Anche gli Apprendisti più inesperti sanno generalmente che con il termine «Tronco della vedova» ci si riferisce al sacchetto della beneficenza che il cerimoniere porge ai Fratelli alla fine dei lavori delle Tornate solenni.
Quando però ci si interroga sulle ragioni dei due lemmi che compongono la locuzione è necessario risalire alle origini mitiche e simboliche di questo modo di dire che rivela significati che vanno oltre il gesto di solidarietàà implicito nel dono dell’obolo. L’origine della parola «tronco» è piuttosto controversa. Gli antichi rituali non ne fanno menzione. Un accenno alla «borsa di beneficenza» è presente negli «Statuti generali» di Napoli del 1820. Secondo alcuni studiosi il termine «tronco» sarebbe entrato in uso della terminologia massonica verso il 1840 e proverrebbe dalla Carboneria.
Per quanto riguarda il termine «Vedova» la raccolta delle offerte evocherebbe la Vedova dei Vangeli: «È venuta una vedova; gettò per beneficenza due piccole monete. E Gesù, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: in verità vi dico che questa povera vedova ha offerto più di tutti gli altri, perché tutti hanno gettato il loro superfluo, mentre lei, tutto ciò che possedeva, tutto quanto aveva per vivere» (S. Marco, XII, 42-44). In altre parole, il termine «Vedova», in base a questa interpretazione, potrebbe essere ricondotto al fatto che nell'Antico e nel Nuovo Testamento la «Vedova» era considerata, per antonomasia, la persona che aveva bisogno e che quindi doveva essere aiutata con la beneficenza, la solidarietà e la misericordia predicate e messe in pratica da Gesù e da tutti coloro che seguivano il suo esempio.
Un’ulteriore spiegazione può essere collegata alla consueta definizione dei Liberi Muratori come «Figli della Vedova», definizione che deriva dalla leggenda di Hiram, l'architetto che costruì il Tempio di Gerusalemme all'epoca di Re Salomone.
Nella Bibbia, infatti, nel primo «Libro dei Re» si legge che, per la costruzione del tempio, «Il re Salomone fece venire da Tiro, Hiram figlio di una vedova della tribù di Neftali e di un padre che lavorava il bronzo». Siccome Hiram viene quindi presentato nella Bibbia come «figlio della Vedova» e dal momento che tutti i Massoni si considerano discendenti spirituali di Hiram Abif e seguaci della lezione di integrità e devozione rappresentata dalla Vedova, il sintagma «Figli della Vedova» naturalmente non può che connotare o semplicemente alludere simbolicamente a tutti i Liberi Muratori, a tutti i membri della fraternità massonica.
A me figli della Vedova Nell’Ordre des Francs-Maçons trahi, Pérau scive:
D. – Quando un Massone si trova in pericolo, cosa deve fare per chiamare in aiuto ai Fratelli?
R. – Egli deve congiungere le mani sulla testa, con le dita intrecciate, e dire: A me, figli della Vedova.
D. – Che cosa significano queste parole?
R. – Come la moglie di Hiram rimase vedova quando suo marito venne massacrato, i Massoni che si considerano discendenti di Hiram si chiamano figli della vedova. (17451980, p. 122)
Come si vede, ogni Massone che dovesse trovarsi in pericolo, può lanciare un SOS a tutta la catena fraterna mondiale che informata della situazione difficile nella quale è venuto a trovarsi un Fratello dispiega tutte le risorse disponibili per aiutarlo.
Pare che alcuni Fratelli durante la guerra riuscirono a salvarsi la vita, pur appartenendo a schieramenti in conflitto, pronunciando questa frase e permettendo quindi al nemico di rendersi conto di trovarsi di fronte a un membro della Libera Muratoria. La frase rappresenta quindi anche uno dei molteplici codici di riconoscimento tra Liberi Muratori.
Il mito di Iside e Osiride Si dice, in ambiti esoterici, che un iniziato è un «Figlio della Vedova» perché essere un Figlio della Vedova significa essere come Horus, o come Gesù, in quanto entrambi, secondo i rispettivi culti, nacquero senza l'intervento di padre.
Come è possibile? Chiariamo subito che questo appellativo è stato tramandato sino al giorno d'oggi dai Liberi Muratori che si autodefiniscono proprio come Figli della Vedova.
Per iniziare a capire da dove trae origine questa usanza, chiediamo aiuto al mito egiziano di Iside e Osiride, e sinteticamente vediamo come sono andate le cose. Come detto, Seth, fratello di Osiride, uccide quest'ultimo e divide il suo corpo in pezzi, disperdendoli per tutta la Terra. Iside, sorella e moglie del dio ucciso, aiutata da Nefti, altra sorella della dea, dopo un lungo peregrinare ritrova i pezzi del corpo di Osiride, tranne uno, il fallo, divorato da un pesce del Nilo.
È a quel punto che la dea, con grande fatica e lacrime, ricompone il corpo del malcapitato marito, ma mancando il membro virile era impossibilitata a generare. Così, senza perdersi d'animo, realizza una protesi in legno di sicomoro e si unisce a lui. Da questa unione nasce Horus, il Sole. Ecco spiegato perché Horus è un Figlio della Vedova, in quanto figlio di Iside che concepisce senza marito.
Anche il «Tronco della Vedova» va collegato al mito di Iside. Come detto, la cassa con il corpo di Osiride discendendo il fiume Nilo era giunta fino al mare e fu sospinta dalle correnti sulla costa della Siria, dove spuntò improvvisamente un albero di erica che crebbe rapidamente fino a racchiudere nel suo tronco la cassa.
Il Re del luogo, sorpreso dalla grandiosità di quest'albero, lo fece tagliare e, inconsapevole del suo contenuto, ne fece una colonna per il suo palazzo.
Finalmente Iside, venuta a conoscenza di questi fatti, si recò in Siria dove, dopo varie vicissitudini, ottenne finalmente la colonna in cui riposava il corpo di Osiride e, ricoperto il tronco di profumati unguenti, lo innalzò al centro di un grande Tempio.
Da allora, in tutti i templi dedicati ad Iside i devoti fedeli deponevano le loro offerte destinate alla beneficenza in un tronco posto all'interno del sacro recinto.
Veramente molto suggestiva l'origine mitica del «Tronco della Vedova», come tronco di quell'albero in cui erano rinchiuse le spoglie di Osiride che la sua Vedova, Iside, aveva così a lungo cercate. Così come il «tronco d’Iside’» (la «vedova») preservò i resti mortali di Osiride dalla definitiva distruzione in attesa della risurrezione, così «il sacchetto della beneficenza», lenendo le sofferenze del bisognoso, lo sottrarrà dall’indigenza per aiutarlo a risollevarsi.
(Tratto dal web - Rivisto da Autore Sconosciuto).
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