rivendicando la propria appartenenza al clan del Profeta (e quindi col sostegno iniziale di una parte dei futuri sciiti). 

Tuttavia, la fedeltà alla Casa di ‘Ali, inizialmente di ordine politico, assume una valenza prevalentemente religiosa nel corso della storia delle diverse tradizioni sciite.  Esistono oggi tre principali tradizioni sciite, oltre ad altre tradizioni minori spesso raggruppate nella categoria dei ghulat (“coloro che esagerano”, si intende, nella venerazione verso ‘Ali e i suoi discendenti).  

1) Gli zayditi sono la tradizione sciita dottrinalmente più prossima ai sunniti. Riconoscono come guida legittima della comunità qualsiasi discendente di ‘Ali e Fatima che sia in grado di far valere i propri diritti, ma con lo stesso tipo di autorità terrena e simbolica che il consenso sunnita attribuisce ai califfi in carica: anche per gli zayditi il sapere religioso è diffuso nella comunità, anche se questa deve essere guidata dagli eredi di ‘Ali. Gli zayditi si ispirano all’azione dell’Imam Zayd, nipote di Husayn figlio di ‘Ali, che guida una fallita ribellione contro gli Umayyadi nel 740. 

Oggi le comunità zaydite si trovano soprattutto in Yemen, dove una linea di loro Imam, discendenti di Hasan figlio di Ali, ha governato a lungo alcune regioni.  

2) La tradizione sciita maggioritaria è quella detta duodecimana o imamita. Al momento della ribellione di Zayd, i futuri duodecimani seguono l’opinione di suo fratello Muhammad al-Baqir, il quinto Imam legittimo secondo la loro tradizione, che aveva sostenuto un atteggiamento quietista. Muhammad al-Baqir e soprattutto suo figlio Ja’far al-Sadiq teorizzano una supremazia spirituale dell’Imam che non si deve necessariamente tradurre in potere politico. Secondo i duodecimani, gli Imam della casa di ‘Ali sono scelti da Dio per fornire una guida alla comunità dei credenti; gli Imam duodecimani sono infallibili nella loro interpretazione del Corano e della Tradizione e dunque formano l’asse di autorità religiosa suprema, al di sopra della comunità. Il riconoscimento della loro autorità spirituale è necessario alla salvezza del credente.  

I duodecimani negano generalmente la legittimità dei primi tre califfi “ben guidati”, perché per loro soltanto gli Imam scelti da Dio possono guidare i credenti, ma storicamente hanno tollerato il potere politico delle dinastie non discendenti da ‘Ali, proprio perché nella loro visione il ruolo dell’Imam diventa essenzialmente religioso. 

La linea di Imam duodecimani si interrompe nel’873, quando l’undicesimo di loro muore. Secondo gli sciiti duodecimani, suo figlio, il dodicesimo Imam, si trova da allora in occultamento (ghayba) per volontà divina. Egli è presente nel mondo, perché la comunità dei credenti non potrebbe esistere senza la sua guida infallibile, ma non è accessibile a causa dell’ingiustizia e della persecuzione prevalenti nel mondo terreno. Apparirà di nuovo alla fine dei tempi per ristabilire l’armonia e la giustizia. Nella fase di ghayba l’autorità religiosa effettiva della comunità sciita è di fatto diffusa in una comunità di sapienti religiosi, come accade per i sunniti e gli zayditi. Questa autorità interpretativa è molto più formalizzata e gerarchizzata, e fa riferimento, oltre al Corano e a un proprio corpus di tradizioni del Profeta, anche agli insegnamenti dei dodici Imam (specialmente di Ja’far alSadiq, che aveva un circolo di discepoli e si dedicava agli studi religiosi). 

Attualmente gli sciiti duodecimani sono la maggioranza della popolazione in Iran, Iraq, Azerbaigian e Bahrain, e significative minoranze esistono in Libano, Afghanistan, Pakistan ed India.  

3) Al tempo di Ja’far al-Sadiq (morto nel 765) si verifica un’altra divisione interna alla comunità sciita dei suoi seguaci. Egli aveva indicato come suo successore il primogenito Isma’il, che però muore prima di lui. I futuri duodecimani seguiranno la guida di un altro figlio di Ja’far, Musa al-Kazim, il settimo dello loro linea di Imam, ritenendo che Musa fosse stato indicato da Ja’far stesso dopo la morte di Isma’il. Un altro gruppo, gli ismailiti, pensarono invece che, essendo infallibile la scelta di Isma’il da parte di Ja’far, la guida della comunità spettasse ai discendenti di questo, anch’essi in occultamento. Sappiamo poco della storia della corrente ismailita nel primo periodo della sua storia. Le dottrine ismailite spingono la venerazione degli Imam ancora più oltre la dottrina duodecimana. 

