Giovanni Pico Della Mirandola
(Mirandola 1463 - Firenze 1494).
Morto a 31 anni. Nacque presso Ferrara e si formò all'università di Bologna. Discepolo di Marsilio Ficino, padrone di numerose lingue, tra le quali l'ebraico e l'aramaico, proprietario di una delle biblioteche più ricche del suo tempo per le opere relative al pensiero delle religioni monoteiste.
E’ l'ideale dell'umanista.
Uno degli uomini più ricchi dell'Italia del suo tempo.
A 24 anni volle riunire a Roma, un concilio privato, nel corso del quale avrebbe sostenuto, in presenza del papa e dei maggiori teologi, le sue nuove cento tesi di
Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae.
Il papa, che giudicava eretiche alcune di quelle tesi, si oppose al progetto di cui ci rimane soltanto il discorso d'apertura dell’autore, mai pronunciato e pubblicato dopo la sua morte. Nel Discorso sulla dignità dell'uomo si preoccupò del posto dell'uomo nella natura: la dignità dell'uomo deriva dalla sua posizione centrale nel mondo: intermediario tra lo spirito e la materia, tra il tempo e l'eternità.
L'uomo sarà ciò che vorrà divenire, ciò che farà di sé stesso.
Nel "De ente et uno", testo rivolto ad un amico e relativo alla questione dei rapporti tra l'Essere e l'Uno, difende i due concetti, e l'accordo di Platone e di Aristotele su questo aspetto.
Studia la cabala e tenta di commentare la Bibbia.
Muore nel 1494, nel momento in cui progettava di scrivere un libro sulla Concordanza di Platone e Aristotele. Un anno prima, il papa Alessandro VI lo aveva assolto da ogni accusa di eresia
Giovanni Pico e la sua leggenda.
Il poveretto era stato ridotto a poco più che un nome, considerato quasi in modo ridicolo, in quanto l'ironia di Voltaire lo aveva relegato nell'oblio. Ciononostante, nel XIX secolo "inventarono" il Rinascimento, e Giovanni Pico rinacque. Occorreva attribuirgli il segno del fermento innovativo, l'intuizione delle cose future e delle nuove prospettive…
Doveva assumere il ruolo di profeta ispirato dalle nostre emancipazioni moderne.
Per sua sfortuna, aveva scritto una delle più belle pagine della letteratura neolatina, un "discorso molto elegante" al quale la posterità avrebbe dato il titolo di :
Discorso sulla dignità dell'uomo.
Un testo "spirito" del Rinascimento italiano, ma di questo testo ricorderà le parole con le quali il Creatore si rivolge al primo uomo, dandogli il privilegio della libertà.
Il paragrafo è il seguente:
"Ti ho posto al centro del mondo affinché tu possa contemplare al meglio ciò che esso contiene. Non ti ho fatto né celeste né terrestre, né mortale né immortale, affinché da te stesso, liberamente, come buon pittore o provetto scultore, tu plasmi la tua immagine. Puoi degenerare alla bestialità o elevarti alla divinità. Gli animali ottengono dal corpo della loro madre tutto quel che è loro necessario a vivere e gli spiriti più alti sono - fin dall'inizio o immediatamente dopo di esso - qualsiasi cosa decidano di essere per tutta l'eternità.Ma l'essere umano è colui al quale il Padre dona, al momento della nascita, i semi ed i germi di qualsiasi caratteristica della vita, quegli stessi semi e germi che egli coltiva, fa crescere dentro di sé e trasforma in frutti".
A partire da questo passaggio, si pensa di scoprire la sua dottrina, manifesto di tutto l'umanesimo rinascimentale:
visione prometeica dell'uomo libero, padrone del suo destino, oramai solo responsabile del suo divenire e delle sue scelte.
È così che Pico diventa il prototipo dell'umanista del quattrocento ed entrerà a far parte del mito
Ha scritto, oltre alla sua celebre Oratio.
L’Opera omnia, curata, insieme alla biografia, da suo nipote Francesco. Comprende più di 730 fogli.
Per quanto riguarda il contenuto l'Oratio non propone alcuna idea nuova.
Pico fornisce una concezione grandiosa ed esaltante dell'uomo, ma si tratta solo della visione cosmocentrica che colloca l'uomo al centro di un mondo preesistente.
L'uomo ha la missione di contemplare l'ordine dell'universo.
Qui si dispiega la sua libertà, ma è una libertà di accettazione o di rifiuto, mai una libertà di creazione.
Perciò può scoprire tale ordine nella natura, ma non può modificarlo, né sostituirlo con il proprio.
Non può essere una sua legge. Non è autonomo.
Questo contenuto è presentato in modo convincente: è questo che ha prodotto la gloria dell'Oratio che si distacca dalle altre opere scritte in una lingua più vicina allo stile "di Parigi", proprio della scolastica, che non allo stile prezioso degli umanisti.
Con grande scandalo di costoro, aveva difeso gli scolastici, anche se questi scrivevano in un latino "barbaro", perché in filosofia soltanto il contenuto è importante.
Il vero filosofo giudicherà indegno infiorare il proprio discorso con la retorica.
Il fatto che abbia scritto l'Oratio in un latino letterario è in linea con le attese dei circoli umanisti; al contrario, dopo avere fornito la prova della sua padronanza del latino classico, sceglie di scrivere delle opere in un latino scolastico.