Per gli Ismailiti un Imam, infallibile e impeccabile, è sempre presente nel mondo, secondo cicli di fasi di manifestazione e di occultamento. L’Imam è la guida vivente della comunità, o perlomeno di quella élite che è in grado di comprenderne l’insegnamento più profondo di natura esoterica (batin).  

Esistono diverse correnti Ismailite, perché in diverse occasioni la linea di successione degli Imam è stata contestata. La corrente più numerosa, i nizariti, ha attualmente un Imam manifesto, che oggi ha il titolo di Aga Khan. Ad una corrente ismailita si deve la creazione del califfato fatimide, governato dalla loro linea di Imam tra il decimo e il dodicesimo secolo. Dopo il tredicesimo secolo, anche le tradizioni ismailite hanno completamente rinunciato a indentificare il potere politica con l’autorità spirituale dei loro Imam. 

4) I gruppi detti ghulat sono numerosi, diversi tra loro e hanno origini diverse; alcuni nascono all’interno dell’ismailismo, come i Drusi presenti in Siria e Libano, altri si formano dallo sciismo delle origini, come gli ‘Alawiti della costa siriana, altri ancora nascono in epoca successiva. Questi gruppi sono caratterizzati da una venerazione speciale per ‘Ali e per alcune specifiche figure della sua discendenza, che considerano dotati di qualità sopra-umane, e volte semi-divine e per insegnamenti esoterici che particolari che li distinguono da altri gruppi. Sono stati spesso perseguitati e a volte considerati non musulmani dagli ‘ulama’ sunniti.  

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MASSONERIA E RELIGIONI - ISLAM E MASSONERIA

      Carissimi,  
nell’affrontare questo difficile argomento, richiestomi da più parti, sono partito da alcune Letture d'Esoterismo tentando di mantenermi entro un livello consono all'Ordine, lasciandone l’approfondimento alle Camere del Rito. 
Come il mio fraterno amico Athos mi insegnava anni addietro, la simbologia del Tempio massonico può essere suddivisa secondo tre livelli di comprensione, rapportati ai tre livelli di evoluzione del Libero Muratore. 

Un primo livello, che sviluppa la conoscenza dell'Apprendista Introdotto, si basa sul riconoscimento del pavimento del Tempio e di quanto poggia, o si cela, in esso; un secondo livello, che riguarda  lo sviluppo del Compagno d'Arte, è inerente a tutto ciò che è mobile tra terra e cielo (tra pavimento e volta stellata); un terzo livello, infine, che completa l'istruzione del massone giunto alla Maestria, e che svela tutto ciò che è celato nella Volta Stellata del Tempio. 

Gli studi degli Apprendisti devono essere rivolti al primo livello di comprensione e, su tale piano, il Pavimento del Tempio rappresenta la struttura più importante dell'insegnamento.  

Sul Pavimento troviamo il Quadrilungo massonico che, con il suo alternarsi delle mattonelle bianche e nere (colori che ritroviamo nell'abbigliamento dell'apprendista) e con le sue dimensioni che ci pervengono dalla Geometria Sacra e dalla Scienza dell'Armonica, ricorda al neofita la Legge Mosaica o legge degli opposti; tale struttura geometrica non è altro che un labirinto (come ritroviamo in molte chiese cristiane) e, come osserva Oswald Wirth, "…racchiudente i simboli essenziali del grado di Apprendista, si tracciava una volta sul pavimento della Loggia, al momento dell'apertura dei lavori e ogni traccia veniva cancellata alla chiusura..." 
Tutti siamo a conoscenza del fatto che all'interno di noi alberga una scintilla divina definita da tutti Spirito e che tale particella di energia (o luce) discende nella materia per acquisire quelle determinate caratteristiche di consapevolezza in modo da tornare, al termine del viaggio, a quel bacino energetico che chiamiamo Creatore o G.A.D.U. Se è vero quanto detto, mi chiedo come mai giriamo come trottole nella ricerca di un qualcosa che è invece all'interno del nostro essere; ci riempiamo di pietre, amuleti, feticci o, peggio, corriamo dietro all'astrologia divinatoria, alla magia spiccia, alle gratificazioni materiali, ma non riflettiamo su un punto fondamentale e che, spesso, dimentichiamo: noi siamo la manifestazione sul piano fisico della Divinità. 

Ma come possiamo rapportarci con le Religioni ad iniziare dall’Oriente e dall’ISLAM ? (Tenendo presente che, in grado di apprendista, non possiamo parlare di Politica e/o di Religione). 

In Oriente non pare vi siano posizioni ufficiali delle diverse Religioni nei confronti della Massoneria. Esistono alcune Logge (per esempio a Goa in India) e cinque differenti Libri Sacri corrispondenti ad altrettante confessioni religiose lì rappresentate attraverso i loro membri Massoni, ossia, Cristiani, Musulmani, Ebrei, Buddisti e Scintoisti. 

Nei Paesi Arabi, ove il fondamentalismo islamico ha imposto la sua legge, la Massoneria è stata proibita e perseguitata in quanto identificata, in non pochi casi, col sionismo internazionale. Mentre in altri Paesi prevalentemente Musulmani i problemi sono minori, come la Turchia dove esistono 174 Logge ed oltre 13.000 Massoni.
L'Islam nasce in Arabia, anche se solo una minoranza di musulmani è araba, è tuttavia strettamente connesso a quella cultura. (cito da un lavoro del Fr. Franco Cenni). Uno dei motivi di tale legame è che il testo sacro dei musulmani, il Corano, è scritto in lingua araba. L'Islam è diffuso in vaste regioni d'Asia e d'Africa e ne fa parte circa un settimo della popolazione mondiale. E' dunque la seconda religione del mondo, dopo il Cristianesimo e in Europa, a causa delle grandi ondate migratorie, è la più diffusa delle religioni minori. 
La parola araba islam significa sottomissione o abbandono. L'uomo deve rimettersi completamente nelle mani di Dio e sottomettersi al suo volere in ogni settore o attività della vita. Solo così si può essere musulmani, parola araba con la stessa radice di islam. E questo presenta grandi rischi. 

Sugli Arabi la celebre Golda Meir disse:”O arabi, noi vi potremmo un giorno perdonare per aver ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo mai per averci costretto ad uccidere i vostri”.  

L'Islam non riguarda solamente la fede e la sfera religiosa, ma domina tutti i settori della vita privata e sociale e, nella storia dell'Islam, l'interpretazione della legge ha sempre occupato un ruolo preponderante. Nella maggioranza dei paesi Islamici, sono i giuristi a detenere la leadership religiosa, e non vi è una struttura clericale organizzata. Quello che era il regime talebano, fino a poco tempo fa, ne è l'eccezione che conferma la regola. Per cercare di capire l'Islam, dobbiamo prendere in considerazione tre aspetti: 

° la dottrina della fede (monoteismo e rivelazione); 
° i rapporti tra gli uomini (etica e politica). 
° i doveri religiosi (i cinque pilastri); 

1) Primo pilastro: accettazione di Dio (Allah)
2) Secondo pilastro: Ṣalāt, ovvero preghiera quotidiana (الصلاة)
3) Terzo pilastro: Zakat (الزكاة), ovvero elemosina legale (الصدقة)
4) Quarto pilastro: Sawm (الصوم), ovvero digiuno nel dì del mese di Ramadan
5) Quinto pilastro: Hajj, ovvero pellegrinaggio alla Mecca e ai suoi dintorni (الحج) nel mese di Dhu l-Hijja (ricordando che nel calendario Lunare il mese, da 29 giorni e mezzo, scorre). 

Alcuni musulmani, principalmente appartenenti alla setta kharigita, sostengono che esista un sesto pilastro dell'Islam, il Jihad, che letteralmente significa "sforzo interiore", ma della sua obbligatorietà si discute nella dottrina e nell'opinione pubblica. 
Naturalmente non pretenderemo di rispondere qui a domande, molto impegnative ma, tentare di circoscrivere l'ambito entro il quale le risposte possono essere cercate. 

1. Il potere e le energie come qualità del sacro. 

Il potere come qualità del sacro, è un fondamentale fenomeno religioso, connesso con le domande che ci siamo posti. Diverse culture assimilano il potere a una forza o energia attiva soprannaturale, impersonale e trasmissibile, detta mana. "E’ una potenza o una influenza non fisica che investe anche l'anima umana in un certo senso è soprannaturale, ma si rivela nella forza fisica o in tutte le forze e capacità possedute dall'uomo". Tale termine viene utilizzato dalle popolazioni della Polinesia e Melanesia, e più in generale, dalle varie religioni naturalistiche sotto nomi diversi: Orenda per gli Irokesi, Wafonda per i Sioux, Manitù per gli Algonchini, l'Oki per gli Uroni, Zemi per le popolazioni delle Antille ecc. 