L'elegante Oratio non sarà mai pronunciata né pubblicata durante la vita del suo autore; ciò non impedirà ad un secentista francese di vedere nel "celebre discorso di Pico, una proclamazione dell'avvenimento di un modo nuovo in cui l'uomo prende coscienza della sua funzione eminente".
Ma questa è la potenza dei miti.
Pico, giovane, bello e ricco, ospite adulato delle più nobili corti d'Italia, aveva manifestato il suo genio, prima che gli dei gelosi mettessero prematuramente fine ai suoi giorni: mori in circostanze misteriose, all'età di soli 31 anni.
Che cosa c'è di più romantico di questa morte ingiusta che falcia un uomo di grandi promesse nel pieno della giovinezza?
Si era dato alla magia, aveva decifrato gli arcani della Cabala e aveva scoperto il segreto delle scienze occulte e delle tradizioni ermetiche. Soprattutto si era recato a Roma per affrontare un dibattito pubblico con i più famosi dottori della cristianità. Il dibattito era stato proibito e molte delle sue affermazioni erano state condannate come eretiche da un gruppo di teologi reazionari. Scomunicato, aveva dovuto fuggire in esilio per evitare la vendetta papale.
Pico fu questo eroe prometeico per un secolo di grandezza, di rivolta e d'orgoglio.
Tale è la leggenda di Pico; accumulando fatti, per lo più veri, ma ingigantiti dalla memoria , abbiamo un'immagine di Pico erronea che nasconde la sua vera collocazione nella storia delle idee.
Cerchiamo di evocare un personaggio più reale: Affascinato dal neoplatonismo, sarà sedotto da varie dottrine esoteriche che richiamano quelle della New Age alla quale si dedicano molti dei nostri contemporanei.
La "Disputa Romana".
Nel marzo del 1486, dopo un soggiorno di parecchi mesi a Parigi, ritornò a Firenze. Fu allora che, nell'esuberanza dei suoi 23 anni - convocò, in un dibattito, gli spiriti più dotti della cristianità, per discutere una serie di "tesi" relative a tutti i campi del sapere. Impaziente di raggiungere la gloria e volendo dare risonanza alla sua "disputa", decise che il dibattito avrebbe dovuto avere luogo a Roma.
Gesto da gran signore, propose di accollarsi le spese di tutti quei dottori che avrebbero potuto permettersi il viaggio…
La maggior parte dei suoi contemporanei videro nelle sue tesi, nel numero mistico di 900, l' esposizione di un'erudizione superficiale unita ad una pretesa di universalità.
Così nascerà la leggenda alla quale farà allusione anche Pascal, secondo cui Pico avrebbe preteso di discutere (tutte le cose conoscibili)
Tutto questo avrebbe portato alla scomunica di Pico da parte del papa Innocenzo VIII.
I nunzi apostolici ricevettero l'ordine di catturarlo. Grazie alla protezione del re ed agli interventi di Lorenzo de Medici, Pico che aveva tentato di sfuggire alla persecuzione riparando in Francia, riottenne la propria libertà e ritornò in Italia per stabilirsi a Firenze dove Marsilio Ficino lo accolse.
Censura del dibattito pubblico da parte delle autorità ecclesiastiche, condanna, fuga ed esilio del loro autore: tanti elementi sufficienti per fare di lui un eroe.
La metamorfosi di Pico è più vistosa quando parla del rapporto che lega l'ordine naturale e quello soprannaturale.
Per il neoplatonismo, ogni evento (sia celeste che terrestre) si trasmette per "risonanza simpatica" a tutti i livelli del reale che si influenzano reciprocamente e gli ordini celeste e terrestre, naturale e soprannaturale si fondono in una continuità tale che diventa impossibile trovare una distinzione.
È l'idea di quella continuità che Pico critica nelle sue Disputationes, affermando in uno dei suoi capitoli che:
"I miracoli divini non sono causati dagli astri, ma gli avvenimenti miracolosi sono significati dagli avvenimenti miracolosi così come le cose naturali sono indicate da altre cose naturali".
Deluso, non crede più che l'animo umano possa, "dal basso", unirsi al suo Principio grazie ad un'ascesi intellettuale.
L'ordine della ragione non è l'ordine della fede, e non è possibile passare gradualmente dall'una all'altra. Legame con il passato, ma anche presagio dell'avvenire, in quanto vediamo già sorgere questo dualismo che prefigura quello di Cartesio.
Pico è un precursore della modernità.
Gli ultimi anni.
Innocenzo VIII morì nel luglio del 1492 ed il suo successore Alessandro VI Borgia accordò a Pico l'assoluzione
Fu la sola gioia dei suoi ultimi anni segnati da lutti dolorosi. L'8 aprile 1492, con la scomparsa di Lorenzo de Medici, Pico perse un protettore, un ammiratore intelligente e un mecenate disinteressato. Piero successe al Magnifico, ma mostrò di non avere ereditato le qualità paterne e ben presto Savonarola sollevò il popolo contro questo principe nel quale vedeva il simbolo della decadenza morale del suo tempo.
Pico fu testimone impotente del crollo del sogno mediceo e della decadenza della Repubblica Fiorentina.
Ricerca di Giancarlo Bertollini
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