Anche gli Eschimesi designano questa forza misteriosa come Sila. Un significato molto simile hanno la Hasina dei Malgasci, il Ngai dei Masai, il Dzo degli Ewe del Togo, il Ngrarong dei Daiacchi del Borneo, il Tondi dei Batacchi di Sumatra, ed infine, il Joja e il Bolyla degli Australiani. 

Da un vecchio scritto in proposito: "Forse è ... meglio parlare di un complesso di forze, di una sfera energetica o di un fluido energetico che, per cosi dire, costituiscono la materia prima, lo strato a partire dal quale le singole manifestazioni del sacro si riproducono incessantemente nella loro concreta molteplicità". "Tutti gli esseri viventi e non viventi, sono permeati e collegati da una forza misteriosa che si manifesta in forma diversa e che sta a disposizione degli iniziati che hanno il particolare incarico di trasmetterla". 

All'uomo è garantita la trasmissione della potenza, o forza, mediante dei riti appropriati. Le persone o gli oggetti che sono investiti da questa forza sono considerati sacri e su di essi grava un tabù. 

2. La dimensione simbolica 

Il termine simbolo deriva dal greco synballo (= mettere insieme), designante in origine le due metà di un oggetto che può essere ricomposto se esse vengono riavvicinate. La dimensione simbolica connette l'uomo alla realtà che lo circonda e lo fa avanzare nel suo cammino di penetrazione del mistero delle cose. La proprietà del simbolo, infatti, è quella di ricongiungere una realtà visibile con una invisibile in essa preannunciata. Il mondo visibile acquista un carattere di rimando, suggerisce ed evoca altre presenze e altri rapporti. Ma parlare di Dio o della realtà unicamente entro un contesto descrittivo-razionale, costituisce un impoverimento, oltre che una pretesa. 

3. L'Iniziazione e la Tradizione 

L'accesso al mistero comporta di sua natura un cammino articolato che chiamiamo iniziazione; e non potrebbe essere diversamente, poiché c'è bisogno di un percorso che riconduca l'uomo dalla superficie delle cose al punto originario da dove tutto proviene. Tra i riti di partecipazione vi è quello della preghiera, del sacrificio e della consacrazione. Quest'ultimo consente che particolari persone, luoghi e oggetti siano dedicati alla divinità. In ogni caso, che si tratti di iniziazione culturale, segreta o mistica, il soggetto viene immesso in un mysterion, il quale è un corpus sacrale o sociale ristretto. Mediante questo rito egli viene equipaggiato e fatto partecipe dei segreti, degli aspetti esoterici degli insegnamenti, delle tecniche e del modo di vita di quel gruppo particolare. 

In generale si è ammessi tra i partecipanti a un dato gruppo attraverso dei riti appropriati, che segnano il passaggio dell'individuo a membro effettivo della comunità. Si tratta di una vera e propria morte simbolica e della nascita a un livello e qualità superiori. Il rituale d'iniziazione, infatti, ha lo scopo di armonizzare l'individuo con il patrimonio culturale e spirituale che gli viene trasmesso. Chi non realizza in sé tale integrazione sembra destinato all'emarginazione. È come se l'iniziato si spogliasse di sé, mentre gli vengono progressivamente rivelati i segreti sui quali la comunità fonda la sua esistenza. 

Nelle religioni più istituzionalizzate non si dà solo la trasmissione di contenuti, ma si verifica anche una trasmissione spirituale da parte di chi accompagna e guida il processo di acquisizione personale dell'iniziando.  

4. La Successione iniziatica e la roccia o pietra. 

Connessa a quanto dicevamo sull'iniziazione e sulla Tradizione, è la cosiddetta successione iniziatica. Definita in India con il termine sanscrito parampara, dai tibetani abisheka, dagli ebrei shalsheleth, dagli arabi silsillah, in ambito cristiano cattolico e ortodosso si trova nella successione apostolica. La presenza dello stesso fenomeno sotto nomi diversi dimostra che l'uomo ha adottato nel corso della storia diversi modi di trasmettere gli eventi che fondano l'esperienza spirituale. 

5. Alcuni esempi di successione iniziatica presso alcune religioni.
Nell'induismo. 

In India, fin dal periodo vedico, si pratica una iniziazione o consacrazione, chiamata diksha (= desiderio di donare), la quale legittima ad operare nel sacro. L'iniziato diventa un consacrato mediante la trasmissione di influenze spirituali da parte del maestro, miranti alla sua moksha ( = liberazione). L'India conosce linee di maestri spirituali dei vari sentieri religiosi, che si potrebbero dire dinastiche. Viene trasmessa da un maestro all'altro non solo la dottrina esteriore, scritta o insegnata, ma anche la shakti, ossia l'energia spirituale, simile a un fuoco che si propaga da fiamma a fiamma. Questa operazione sacra, se così possiamo definirla, avviene mediante dei rituali e la pronuncia del mantra sacro, quella parola particolare consegnata all'adepto la quale può trasformarlo mediante la sua ripetizione continua. Per questo motivo, il mantra è considerato come una parola potente, in grado, cioè, di realizzare il suo significato. 

Nel buddhismo. 

Anche nel sentiero aperto dal Buddha (563 - 483 a.C.), la successione sacra viene definita diksha, intesa come trasmissione della stessa influenza spirituale, la shakti, emanata dalla illuminazione del suo fondatore. L'inserimento nella comunità monastica sangha, dei discepoli dell'Illuminato, avviene mediante un rito di aspersione di acqua abisheka e altri rituali vari. È importante che il monaco sia accompagnato per diversi anni da un anziano maestro, esperto nelle dottrina Abhidamma e nella meditazione Bhavana, che gli comunica l'esperienza spirituale. 

Nel Giudaismo. 

Fino al periodo della monarchia, Israele non conobbe un sacerdozio istituzionalizzato, ma affidò il ruolo di custodi delle cose sacre a uomini che erano in relazione con i santuari o con l'arca, di cui erano guardiani, sacerdoti o inservienti. Successivamente, al tempo di David, l'istituzione dell'ordine sacerdotale verrà regolata da norme più precise, che avranno carattere definitivo con Salomone, all'epoca della costruzione del Tempio (970-931 a. C.). Si costituì a quel tempo una gerarchia composta di leviti e sacerdoti con il Sommo Sacerdote al suo vertice. Mentre i leviti venivano consacrati con l'imposizione delle mani, i sacerdoti ricevevano l'unzione sul capo. Con la distruzione del Tempio ad opera di Tito nel 70 d. C. il sacerdozio cessò di esistere. 

Nell'Islamismo. 

Dal punto di vista ufficiale, nell'Islam, non vi è una vera e propria trasmissione dei poteri sacri, né possiede un sacerdozio istituzionalizzato. L'autorità religiosa e politica dei califfi  emana dalla parentela carnale con il profeta Maometto. Tuttavia esiste in seno all'Islam un segno di riconoscimento che viene dato al fedele. Di questo segno, si dice che non abbia origine umana, in quanto sarebbe stato dato al profeta Maometto dall'arcangelo Gabriele. Questo segno sarebbe raffigurato da una fiamma di fuoco che si sprigiona dalla fronte di Maometto. Da questa fiamma fluirebbero i poteri carismatici e profetici dell'inviato di Dio. Questa trasmissione, non accettata dall'Islam ortodosso, è praticata in circoli e ambienti eterodossi. Certo è che, anche se dal punto di vista essoterico non si può parlare di una successione iniziatica vera e propria all'interno di questa religione, si può parlare, invece, di una energia bàrakah, fluida e benefica, che emana dai santi, dai discendenti di Alì e di Fatimah e dai reduci pellegrini provenienti dalla Mecca, poiché quel luogo sacro è ritenuto colmo di bàrakah. Accanto all'insegnamento essoterico, la esh shariah, la strada maestra aperta a tutti, l'Islam conosce anche el haquiqah, la verità interiore riservata a chi ha la capacità e le qualificazioni necessarie per arrivare a conoscerla. La seconda via viene concepita come il nocciolo e la prima come la scorza del medesimo insegnamento. Il percorso che dalla shariah essoterica conduce all'esoterica haquiquah viene denominato tariquah, cioè via o sentiero. 

Percorrono tale sentiero i Sufi, i folli di Dio. L'origine etimologica del termine sufi è controversa. Per la maggior parte degli studiosi, il termine deriverebbe da suf, la lana bianca di cui si servivano monaci ed eremiti cristiani. Da tale parola deriverebbero altre voci: tasaw waf (= mercante di lana); sufi (= colui che veste il mantello di lana, quindi: santone, asceta, mistico). Radicali paralleli sono sassa (= allineare, formare quadrati) o saffun (= ordine, serie, rango). Facendo una sintesi di tali definizioni, potremmo dire che il sufi è colui che esternamente dà segno, vestendosi di lana, di un ordinamento interiore rivolto completamente alla divinità. 
Guénon propone un'altra etimologia: colui che conosce attraverso Dio. I sufi sono considerati i detentori della vera sapienza delle cose divine. Tra di essi esiste una catena di trasmissione dell'influenza spirituale, la silsillah, (= catena), in mancanza della quale non si da iniziazione al sufismo. L'origine di questa catena si fa risalire direttamente al Profeta. 

Nel Cattolicesimo. 

In linea di principio (dopo il non essere più scomunicati) questo è un cammino non dissimile da quello cristiano, basato anch'esso solo sui meriti personali. Ciò a dire, senza possibilità “d'intercessione” d'un terzo elemento umano, se non quello spirituale ed interiore. 
E in questo, si può riscontrare una similitudine con il principio meritocratico postulato nel tema del Karma (e Dharma) dei Fratelli d'Oriente. Ma proprio nel concetto d'intercessione umana, si pone la diversità tra cristianesimo e cattolicesimo. Il cristianesimo non ha mai posto in postulato una gerarchia umana, tanto meno infallibile. L'officiante è primus inter pares cioè, primo uguale tra eguali, fratello e sorella tra fratelli e sorelle, figlio tra figli e figlie. Non dissimile da questa risulta essere la proposizione orientale che dice: siamo tutti divini (figli dello stesso Dio), la differenza sta tra chi ha coscienza di esserlo e quanti ancora non lo ricordano. Il cattolicesimo, a differenza del cristianesimo, non verte su un Principio (in questo caso l'Amore rappresentato da Dio) ma su un uomo: un regnante infallibile, posto da altri uomini al vertice di una gerarchia rappresentativa della divinità. 

il Principio iniziatico che la Massoneria ha posto in termine volutamente impersonale come: 
il Grande Architetto dell'Universo, è un Principio di Amore e Fratellanza che accomuna, accetta ed accoglie nel proprio seno ogni diversità, senza moti d'intolleranza. Tanto da rendersi compatibile con ogni forma di credo che sia altrettanto amorevole, aperto e tollerante. 

Da ciò che abbiamo detto fin qui possiamo trarre alcune considerazioni su Tradizione e iniziazione: 

1. L'iniziazione avviene attraverso una trasmissione, sia nell'ambito visibile (attraverso riti, insegnamenti e rivelazioni) che in quello invisibile. Nell'ambito invisibile si tratta della trasmissione di una influenza sottile destinata a trasformare chi viene iniziato e ad ampliare le sue percezioni. 

2. Sembra che si possa parlare di "collegamento a una Tradizione" solo se questa iniziazione avviene attraverso una catena ininterrotta nel tempo, che si possa ricondurre direttamente a chi ha istituito quella Tradizione. 

3. Nella tradizione cristiana l'aspetto dell'iniziazione inerente alla trasmissione sottile di una influenza spirituale è la dimensione centrale. Se si può parlare di iniziazione cristiana, è solo in questo contesto. 

Le domande che le nostre riflessioni sollevano sono più numerose delle possibili risposte: Come si può essere sicuri che, in una data Tradizione, ad esempio nel cristianesimo o nella massoneria, la trasmissione abbia effettiva validità, che nel corso dei secoli "l'influenza sottile" che viene trasmessa nelle iniziazioni non abbia perso ogni realtà? La distruzione dei cavalieri Templari, nel caso del cristianesimo, e i secoli di "occultamento" che separano la massoneria operativa dei costruttori di cattedrali dalla massoneria speculativa rinata nel XVIII secolo, nel caso della massoneria, potrebbero essere state delle interruzioni fatali per la catena iniziatica. 

E come occuparsi di una materia così sfuggente, che non può cadere sotto il dominio della scienza, non essendo soggetta a misura né a calcolo, non essendo osservabile con i cinque sensi, potendo occuparsene per definizione solo chi è già stato iniziato? 

Come considerare i molteplici movimenti che vanno sotto il nome di New Age e pretendono di sottoporre ai propri affiliati autentiche iniziazioni? E come considerare le numerose società segrete nate da un giorno all'altro alla fine del XIX secolo, ad opera di volenterosi "iniziati"? 

Rispondere a queste domande non è compito di un articolo, ma di una vita intera. 
                                                 Ricerca di Giancarlo Bertollini
www.granloggiaditalia.it